Saluta Il Mio Cuore Con Un Bacio. Dawn Brower
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“Non me ne vado” la rassicurò. “Premo solo il pulsante di chiamata”.
Aveva parlato di un’infermiera. Si trovava in ospedale? Doveva essere così; altrimenti nulla di tutto ciò avrebbe avuto senso. Che motivo avrebbe avuto Sullivan di essere lì? Dov’era sua madre? Lana si prese il tempo di guardarsi attorno. Riconobbe la stanza, o meglio, una delle stanze dell’ospedale. Si era già trovata lì lavorando come infermiera. Nella struttura erano disponibili solamente poche stanze per la terapia intensiva. Doveva essere ferita gravemente per trovarsi in una di esse. Il bip proveniva dai monitor attorno a lei. Misuravano il suo battito cardiaco, il livello d’ossigeno e la pressione sanguigna. Li guardò, valutando le cifre su di essi. Non sembrava andare male…
“La bella addormentata si è svegliata” disse un altro maschio. Alzò lo sguardo incrociando quello di Preston West. “Come ti senti?”
Si leccò le labbra. Erano un po’ secche e screpolate. La sua bocca era riarsa e la sua lingua le pareva di cotone. “Potrei avere dell’acqua?”
“Fra un momento” disse il Dottor West. “Devo esaminarti, poi l’infermiera ti porterà del ghiaccio”.
Annuì. “Dov’è andato Sullivan?” Aveva detto che non l’avrebbe abbandonata. Ma perché era rimasto? Loro non erano niente. Una volta sperava di essere qualcosa di più per lui. Una sciocca fantasia adolescenziale che morì altrettanto velocemente di quanto nacque.
“Sono qui” disse. Si voltò verso la direzione della voce. Era appoggiato alla finestra. Nel suo sguardo era presente un’intensità che le faceva venire i brividi lungo la schiena. La fissava come se non l’avesse mai vista prima. Doveva essere solo la sua impressione. Sullivan Brady aveva cose migliori da fare che prendersi cura di lei in ospedale. Avrebbe dovuto chiedere chi l’aveva costretto a sedersi accanto a lei. Sua madre avrà avuto bisogno di una pausa, e lui stava facendo una cosa onorevole.
“Non devi restare”, disse. “Sto bene adesso”.
“Non vado da nessuna parte, Lisanna” disse con decisione.
Era come se una parte di lei che aveva seppellito fosse stata riportata in vita alla menzione del suo verso nome. Non veniva chiamata Lisanna da anni, tutti la chiamavano Lana. Anche i suoi documenti all’ospedale erano intestati con il suo soprannome. Non molte persone si ricordavano di lei come Lisanna. Sua madre la chiamava ancora così in certe occasioni, solitamente quando si arrabbiava con lei. Sullivan non la chiamava Lisanna da così tanto tempo da essersi dimenticata come suonasse pronunciato da lui. Qualcosa doveva essere cambiato in lui, ma non era sicura se le piacesse.
Lana decise di ignorarlo e portò la propria attenzione su Preston. “Che cosa mi è successo?”
“Sei stata coinvolta in un incidente stradale con Jessica” rispose. “Che cosa ti ricordi?”
Le si accese una lampadina nella mente, e poi era come se udisse ancora lo stridere del metallo sul metallo. Le gomme che stridevano dallo sforzo—era stato orribile.
L’infermiera entrò in stanza e le porse un bicchiere di ghiaccio. Lana se ne mise un po’ in bocca con l’ausilio di un cucchiaio, ricordandosi che l’incidente non era più in corso. Non voleva riviverlo, ma temeva che l’avrebbe perseguitata nei suoi incubi per un po’ di tempo a venire. Dopo aver deglutito alcuni ghiaccioli alzò lo sguardo su Preston e rispose alla sua domanda, “la stavo portando all’ospedale”. Lana non voleva dirgli nulla di più. Jessica poteva già avergli confessato tutto, e nonostante pensava che il dottore avesse il diritto di sapere tutto, non era un segreto che Lana poteva condividere. “Un’auto ci ha colpite”.
