Saluta Il Mio Cuore Con Un Bacio. Dawn Brower
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Di cosa diavolo voleva parlargli il manager dell’ufficio contabilità? Sperava fossero buone notizie, ma temeva il peggio. Il modo in cui stavano andando le cose ultimamente non presagiva niente di buono. C’erano state alcune cose belle—come il ritorno di sua sorella scomparsa da tempo, ma oltre a quello, Sullivan si sentiva come se il mondo stesse crollando attorno a sé. Non aveva idea di che cosa stesse succedendo, ma ogni giorno il suo intero essere vibrava con una sorta di energia tumultuosa sul punto di esplodere. C’era stato un tempo in cui sapeva esattamente che cosa volesse dalla vita, ed era cosciente di che direzione prendere. Ora invece non era mai stato così confuso.
Portò la sua attenzione su Ali e disse, “fallo entrare”.
“Sì, Signore” rispose la donna chiudendo la porta dietro di sé nell’uscire.
Si sedette dietro la propria scrivania ed appoggiò i gomiti sul piano. Si ricompose prima che Wilson Stuart entrò nel suo ufficio. Se non avesse chiarito questa cosa al più presto, la Brady Blue avrebbe iniziato a soffrirne. Suo padre, Malachi Brady, aveva affidato la compagnia a lui, e Sullivan non aveva intenzione di deluderlo.
La porta del suo ufficio si aprì, e Wilson Stuart entrò. “Grazie per aver trovato del tempo per me” disse accomodandosi sulla sedia di fronte alla scrivania. Stava perdendo i capelli marrone scuro, ed alcuni ciuffi ai lati si erano fatti grigi. Indossò gli occhiali e posò una pila di cartelle sulla scrivania.
“Che cosa sono?” domandò Sullivan indicando i documenti.
“Per la maggior parte sono note spese” rispose. “Ma contengono anche ricevute di consegne alla compagnia, insieme altri vari documenti commerciali”.
La testa di Sullivan stava cominciando a fargli male. Doveva tirare fuori a forza le informazioni da Wilson? Perché non gli diceva che cosa diavolo voleva? Era stato un errore venire in ufficio. Il suo pessimo temperamento stava per esplodere e riversarsi sul suo manager migliore. “Ho molto da fare. Per favore non sprecare il mio tempo”. Il suo tono era forse più schietto del solito, e Wilson sussultò appena. Sullivan non aveva potuto fare altrimenti.
“Mi rendo conto che lei sia impegnato, e mi scuso per aver interrotto la sua giornata”. Estrasse una delle cartelle dalla pila e l’aprì. Fece scivolare un foglio di calcolo sulla scrivania di fronte a Sullivan. “Questa è la nota spese da parte della fondazione. In superficie sembra che vada tutto come dovrebbe”.
Significava che c’era qualcosa di sospetto… “Ma?”
“Subito non me ne sono accorto. Riceviamo molte note spese, e le revisioniamo prima di aggiungerle in bilancio. Non abbiamo mai avuto ragione di scavare più a fondo, ed abbiamo accettato le somme. Ma questa mi è stata segnalata perché la mia assistente si è offerta volontaria per raccogliere i fondi. Era coinvolta nella fondazione, e si è resa conto che la somma non tornava”.
Merda. “È un errore?” domandò Sullivan. Per favore fa che si tratti di un errore di battitura o qualcosa del genere. Non voleva gestire altre stronzate interne alla sua compagnia.
“Subito ho pensato che lo fosse, ed ho contattato la responsabile della fondazione, la quale mi ha liquidato dicendomi che si trattava di un errore commesso dalla sua assistente quando aveva archiviato la nota”. Wilson allungò la schiena, e nel suo tono si fecero strada irritazione ed indignazione. “Il suo comportamento è stato troppo indifferente affinché lasciassi perdere. Molti soldi vengono sottratti all’ospedale e ad altre associazioni alla quale la fondazione fa delle donazioni, causa quell’errore. Non mi piace quando i totali non tornano come dovrebbero”.
“Fammi indovinare, hai scavato più a fondo” disse Sullivan. Che Dio l’aiuti. Se qualcuno stava rubando dalla fondazione l’avrebbero pagata cara.
