Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2. Giovanni Boccaccio

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Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2 - Giovanni Boccaccio

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di Polinestore re, il quale dislealmente per avarizia aveva ucciso Polidoro, figliuol di Priamo, si partí, e andonne con la sua compagnia in Creti, donde, costretto da pestilenza del cielo, si partí e vennene in Cicilia, dove Anchise morí appo la cittá di Trapani. Ed esso poi per passare in Italia rimontato coʼ suoi amici sopra le navi, e lasciata ad Aceste, nato del sangue troiano, una cittá da lui fatta, chiamata Acesta, in servigio di coloro li quali seguir nol poteano, secondo che Virgilio dice, da tempestoso tempo trasportato in Affrica, e quivi da Didone, reina di Cartagine, ricevuto ed onorato, per alcuno spazio di tempo dimorò. Poi da essa partendosi, essendo giá sette anni errato, pervenne in Italia, e nel seno Baiano, non guari lontano a Napoli, smontato, quivi per arte nigromantica, appo il lago dʼAverno, ebbe con gli spiriti immondi, di quello che per innanzi far dovesse, consiglio; e quindi partitosi, lá dove è oggi la cittá di Gaeta perdé la nutrice sua, il cui nome era Gaeta, e sopra le sue ossa fondò quella cittá, e dal nome di lei la dinominò; e quindi venuto nella foce del Tevero, ed essendogli, secondo che dice Servio, venuto meno il lume dʼuna stella, la quale dice essere stata Venere, estimò dovere esser quivi il fine del suo cammino. Ed entrato nella foce, e su per lo fiume salito con le sue navi, lá dove è oggi Roma, fu da Evandro re ricevuto e onorato; e in compagnia di lui essendo, da Latino re deʼ laurenti gli fu data per moglie la figliuola, chiamata Lavina, la quale primieramente aveva promessa a Turno, figliuolo di Dauno, re deʼ rutoli. Per la qual cosa nacque guerra tra Turno e lui, e molte battaglie vi furono, e, secondo che scrive Virgilio, egli uccise Turno. Ma alcuni altri sentono altrimenti.

      Della morte sua non è una medesima opinione in tutti. Scrive Servio che Caton dice che, andando i compagni dʼEnea predando appo Lauro Lavinio, sʼincominciò a combattere, ed in quella battaglia fu ucciso Latino re da Enea, il quale Enea poi non fu riveduto. Altri dicono che, avendo Enea avuta vittoria deʼ rutoli, e sacrificando sopra il fiume chiamato Numico, che esso cadde nel detto fiume e in quello annegò, né mai si poté il suo corpo ritrovare: e questo assai elegantemente tocca Virgilio nel quarto dellʼEneida, dove pone le bestemmie mandategli da Didone, dicendo:

      At bello audacis populi vexatus, et armis,

      finibus extorris, complexu avulsus Iuli,

      auxilium imploret, videatque indigna suorum

      funera: nec, cum se sub lege pacis iniquae

      tradiderit, regno aut optata luce fruatur:

      sed cadat ante diem, mediaque inhumatus arena.

      Hoc precor, ecc.

      E Virgilio medesimo mostra lui essere stato ucciso da Turno, dove nel libro decimo dellʼEneida finge che Giunone, sollecita di Turno, nel mezzo ardore della battaglia prende la forma dʼEnea, e, seguitata da Turno, fugge alle navi dʼEnea, e infino in su le navi essere stata seguitata da Turno, e quindi sparitagli dinanzi: la qual fuga si tiene che non fosse fittizia, ma vera fuga dʼEnea, e che, quivi morto, esso cadesse nel fiume. Ma, come che egli morisse, fu da quegli della contrada deificato e chiamato Giove indigete.

