Dal Vangelo Secondo Giuda. Andrea Lepri

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Dal Vangelo Secondo Giuda - Andrea Lepri

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andare a un moro di stizza e sbatté con forza un piede a terra, aveva appena avuto la conferma che il suo cammino verso la Gloria era ancora lungo e impervio, a dispetto dei risultati grandiosi che aveva ottenuto fino a quel momento.

      Di questo era consapevole da sempre, ma era convinto che pur di arrivare alla mèta valeva la pena di rischiare tutto ciò che aveva. Per la prima volta in vita sua, però, si trovò a domandarsi se avrebbe avuto la forza e la determinazione necessarie per portare a compimento quella sfida. Nell’Archivio Storico erano celati segreti troppo importanti, per potersi permettere che divenissero di dominio pubblico. Eppure, nonostante tutte le precauzioni prese e tutte le barriere costruite, qualcuno era riuscito a penetrarvi.

      «Lei è la migliore del Reparto Antisommosse, Ann, non è un caso che ne sia il comandante assoluto. Si dia da fare, faccia quello che meglio crede e usi i mezzi che ritiene più opportuni, ma trovi l’intruso. E lo trovi alla svelta! Se anche una soltanto, tra tutte quelle informazioni riservate, cadessero in mano a qualche cittadino, sarebbe un vero disastro. Un evento del genere produrrebbe un danno irreparabile ai nostri equilibri sociali» disse, poi se ne andò senza neanche attendere la risposta della donna.

      «Sempre Sia Lodato!» gli gridò polemicamente lei alle spalle per rinfacciargli la sua maleducazione, poi si rimise al lavoro sul terminale.

      «Hai spiato all’interno dell’Archivio Storico?» chiese Nicole quasi gridando, era sconcertata. «Devi essere impazzito! Se ti avessero scoperto, a quest’ora saresti rinchiuso in prigione. Ti avrebbero accusato di appartenere alla Setta e ti avrebbero somministrato ogni tipo di trattamento psicologico, pur di estorcerti informazioni.»

      «Ma quale Setta, sai bene che la Setta non esiste! E comunque non l’ho fatto di proposito, stavo navigando in rete quando ho notato che qualcosa non andava per il verso giusto. Mi sono ritrovato là dentro d’improvviso, probabilmente ho sfruttato involontariamente il varco creato da qualcun altro... una volta che ho capito dove mi trovavo, ho pensato che forse là avrei potuto trovare una soluzione ai nostri problemi» le spiegò Giuda allargando le braccia, ma lei continuò a scrutarlo seria, incapace di decidere se credergli o meno.

      «Io non ce la faccio più a vivere in questo modo, non ce la faccio più a vedere che ti allontani da me ogni giorno di più senza che io possa fare niente... non posso limitarmi ad aspettare che si compia la tragedia» cercò di giustificarsi lui dopo un attimo di silenzio lungo come un’eternità.

      Nicole lo guardò preoccupata, sapeva che non si sarebbe arreso tanto facilmente. Scese dalle sue ginocchia e tornò a sedere sulla poltrona di fronte, poi sospirò amareggiata e lo fissò dritto negli occhi, preparandosi ad ascoltare quello che era certa che non avrebbe mai voluto sentirsi dire. Lui le spiegò in poche parole che cos’era l’aborto terapeutico, praticato decenni rima, lei scattò in piedi.

      «Ma ti rendi conto di cosa sei arrivato a pensare?» gli chiese sgomenta, era incredula e profondamente adirata.

      «Lo so che è contro natura, che è una cosa orribile... ma io non so più dove sbattere la testa, non so più cosa fare! Quando sono da solo e mi lascio andare, penso a come potrebbe andare a finire e mi sento annientato. Mi prende un’agitazione che non riesco a contenere, il livello dell’adrenalina cresce in me con la disperazione, con la voglia di gridare e distruggere tutto ciò che ho intorno, con la voglia di fuggire in un posto che non c’è. E così mi ritrovo disteso a terra, paralizzato dal chip come quella maledetta notte, in preda a dolori tremendi e prigioniero di me stesso. Non te l’ho mai detto prima perché non volevo che ti preoccupassi per me, ma mi è già accaduto molte volte.»

      Nicole mise a fuoco la sua immagine come uscendo da uno stato di torpore, gli dedicò un lungo sguardo confuso, quasi quell’uomo fosse uno sconosciuto che vedeva per la prima volta in vita sua.