“Vorrei il suo permesso per realizzare una revisione completa” rispose. “Questo è una piccola somma rispetto a ciò che ho scoperto con le mie ricerche, ma se non mi sbaglio, parliamo di milioni di dollari che sono stati trasferiti all’interno della fondazione nel corso degli anni passati. Devo seguire la scia dei soldi e scoprire non solo chi sta facendo tutto questo, ma anche dove sono finiti i soldi”.
Era ciò che temeva Wilson avrebbe detto. “Vuoi che intanto incontri il responsabile della fondazione e che le chieda che diavolo sta succedendo?”
Scosse il capo. “Non voglio che capiscano che stiamo investigando, o avranno tempo di coprire le tracce. Lasciamo che pensino che non abbiamo capito che cosa stanno facendo. Non posso essere ancora certo di chi sia il colpevole”.
Sullivan annuì. Se fosse stato in grado di ragionare lucidamente gli sarebbe già sovvenuto. Doveva andarsene dall’ufficio e sistemare in fretta questa faccenda di Lana. “Tienimi informato” disse. “Voglio che mi contatti appena saprai qualcosa. Non m’importa che ora o che giorno è”.
“Certo” disse Wilson. “Faro in modo che riceva rapporti regolari su tutto ciò che scoprirò nel corso dell’indagine. Ora devo analizzare molti documenti. Buona giornata”. Con ciò Wilson uscì dall’ufficio portandosi con sé le cartelle.
Quando venne chiusa la porta, Sullivan prese a ronzare nella stanza come se fosse stato una tigre in gabbia. Forse se fosse andato in palestra sarebbe stato in grado di sfogarsi. Dubitava però che sarebbe stato abbastanza per buttare tutto fuori, ma almeno sarebbe stato ciò che gli serviva per rilassarsi. Guardò fuori dalla finestra verso il centro di Envill. La città in cui vivevano non era grande, ma nemmeno troppo piccola. Avevano tutto ciò che serviva: ospedale, comando di polizia, ed alcune grandi compagnie. Se qualcuno avesse voluto sarebbe ancora stato possibile perdersi, ed allo stesso tempo Evill trasmetteva la sensazione di una piccola città in cui si potevano incontrare casualmente delle conoscenze.
“Che cosa succede? Sembri pensieroso”. Il suono della voce di sua sorella lo riportò al presente. Si voltò per guardarla, e le rivolse un sorriso.
“Niente di cui tu ti debba preoccupare. Lavoro”. Ed il mondo che crollava attorno a sé—nonostante non l’avrebbe mai ammesso.
“Eppure ho dei dubbi” disse Dani. “Ti rendi conto che non devi farti carico del peso del mondo da solo, vero?”
Non le avrebbe mai sottoposto nessun problema. Aveva avuto una vita difficile e sarebbe dovuta essere coccolata. Dani forse si credeva dura e capace, ma per Sullivan sarebbe sempre stata la sorellina che aveva perso. La sua scomparsa l’aveva reso l’uomo che era, e non poteva cambiare nemmeno se l’avesse voluto. La maggior parte del tempo gli piaceva chi era, ed il resto del mondo sarebbe potuto andare all’inferno.
“Ma io lo faccio meglio degli altri” rispose lui in tono arrogante. “Perché mai dovrei dare a qualcun altro l’opportunità di svolgere un lavoro inferiore?”
Dani si portò i capelli scuri dietro l’orecchio e gli rivolse un’occhiata. “Il tuo fascino non funziona su di me, quindi piantala”.
Lui si portò la mano sul petto e disse, “così mi ferisci”.
Il suono della risata di sua sorella aleggiò nella stanza. Adorava vederla felice, e sperava che nient’altro la ferisse mai più. Un uomo malvagio le aveva sparato due mesi prima ed era quasi morta. Sullivan credeva che niente sarebbe mai riuscito a spaventarlo, almeno fino a quando l’aveva vista coricata a terra con la camicia madida di sangue ed il respiro irregolare. Poi, in poche settimane, aveva provato lo stesso terrore guardando Lana in un letto d’ospedale. Era abbastanza