      «Cesare armato». Gaio Giulio Cesare fu figliuol di Lucio Giulio Cesare, disceso dʼEnea, come di sopra è dimostrato, e dʼAurelia, discesa della schiatta dʼAnco Marcio, re deʼ romani. Né fu, come si dice, denominato Cesare, percioché del ventre della madre tagliato, fosse tratto avanti il tempo del suo nascimento, percioché, sí come Svetonio in libro Duodecim Caesarum dice, quando egli uscí candidato di casa sua, egli lasciò la madre, e dissele: – Io non tornerò a te se non pontefice massimo; – e cosí fu che egli tornò a lei disegnato pontefice massimo; ma perciò fu cognominato Cesare, percioché ad un deʼ suoi passati quello addivenne, che molti credono che a lui addivenisse: e da quel cotale cognominato Cesare ab caesura, cioè dalla tagliatura stata fatta della madre, quello lato deʼ Giuli, che di lui discesero, tutti furon cognominati Cesari. Fu adunque e per padre e per madre nobilissimo uomo, e variamente fu dalla fortuna impulso: e parte della sua adolescenzia fece in Bittinia appresso al re Nicomede con poco laudevole fama. Militò sotto diversi imperadori, e divenne nella disciplina militare ammaestratissimo: e gli onorevoli uffici di Roma tutti ebbe ed esercitò, e, tra gli altri, due consolati, li quali esso quivi governò. Ma, essendo egli questore, ed essendogli in provincia venuta la Spagna ulteriore, ed essendo pervenuto in Gades, e quivi nel tempio dʼErcole avendo veduta la statua dʼAlessandro macedonio, seco si dolse, dicendo: Alessandro giá in quella etá nella quale esso era, avere gran parte del mondo sottomessasi, ed esso, da cattivitá e da pigrizia occupato, non avere alcuna cosa memorabile fatta; e quinci si crede lui aver preso animo alle gran cose, le quali poi molte adoperò: e con astuzia e con sollecitudine sempre sʼingegnò dʼesser preposto ad alcuna provincia e ad eserciti, e a farsi grande dʼamici in Roma. Ed essendogli, dopo molte altre cose fatte, venuta in provincia Gallia, ed in quella andato, per dieci anni fu in continue guerre con queʼ popoli; e fatto un ponte sopra il Reno, trapassò in Germania, e con loro combatté e vinsegli; e similemente trapassato in Inghilterra, dopo piú battaglie gli soggiogò. E quindi, tornando in Italia, e domandando il trionfo ed il consolato, per una legge fatta da Pompeo, gli fu negato lʼun deʼ due. Per la qual cosa esso, partitosi da Ravenna, ne venne in Italia e seguitò Pompeo, il quale col senato di Roma partito sʼera, infino a Brandizio, e di quindi in Epiro; e, rotte le forze sue in Tessaglia, il seguitò in Egitto, dove da Tolomeo, re dʼEgitto, gli fu presentata la testa; e quivi fatte con gli egiziaci certe battaglie, e vintigli, a Cleopatra, nella cui amicizia congiunto sʼera, concedette il reame, quasi in guiderdone dellʼadulterio commesso. Quindi nʼandò in Ponto, e sconfitto Farnace, re di Ponto, si volse in Affrica, dove Giuba, re di Numidia, e Scipione, suocero di Pompeo, vinti, trapassò in Ispagna contro a Gneo Pompeo, figliuolo di Pompeo magno. Quivi alquanto stette in pendulo la sua fortuna. Combattendo esso eʼ suoi contro aʼ pompeiani, eʼ fu in pericolo tanto, che esso, di voler morire disposto, di quale spezie di morte si volesse uccidere pensava. Respirò la sua fortuna e rimase vincitore: e quindi si tornò in Roma, dove trionfò deʼ galli e degli egiziaci e di Farnace in tre diversi dí. Scrisse Plinio, in libro De naturali historia, che egli personalmente fu in cinquanta battaglie ordinate, che ad alcun altro romano non avvenne dʼessere in tante: solo Marco Marcello, secondo che Plinio predetto dice, fu in quaranta. E di queste cinquanta, le piú fece in Gallia e in Brettagna ed in Germania, né, fuorché in una, si trovò esser perdente: e di questo poté esser cagione la sua mirabile industria, e la fidanza che di lui aveano coloro li quali il seguivano, li quali non potevano credere, sotto la sua condotta, in alcuno quantunque gran pericolo poter perire. E dice il predetto Plinio, sotto la sua capitaneria, in diverse parti combattendo, essere stati uccisi deʼ nemici dalla sua gente un milione e cento novanta due [centinaia di] migliaia dʼuomini: né si pongono in questo numero quegli che uccisi furono nelle guerre né nelle battaglie cittadine, le quali tra lui e Pompeo eʼ suoi seguaci furono. Per la qual cosa meritamente dice lʼautore: «Cesare armato».

      Fu, oltre a ciò, costui grandissimo oratore, sí come Tullio, quantunque suo amico non fosse, in alcuna parte testimonia. Fu solenne poeta, e leggesi lui nel maggior fervore della guerra cittadina aver due libri metrici composti, li quali da lui furono intitolati Anticatoni. Fu grandissimo perdonatore delle ingiurie, intanto che non solamente a chi di quelle gli chiese perdono le rimise, ma a molti, senza addomandarlo, di sua spontanea volontá perdonò. Pazientissimo fu delle ingiurie in opere od in parole fattegli. Fu lussurioso molto; percioché, secondo che scrive Svetonio, egli nella sua concupiscenzia trasse piú nobili femmine romane, sí come Postumia di Servio Sulpizio, Lollia dʼAulo Gabinio, Tertullia di Marco Crasso, Muzia di Gneo Pompeo; ma, oltre a tutte lʼaltre, amò Servilia, madre di Marco Bruto, la figliuola della quale, chiamata Terzia, si crede che egli avesse. Usò ancora lʼamicizie dʼalcune altre forestiere, sí come quella della figliuola di Nicomede, re di Bitinia, e Eunoe Maura, moglie di Bogade re deʼ mauri, e Cleopatra, reina dʼEgitto, e altre. Né furon questi suoi adultèri taciuti in parte daʼ suoi militi, triunfando egli, percioché nel triunfo gallico fu da molti cantato: – Cesare si sottomise Gallia, e Nicomede Cesare; – ed altri dicevano: – Ecco Cesare, che al presente triunfa di Gallia, e Nicomede non triunfa, che si sottomise Cesare. – Ed, oltre a questo, in questo medesimo triunfo fu detto da molti: – Romani, guardate le vostre donne, noi vi rimeniamo il calvo adultero. – E nella persona di lui proprio furon gittate queste parole: – Tu comperasti

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