      «Hai pensato di uccidere nostro figlio, il frutto del nostro amore. Hai pensato di uccidere colui per il quale abbiamo già scelto un nome, per il quale abbiamo già pensato un futuro... siamo soltanto poveri esseri umani, non abbiamo il potere di decidere la vita e la morte dei nostri simili. Come sei arrivato a pensare di poter fare una cosa del genere?» Si voltò verso il fuoco come per scaldarsi, cingendosi le spalle con le sue stesse mani, lui riempì per l’ennesima volta il bicchiere. Quando se lo portò alla bocca vide nel vetro il riflesso deformato del proprio volto, allora lo posò e andò ad abbracciarla.

      «Non volevo farti soffrire. Non vorrei mai farvi del male, né a te, né a lui» sussurrò carezzandole delicatamente la pancia.

      «Ma la vostra vita è in grave pericolo e io vorrei poter fare qualcosa di più, che starmene qui a piangere e rimuginare. E invece tutto ciò che riesco a fare è continuare a sognare quel pazzo, che mi guarda col coltello in mano e ride. “Capirai, presto capirai” mi bisbiglia all’orecchio con la sua voce stridula, digrignando i denti gialli, e quello scricchiolio mi fa rabbrividire. Vorrei gridare e fuggire, oppure ucciderlo premendo quel dannato pulsante di sparo, ma non riesco a fare niente di tutto questo. La mia mano trema e non riesco a fare fuoco, ogni volta che lo perdo di vista mi ricompare alle spalle e ricomincia da capo, e io posso soltanto piangere, paralizzato a terra, mentre lui infierisce su di te. E allora mi sveglio di soprassalto pensando che sono un miserabile, che se mi fossi comportato da uomo tutto questo non sarebbe successo.»

      Mentre ascoltava le sue parole, Nicole si era come trasformata, aveva giunto le mani sulle ginocchia e le sue spalle si erano curvate in avanti come quelle di una vecchia. Pian piano aveva assunto l’espressione sconfitta di chi viene bruscamente svegliato da un sogno bellissimo, che pur desiderandolo con tutto sé stesso non riesce a riaddormentarsi per riprenderlo da dove l’aveva lasciato.

      «Io penso che se restiamo uniti ce la possiamo ancora fare» mormorò con un filo di voce, ma a Giuda sembrò che le sue parole avessero tutta l’aria di una preghiera, più che di un’affermazione.

      «Smettila di illuderti, smettila dannazione!» urlò, esasperato dai suoi modi rassegnati, si alzò di scatto e ribaltò il tavolino con un calcio. Lei sussultò per lo spavento e si rannicchiò in sé stessa, intimorita dalla sua reazione, lui l’afferrò per le spalle.

      «Devi guardare in faccia la realtà!» continuò a gridarle, scuotendola. «Probabilmente il bambino verrà alla luce già morto, e tu stessa rischi di morire! Di morire, capisci cosa voglio dire? Di abbandonare me e Jodie, di lasciarci soli per sempre!»

      «Lasciami, mi stai facendo male!» strillò a sua volta Nicole spingendolo via, sconvolta. Lui aveva preso a camminare avanti e indietro per la stanza, imprecando e dando pugni alle pareti come un matto.

      «E se il bambino non morirà» continuò, «nascerà con dei problemi gravissimi, e sarà l’unico o quasi, in un mondo popolato da esseri perfetti. Un mondo popolato da persone che non prendono mai un raffreddore, che vivono felici. Conoscerà l’emarginazione e i soprusi perché sarà debole, e l’ipocrisia, perché chi ha una bella vita non vuole vedere il dolore altrui neanche da lontano, non vuole nemmeno sfiorarlo. Che razza di vita sarà la sua? Avanti, rispondi! Che vita sarà?» le gridò in faccia con tutto il fiato che aveva.

      «Ora basta» mormorò lei. «Non puoi pensare davvero queste cose, non puoi essere così egoista. Non sei più l’uomo che ho sposato. La Legge parla chiaro, Dio dà la vita e Dio la toglie. Nessuno, se non lui, può decidere dei nostri destini. Nessuno, se non lui, può sapere cosa è giusto per noi e cosa no!»

      «Ma se Dio ci ama così tanto, perché allora ci sottopone a queste prove? Perché la vita di mia moglie e di mio figlio sono appese all’esile filo di una preghiera?» replicò lui a denti stretti. Appena finì la frase, la mano di Nicole partì veloce e lo colpì con tanta violenza da fargli girare la faccia dall’altra parte.

      «Stai

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