“Esatto”, disse. “Jessica sta bene. È stata operata ed è stata dimessa un paio di settimane fa. Sarà felice di vedere che sei sveglia”.
Lana si accigliò. “Non è rimasta ferita?”
“Non ho detto che non è stato così”, rispose Preston. “Ha dovuto essere operata ulteriormente alla procedura che era stata programmata. Ma tu eri ferita molto peggio di lei”.
Se Lana avesse letto fra le righe, avrebbe appreso che Preston fosse al corrente dell’operazione alla quale Jessica doveva essere sottoposta in primis. Ad ogni modo non voleva rischiare. Dopo aver parlato con Jessica avrebbe compreso meglio che cosa le era successo.
“Che cosa mi è successo?”
“Quella stronza, Imogen, voleva vendicarsi di sua sorella, e vi ha colpite con l’auto” sbottò Sullivan. “Verrà condannata per tentato omicidio”.
Preston gli rivolse un’occhiata. “Non è il momento”.
Le labbra di Sullivan formarono una linea retta. Era incazzato…chi era la sorella di Imogen? Intendeva Jessica? Le faceva male la testa solamente a pensarci. Si massaggiò le tempie e riportò l’attenzione su Preston. La sua rabbia sembrava diretta ad Imogen. Si era reso conto della propria colpevolezza? Era uscito con lei accogliendolo nelle loro vite. A Lana non era piaciuta Imogen sin da subito, ed era prima che Sullivan iniziasse ad uscire con lei. Ovviamente non aveva aiutato il fatto che gli fosse piaciuta una bionda immatura, ma non era questo il punto. Lui non vedeva oltre il bel viso della ragazza, e voleva dare la colpa agli altri per le azioni di Imogen. Imogen, e solamente Imogen, era responsabile per il caos che aveva causato.
“Avevi una piccola ferita alla membrana attorno al cuore. Una delle tue costole ha bucato un polmone e ti ha tagliato il cuore. Fortunatamente non ti trovavi lontano dall’ospedale, ed i primi soccorsi sono arrivati velocemente, o avresti rischiato di non farcela”.
Lana deglutì. Una ferita al cuore sarebbe potuta essere fatale. Era fortunata di essere sopravvissuta. Se le fosse successo altrove, e se Preston non fosse stato il suo dottore…allontanò il pensiero. Le cose succedono per una ragione. Non era sicura quale fosse al momento, ma l’avrebbe scoperto in seguito.
“Per quanto sono rimasta incosciente?”
“Troppo” mormorò Sullivan sottovoce.
Preston gli rivolse un’altra occhiataccia. Sullivan era restato al suo fianco più a lungo di quanto pensasse? Avrebbe posto ulteriori domande dopo essersi riposata. Sorprendentemente era ancora stanca, nonostante avesse sicuramente dormito per giorni. Essere feriti faceva schifo.
“Sullivan ha ragione” disse Preston con fare allegro. Stava probabilmente cercando di lusingarla per non farla preoccupare. Una ferita al cuore era qualcosa di serio, e se la sua pressione sanguinea si fosse alzata, avrebbe complicato le cose. “Sei stata incosciente per una settima. Mi aspettavo di tenerti sotto osservazione per un’altra settimana, ma mi sento a mio agio a dimetterti”.
Lana grugnì. “Odio essere una paziente”.
“A nessuno piace stare in ospedale” disse Preston ridacchiando. “Non ti preoccupare. La renderemo il più facile possibile per te. Me ne vado così puoi riposare”. Poi guardò Sullivan e disse con decisione, “Dieci minuti e poi te ne vai anche tu”.
Stranamente Sullivan annuì senza ribattere. Lana non avrebbe dovuto essere sorpresa dal suo essere d’accordo con il dottore. Lana e Sullivan non avevano un rapporto facile, e forse il ragazzo non vedeva l’ora di uscire dalla stanza. Preston e l’infermiera uscirono, lasciandola sola con Sullivan.
“Non ho bisogno che tu resti tutti i dieci minuti” disse Lana. “Sono stanca. Puoi dire a mia madre che vorrei vederla domattina?”
“Lo