Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2. Giovanni Boccaccio

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Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 2 - Giovanni Boccaccio

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è narrata la storia.

      «Marzia». Marzia non so di che famiglia romana si fosse, né alcune storie sono, le quali io abbia vedute, che guari menzione faccian di lei. Par nondimeno, per antica fama, tenersi lei essere stata onesta e venerabile donna; e per tutti si tiene, e Lucano ancora il testimonia, lei essere stata moglie, non una sola volta, ma due, di Catone uticense. Il quale avendola la prima volta menata a casa, generò in lei tre figliuoli; poi, dispostosi del tutto di volere nel futuro servar vita celibe e fuggire ogni congiugnimento di femmina, secondo che alcuni dicono, glielo disse; ed, oltre a ciò, immaginando non dovere per lʼetá essere a lei questa astinenza possibile, la licenziò di potersi maritare, se a grado le fosse, ad un altro uomo. Per la qual cosa essa si rimaritò ad Ortensio (a quale non so, percioché piú ne furono), e di lui concepette alcuni figliuoli. Poi, essendosi morto Ortensio, e sopravvenuto il tempo delle guerre cittadine tra Cesare e Pompeo, una mattina in su lʼaurora picchiò allʼuscio di Catone, e, entrata da lui, il pregò che gli piacesse di doverla ritôrre per moglie; che di questo matrimonio essa non intendeva di volerne altro che solamente il nome dʼesser moglie di Catone, e sotto lʼombra di questo titolo vivere, e, quando alla morte venisse, morire moglie di Catone. Alli cui prieghi Catone condiscese; e, con quella condizione ritoltala, senza alcuna altra solennitá osservare, e mentre visse servando il suo proponimento, per sua moglie la tenne, ed ella lui per suo marito.

      «Giulia». Giulia fu figliuola di Giulio Cesare, acquistata in Cornelia figliuola di Cinna, giá quattro volte stato consolo; la quale, lasciata Consuzia che davanti sposata avea, prese per moglie. E fu costei moglie di Pompeo Magno, il quale ella amò mirabilmente, intanto che, essendo delle comizie edilizie riportati a casa i vestimenti di Pompeo, suo marito, rispersi di sangue (il che, secondo che alcuni scrivono, era avvenuto, che sacrificando egli, ed essendogli lʼanimale, che sacrificar dovea, giá ferito, delle mani scappato, e cosí del suo sangue macchiatolo); come prima Giulia gli vide, temendo non alcuna violenza fosse a Pompeo stata fatta, subitamente cadde, e da grave dolore fu costretta, essendo gravida, di gittar fuori il figliuolo che nel ventre avea, e quindi morirsi.

      «E Corniglia». Il vero nome di costei fu Cornelia: ma, sforzato lʼautore dalla consonanza dei futuri versi, alcune lettere permutate, la nomina «Corniglia». Cornelia fu nobile donna di Roma della famiglia deʼ Corneli, del lato degli Scipioni: e fu figliuola di quello Scipione, il quale con Giuba, re deʼ numidi, seguendo le parti di Pompeo, fu da Cesare sconfitto in Numidia. E fu costei primieramente moglie di Lucio Crasso, il quale fu ucciso daʼ parti e a cui fu lʼoro fondato messo giú per la gola; e poi, come Lucio morí, divenne moglie di Pompeo magno: il quale ella, come valente donna dee fare, non solamente amò nella sua felicitá, ma, veggendo che la fortuna con le guerre cittadine forte il suo stato dicrollava, non dubitò di volere essergli, come nella grandezza sua era stata, neʼ pericoli e negli affanni delle guerre compagna: e ultimamente, secondo che Lucano manifesta, con lui dellʼisola di Lesbo partitasi, nʼandò in Egitto, dove miserabilmente agli assassini di Tolomeo, discendendo in terra, il vide uccidere. Quello che poi di lei si fosse, non so; ma dʼintera fede e di laudabile amore puote debitamente essere pregiata.

      «E solo in parte vidi ʼl Saladino». Il Saladino fu soldano di Babillonia, uomo di nazione assai umile per quello mi paia avere piú addietro sentito, ma di grande e altissimo animo e ammaestratissimo in fatti di guerra, sí come in piú sue operazioni dimostrò. Fu vago di vedere e di cognoscere li gran principi del mondo e di sapere i lor costumi: né in ciò fu contento solamente alle relazioni degli uomini, ma credesi che, trasformatosi, gran parte del mondo personalmente cercasse, e massimamente intraʼ cristiani, li quali, per la Terra santa da lui occupata, gli erano capitali nemici. E fu per setta deʼ seguaci di Macometto, quantunque, per quello che alcuni voglion dire, poco le sue leggi e i suoi comandamenti prezzasse. Fu in donare magnifico, e delle sue magnificenze se ne raccontano assai. Fu pietoso signore e maravigliosamente amò e onorò i valenti uomini. E, percioché egli non fu gentile, come quegli li quali nominati sono e che appresso si nomineranno, estimo che «in parte» starsi «solo» il discriva lʼautore.

