Dal Vangelo Secondo Giuda. Andrea Lepri

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Dal Vangelo Secondo Giuda - Andrea Lepri

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lui stringendo ancora più forte la sua mano, che si stava facendo sempre più fredda.

      «Spero solo che un giorno mi perdonerai per avervi abbandonato. Sai, poco fa ho visto un prato bellissimo, c’era una porta aperta a spiraglio dalla quale usciva una luce intensa. In lontananza c’era lui, e poi ho visto anche i miei genitori e molte altre anime. Erano vestite di tuniche candide, che odorano di profumi così meravigliosi che prima non avevo mai sentito niente di simile.» Il “bip” accelerò e lei ebbe un sussulto, ma continuò a sorridere guardando un punto invisibile.

      «Non dire sciocchezze, vedrai che tra un po’ starai meglio» avrebbe voluto dirle Giuda, ma le parole gli morirono in gola. Si girò e fece un cenno all’infermiera, che li guardava attraverso il vetro senza avere il coraggio di entrare, Nicole aprì bocca come se volesse dirgli qualcosa, ma tacque.

      «Ti prego, non lasciarmi solo!» la implorò lui.

      Lei raccolse le poche forze che ancora le restavano, ormai respirava a fatica.

      «Non sei solo, hai Jodie. Promettimi che la proteggerai sempre e che rispetterai la Legge. Promettimi che farai di lei una persona giusta, una persona onesta... io e il bambino veglieremo su di voi da lassù, vi aspetteremo insieme. Promettimelo ripeté.»

      «Te lo prometto, te lo prometto, ma tu non lasciarmi. Non lasciarmi, ti prego... infermiera... infermieraaa!»

      Di colpo, Giuda si accorse di non avere più voglia di niente. Un dolore sordo lo aveva precipitato in un baratro fatto di ricordi confusi e sensi di colpa, fino ad annientarlo completamente. Jodie aveva smesso di mangiare e di parlare, tutto ciò che faceva era continuare a fissarlo in silenzio, con quella sua espressione perennemente triste, e lui non si sentiva forte abbastanza per riuscire a consolarla. Era pienamente consapevole che il Sistema non gli avrebbe lasciato crescere sua figlia da solo, se non avesse trovato in fretta una nuova compagna avrebbero ibernato lui e affidato Jodie a un’altra famiglia. Quindi, pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a dimenticare Nicole, tentò comunque di ricominciare, per impedire che il destino gli portasse via anche sua figlia. Si sarebbe accontentato di trovare una brava donna che lo aiutasse a far sentire mia figlia meno sola, ma ogni volta che ne conosceva una tornava a rendersi conto che nessuna, mai, sarebbe riuscita a colmare il vuoto lasciato da sua moglie. Quindi ogni volta si ripeteva il solito assurdo rituale: Giuda si allontanava con una scusa e tornava a casa, dove trascorreva il resto della notte a guardare vecchie fotografie in compagnia di Jodie, piangendo.

      L’ALIENO

      A causa della precipitosa discesa attraverso l’atmosfera terrestre, il grande disco metallico dorato si era arroventato fino a diventare di un colore rosso incandescente. L’umanoide si affacciò all’oblò e osservò scioccato l’immensa distesa di terra arida e inospitale, sormontata a malapena da qualche protuberanza di roccia di colore chiaro.

      Sono finito nel bel mezzo di un deserto si disse sconfortato, subito dopo tornò alla console di comando e prese a digitare freneticamente su qualcosa di simile a una scacchiera. “Motori di spinta primaria fuori uso causa mancanza di energia. Tempo di carica delle batterie con una sola stella, quantificato in trentaquattro anni terrestri. Temperatura delle strutture in fase di assestamento”, significavano i segni cuneiformi che comparvero sullo schermo giallo. Deluso, l’Alieno si disinteressò al computer e tornò a guardare oltre l’oblò nella speranza che gli venisse un’idea, ma si arrese subito. Sul suo pianeta, l’energia luminosa fornita dalle tre stelle avrebbe ricaricato le batterie in pochissimo tempo. Ma sulla Terra c’era un Sole soltanto, lui non aveva modo di amplificare l’effetto dei suoi raggi sui ricettori della navicella spaziale, non disponeva del materiale né degli strumenti necessari. Si rese conto che il problema era palesemente irrisolvibile e sui si rassegnò all’idea di aspettare passivamente trentaquattro lunghi e noiosi anni terrestri. Ebbe un moto di stizza e tornò a interrogare il computer, per avere i dati dell’Analisi Ambientale.

