Arrigo il savio. Barrili Anton Giulio

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Arrigo il savio - Barrili Anton Giulio

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style="font-size:15px;">      Orazio Ceprani aveva chinato la testa, con un gesto tra incredulo e rassegnato. Perchè, infine, non poteva credere che ad Arrigo Valenti mancassero cinquemila lire da render servizio a un amico in un cattivo quarto d'ora, e non poteva neanche, per le buone creanze, aver l'aria di non crederlo.

      Per altro, se Orazio Ceprani aveva chinata la testa, l'aveva in sua vece rizzata il signor Cesare Gonzaga.

      – Ma le ho io! – diss'egli, entrando terzo nella conversazione, e facendo dare un balzo di maraviglia ai due giovani. – Non si sa mai, ho detto tra me e me, nel partire da Reggio. Anzi, vedi, Arrigo mio, è stata questa la ragione vera per cui ho ritardato un giorno a venire. Tu mi perdonerai, Arrigo; – soggiunse, mentre metteva mano al suo portafoglio, gonfio di biglietti di Banca e sprovveduto di biglietti di visita; – credevo di aver a fare con un nipote… d'altra specie, e perciò ero venuto con molta munizione. Ho ventimila lire qua dentro, e il resto in una tratta sul banco Manfredi. Eccole dunque, signor Ceprani carissimo; questi son cinque da mille. —

      Orazio Ceprani era rimasto interdetto; non sapeva se dovesse prender subito, o rifiutare, almeno per cerimonia: intanto abbozzava un “ma io, veramente…„ di un effetto assai comico.

      – Non faccia complimenti, la prego; – ripigliò il Gonzaga. – Ella è amico di mio nipote, e gli amici di mio nipote sono i miei. Alle corte, non mi vuole per creditore?

      – Oh, che dice ella mai? – mormorò il Ceprani, commosso. – La ringrazio, ed accetto, perchè il bisogno era urgente, e sono ottantamila lire che mi costerà questa liquidazione di gennaio. Grazie anche a te, Arrigo, – soggiunse, mentre intascava i cinque biglietti, – perchè in casa tua ho ricevuto il benefizio. Vado dunque a raccogliere tutte le mie forze, i miei ottantamila franchi, ed ahimè non per condurli alla riscossa. Si pranza insieme, quest'oggi?

      – Perchè no? – disse Arrigo. – Si potrebbe anzi incominciare dalla colazione, se hai tempo.

      – Lo troverò. Per che ora?

      – Ma, non saprei; bisognerà sentire mio zio.

      – Oh, non badare a me; – disse il Gonzaga. – Io son vecchio, e i giovani sentono forse più presto le voci dello stomaco.

      – A mezzodì, allora? O alle undici?

      – Sia pure per le undici.

      – Tra un'ora, dunque; – conchiuse il Ceprani, guardando l'orologio. – Mi diano il tempo di correre alla Borsa, e sono subito di ritorno. Vuoi nulla, tu?

      – No, – disse Arrigo, – ci ho il mio agente. A rivederci. E bada, non più Ausonia, per ora! —

      Orazio Ceprani rispose con gesto, che voleva dire: “ho capito„ e poi si dileguò, come da corda cocca.

      Arrigo fu molto soddisfatto di vederlo partire.

      – Finalmente! – mormorò. – Il passo sarà libero, ora. Se permetti, zio, vado a dare libertà a qualcheduno. Con questi amici, che ronzano sempre ne' miei paraggi, bisogna sempre stare in vedetta.

      – Fammi almeno sapere dove debbo ritirarmi, per lasciar passare i tuoi misteri, – disse ridendo lo zio.

      – Oh, non importa, c'è un'altra scala. Il guaio è che mette in una via troppo vicina all'ingresso principale. Uno che esca di qua e svolti nella strada di fianco… capirai!