      «Poi chʼio alzai un poco piú le ciglia», cioè gli occhi per vedere piú avanti, «Vidi il maestro», cioè Aristotile, «di color che sanno, Seder», cioè usare e stare, e quegli atti fare che a filosofo appartengono, ammaestrare, operare e disputare, «tra filosofica famiglia».

      Aristotile fu di Macedonia, figliuolo di Nicomaco, medico dʼAminta, re di Macedonia, e poi di Filippo, suo figliuolo e padre dʼAlessandro; la madre del quale fu chiamata Efestide: li quali Nicomaco ed Efestide vogliono alcuni esser discesi di Macaone e dʼAsclepiade, discendenti dʼEsculapio, il quale gli antichi, percioché grandissimo medico fu, dicono essere stato figliuolo dʼApollo, iddio della medicina. E dicono alcuni lui essere stato dʼuna cittá chiamata Stagira, la quale, se io ho bene a memoria, ho giá letto o udito che è non in Macedonia, ma in Trazia: le quali due province è vero che insieme confinano, per che, essendo in su i confini la cittá, forse agevolmente sʼè potuto errare a dinominarla piú dellʼuna provincia che dellʼaltra. Fu costui primieramente, dopo lʼavere apprese le liberali arti, ammaestrato neʼ libri poetici. E credesi che il primo libro, che da lui fu composto, fosse uno scritto, ovvero comento, sopra li due maggior libri dʼOmero, e che, per questo, ancora giovanetto fosse dato da Filippo per maestro ad Alessandro. Poi vogliono lui essere andato ad Atene ad udire filosofia, dove udí tre anni sotto Socrate, in queʼ tempi famosissimo filosofo; e, lui morto, sʼaccostò a Platone, il quale le scuole di Socrate ritenne, e sotto lui udí nel torno di venti anni. Per che, sí per lʼeccellenza del dottore, e sí ancora per lo perseverato studio con vigilanza, divenne maraviglioso filosofo; intanto che, andando alcuna volta Platone alla sua casa e non trovando lui, con alta voce alcuna volta disse: – Lʼintelletto non cʼè, sordo è lʼauditorio. – Visse appresso la morte di Platone, suo maestro, anni ventitré, deʼ quali parte ammaestrò Alessandro, e parte con lui circuí Asia, e parte di quegli scrisse e compose molti libri. Egli la dialettica, ancora non conosciuta pienamente prima, in altissimo colmo recò, e ad istruzione di quella scrisse piú volumi. Scrisse similmente in rettorica, né meno in quella apparve facondo, che fosse alcun altro rettorico, quantunque famoso stato davanti a lui. Similmente intorno agli atti morali, ciò che veder se ne puote per uomo, scrisse in tre volumi: Etica, Politica ed Iconomica; né delle cose naturali alcuna ne lasciò indiscussa, sí come in molti suoi libri appare; ed, oltre a ciò, trapassò a quelle che sono sopra natura, con profondissimo intendimento, sí come nella sua Metafisica appare. E, brevemente, egli fu il principio e ʼl fondamento di quella setta di filosofi, i quali si chiamano peripatetici. E non è vero quello che alcuni si sforzano dʼapporgli, cioè che egli facesse ardere i libri di Platone: la qual cosa credo, volendo, non avrebbe potuta fare, in tanto pregio e grazia degli ateniesi fu Platone e la sua memoria e li suoi libri. Li quali non ha molto tempo che io vidi, o tutti o la maggior parte, o almeno i piú notabili, scritti in lettera e grammatica greca in un grandissimo volume, appresso il mio venerabile maestro messer Francesco Petrarca. È il vero che la scienza di questo famosissimo poeta filosofo lungo tempo sotto il velamento dʼuna nuvola dʼinvidia di fortuna stette nascosa, in maraviglioso prezzo continuandosi appo i valenti uomini la scienza di Platone; né è assai certo, se a venire ancora fosse Averrois, se ella sotto quella medesima si dimorasse. Costui adunque, se vero è quello che io ho talvolta udito, fu colui che prima, rotta la nuvola, fece apparir la sua luce e venirla in pregio; intanto che, oggi, quasi altra filosofia che la sua non è daglʼintendenti seguita. Ma ultimamente pervenuto questo singulare uomo allʼetá di sessantatré anni, finío la vita sua; e, secondo che alcuni dicono, per infermitá di stomaco. «Tutti lo miran», per singular maraviglia, quegli che in quel luogo erano; e similmente credo facciano tutti quegli che aʼ nostri dí in filosofia studiano: «tutti onor gli fanno», sí come a maestro e maggior di tutti.

      «Quivi vidʼio», appresso dʼAristotile, «Socrate».

      Socrate originalmente si crede fosse ateniese, ma di bassissima condizione di parenti disceso, percioché, sí come scrive Valerio Massimo nel terzo suo libro sotto la rubrica De patientia, il padre suo fu chiamato Sofronisco intagliator di marmi, e la sua madre ebbe nome Fenarete, il cui uficio era aiutare le donne neʼ parti loro, e quelle per prezzo servire; ed esso medesimo, secondo che dice Papia, alquanto

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