      “Temperatura esterna 40 gradi terrestri. Quantità di luce nettamente insufficiente al fabbisogno energetico. Atmosfera costituita di Azoto, Ossigeno, Carbonio, umidità percentuale tendente a zero. Probabilità di sopravvivenza in questa zona del pianeta inferiore al tre per cento, causata dalla scarsità di acqua e della concentrazione minima di Anidride Carbonica sovrastata dall’alta percentuale di Ossigeno libero. Tempo limite di permanenza nell’ambiente esterno stimato in dieci giorni terrestri. Fasi successive conseguenti a un’esposizione eccessiva all’ambiente esterno: deficit energetico, immobilizzazione, stato prolungato di subcoscienza, perdita totale di coscienza, decesso dovuto a progressivo avvelenamento. Soluzione consigliata: Trasferimento Corporale. Fine rapporto” sentenziò il cervellone, impietoso. L’Alieno si lasciò scivolare con la schiena lungo la parete, lentamente, finché si ritrovò seduto con le braccia giunte intorno alle gambe esili. Ripensò al documentario inerente al Pianeta Terra, uno dei tanti che aveva visto durante la lunga traversata spaziale, e chinò la testa depresso.

      Con tutti i mondi abitati che esistono, sono finito proprio sul pianeta popolato dalla più stupida tra le razze in via di evoluzione! Non dispongono di una tecnologia in grado di aiutarmi, per di più sono estremamente superstiziosi e privi di qualsiasi apertura mentale. Se mi vedessero in queste sembianze mi considererebbero un mostro, non esiterebbero a uccidermi all’istante. Non ho modo di cercare un luogo più vivibile, ma se anche lo trovassi non riuscirei a stare nascosto per tutto quel tempo. Non ho altra scelta che effettuare il Trasferimento Corporale. Dovrò trasformarmi in uno di loro e per molti anni sarò vulnerabile, almeno fin quando la coscienza di me non riprenderà il sopravvento. Per riuscire a sopravvivere per tutto quel tempo in un mondo così incivile avrò bisogno di una buona dose di fortuna, ma per allora le batterie saranno cariche e potrò ripartire alla volta di Igos. No, non ho altra scelta... allora tanto vale che lo faccia subito!

      L’essere si recò nel piccolo laboratorio e aprì un cassetto refrigerato contenente alcune provette trasparenti, tirò giù una piccola sonda da una nicchia ricavata nel soffitto e allungò il tubo flessibile fluorescente al quale era collegata. La calò nel settore recante la scritta “Razza Umana Esemplare Maschile”, pochi istanti dopo la sonda determinò qual’era il sottogruppo di spermatozoi più adatto ai suoi scopi. L’Alieno pensò per un attimo all’essere dal quale erano stati estratti, l’ultima volta che l’aveva visto giaceva privo di vita nel giardino del suo palazzo, ormai ridotto in macerie annerite dalla furia distruttiva della guerra. Non riuscì a provare pena per lui neanche quando gli tornarono alla mente i suoi occhi tristi, che lo fissavano increduli da dentro la gabbia del suo zoo personale. Per lui, quello era soltanto un essere inferiore che una sera era stato portato via dal suo piccolo e insignificante mondo, senza capire il come né il perché. Il pensiero di doversi trasformare in un simile stupido animale suscitò in lui una profonda rabbia, continuò a fissare il vasetto selezionato dalla sonda senza riuscire a decidersi, quasi tentato di distruggerla. Sospirò ripetutamente finché riuscì a calmarsi, allora andò a deporre con gesti cauti la provetta su di un piano metallico. Toccandola in un punto particolare, stimolò una ghiandola che aveva al centro del petto, per provocare l’apertura dei petali posti a protezione dell’infiorescenza. Usando uno strumento a forma di cucchiaio prelevò un campione del proprio seme e lo sistemò il seme in un contenitore che posò accanto al primo, poi coprì entrambi con due piccole semisfere collegate tra loro attraverso un macchinario. Questo svolse rapidamente il proprio compito, emettendo una luce violacea.

      “Procedura correzione cromosomica e potenziamento patrimonio genetico terminata” annunciò il computer dopo qualche istante. L’Alieno annuì e andò a sedere su una poltrona circondata da cavi e circuiti, indossò un casco su cui era impiantata una moltitudine di elettrodi e digitò un codice sulla piccola tastiera che aveva indossato all’avambraccio. Dopo pochi istante cadde in uno stato di trance, una serie infinita di immagini e avvenimenti gli attraversò la mente per un tempo che gli parve non finire mai,

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