      – Capisco, può indovinare i tuoi segreti di Stato, o di Banca. Anzi, diciamo addirittura di Banca, per restare nel genere femminile. —

      Arrigo fece un gesto di ragazzo contrito, e andò nella camera attigua. Due minuti dopo era di ritorno.

      – Del resto, – disse il Gonzaga, tanto per riattaccare il discorso, – un bravo giovanotto, quel Ceprani?

      – Ah, sì, lascia che ti sgridi, caro zio! – rispose Arrigo, mettendosi sul grave. – Che prodigalità son queste? Hai le mani bucate, a quanto pare. Sei appena arrivato in Roma, e già ti adatti all'ufficio di vittima. Caleranno i corvi, non dubitare, caleranno a centinaia, per levarti i pezzi. Qui, dopo l'acqua, delle fontane, non c'è altra abbondanza che di corvi.

      – Non mi credere troppo stolido, via! – replicò il Gonzaga. – Una volta non conta per uso. Ma non è tuo amico, questo Ceprani?

      – Amico, sì, non lo nego. Ma gli amici non hanno da esser mica vampiri, per succhiarci il nostro sangue. Caro zio, ci ho una massima, io: il cielo per tutti, e ognuno per sè. A buon conto, io non ho mai chiesto nulla a nessuno. —

      E il viso di Arrigo aveva preso una espressione di durezza, che diede nell'occhio, ma più ancora sui nervi, al vecchio Gonzaga. Non era più quello, perbacco, il viso di sua sorella Cecilia.

      – Ne sei ben sicuro? – diss'egli, dopo un istante di pausa. – Ed anche senza ricorrere alla borsa altrui, non ci sono servigi che ci è mestieri qualche volta di fare, o di chiedere? Le amicizie, così belle nel loro disinteresse, in certi momenti, e senza secondi fini, non sono esse un capitale che si sfrutta?

      – È un'altra cosa; – rispose Arrigo. – Il Ceprani è mio amico. Spenda la mia amicizia, la faccia valere, ma non tocchi la mia borsa.

      – Sei troppo rigoroso; – notò il vecchio. – Ma che uomo è costui?

      – Un buon diavolo, ed anche onesto, per quel che fa la piazza; ma di affari s'intende com'io di greco, che n'ho avuta una tintura al Liceo. Aggiungi che ha una mano così disgraziata, da guastare tutto quello che tocca. Ha sempre qualche preziosa notizia, per certe sue attinenze con uomini di governo, ed io ne cavo profitto… facendo tutto il contrario di ciò ch'egli fa.

      – Vedi dunque che tu lo spendi; in qualche modo fai capitale di lui.

      – Eh, se tu la intendi così, caro zio, tutti avranno diritto ad una parte della mia sostanza, mentre io so di non doverla che a me.

      – Ah, sì, parliamone un poco, – disse il vecchio, cui capitava la palla al balzo. – Ti sei dunque fatto uomo di banca?

      – Come vedi, lavoro, senza affaticarmi troppo.

      – E la giurisprudenza?

      – Da banda. Ho compiuti i miei studi; serviranno a tempo opportuno, quando sarà il caso di pensare agli onori. Anche con l'avvocatura si arriva; ma il mondo mormora. Si ha invidia degli avvocati, caro zio, e non c'è politicante da caffè che non tiri la sua sassata ai ciarloni. Per altra via, e più sicura, io fo conto di arrivare.

      – Arrivare! E dove?

      – Zio! – sclamò Arrigo, guardando il vecchio con aria di stupore. – Sei tu che me lo domandi? Tu, che sei arrivato… dall'India?

      – Sì, dall'India a Brindisi, e via discorrendo, – rispose il Gonzaga. – Ma tu, dove diamine vuoi arrivare?

      – Alla fortuna, alla potenza, alla felicità.

      – Egregiamente, e lo studio ti ci avrebbe condotto, per una via più lunga, lo concedo, ma più sicura, e con miglior compagnia. Perdonami la franchezza.

      – È la tua opinione; – rispose Arrigo, inchinandosi, – ma non è egualmente il tuo esempio.

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