Le Tessere Del Paradiso. Giovanni Mongiovì

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Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì

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così il terreno all’arrivo del califfo. La restrizione di Majone che proibiva ai saraceni di portare armi aveva certamente svantaggiato gli uomini di Amjad, tuttavia aveva avuto la conseguenza di fare inabissare il loro raggruppamento nel silenzio e nell’ombra, senza che nessuno si preoccupasse della sua esistenza.

      Col passare dei mesi le file dei rivoltosi si ingrossarono, sennonché quell’atteso segnale che avrebbe dovuto richiamare alla guerra i saraceni di Sicilia tardò ad arrivare. Una causa che si regge su una promessa prossima a realizzarsi è sicuramente una causa destinata al fallimento quando l’attesa supera l’aspettazione… E così per Amjad tenere uniti tutti quegli uomini, specie i meno convinti, divenne sempre più complicato. L’entusiasmo, che era alto in primavera, andò scemando in estate e parve scomparire del tutto in autunno. L’eunuco dovette attingere allora alle migliori argomentazioni per rinvigorire lo zelo che quelli avrebbero dovuto conservare per la battaglia. Ma fu adesso che la paura della defezione si materializzò con la più terribile delle sorprese.

      La giovane Naila aveva limitato la sua complicità negli affari del fratello alla sola disponibilità dell’abitazione. Sapeva bene in quali guai Amjad si stesse cacciando e aveva assistito alla sua progressiva radicalizzazione sin da quando questi era entrato in contatto col vecchio Forriāni. Comunque sia, indottrinata dall’amato congiunto, aveva anche riposto le sue speranze nell’avanzata degli almohadi, affinché ricostituissero le basi per una nuova Sicilia islamica. Nondimeno, all’ingresso di novembre, qualcosa in Naila parve improvvisamente cambiare.

      Un giorno questa informò il fratello che attorno al suo appartamento circolavano da qualche tempo alcune guardie reali, e che alcune voci dicevano che stessero lì per indagare riguardo a certe riunioni di rivoltosi. Amjad ci credette e prese le sue precauzioni, salvo scoprire poco dopo che Naila si era inventata tutto. Per l’eunuco del Re quella ragazza aveva da sempre rappresentato la più forte ragione di vita, l’unica persona che aveva amato quasi come si ama una moglie. Amjad ne uscì deluso, tradito, e una gelosia mai provata prima lo pervase da testa a piedi. Avrebbe potuto affrontarla, avrebbe potuto ricercare una spiegazione direttamente parlandole, tuttavia conosceva già quella malattia che induce le donne a mentire; Margherita di Navarra era stata colpita da un simile cambiamento il giorno in cui Majone era entrato nella sua vita e aveva cominciato a tradire Guglielmo. Amjad ne era sicuro, Naila si era innamorata di un uomo e costui si stava sostituendo al suo affetto e alle sue cure. Decise allora di indagare e non ci volle molto per scoprire che Naila, senza la presenza di un protettore che la limitasse nelle libertà, lasciava giornalmente la sua abitazione per incontrarsi con un tale raccoglitore di conchiglie di nome Vittore. Amjad rimase sconvolto. Se si fosse trattato di un circonciso se ne sarebbe fatto una ragione, ma saperla tra le braccia di un infedele demolì la sua anima. Inoltre Naila era una donna raffinata e molto bella; che cosa poteva avere mai in comune con uno che vendeva conchiglie e pesce al mercato del porto? Amjad proprio non si dava pace e, non riuscendo neppure a guardare in faccia l’amata sorella, decise che avrebbe posto fine a quella relazione sentimentale affrontando quel giovanotto che abitava sulla punta del Cassaro.

      Il cinque del mese, poco prima di mezzogiorno, si recò al mercato del pesce portando con sé cinquanta tarì46. Benché avesse smesso per quel giorno le sue vesti di seta e i suoi gioielli, non passavano inosservate la sua pelle liscia, la bellezza dei suoi occhi e la sua camminata raffinata; in molti si voltarono al suo passaggio e all’olezzo emanato dai suoi lunghi capelli, mormorando tra di loro che quello doveva essere sicuramente uno degli eunuchi del Re. Amjad avanzava tra la folla privo di seguito o scorta, intenzionato a risolvere la questione senza fare troppo rumore. Temeva, infatti, che se si fosse saputo l’inghippo, la reputazione della sorella ne sarebbe uscita compromessa dinanzi alla comunità islamica della città. Amjad, che già faticava a tenere alto lo zelo dei suoi, sapeva che la sua credibilità ne sarebbe uscita macchiata qualora per risolvere la questione non avesse agito con risolutezza. Prima di predicare l’epurazione della Sicilia dal male degli infedeli, ogni suo seguace gli avrebbe chiesto di ripulire la sua stessa casa. Per tutte queste ragioni Amjad doveva muoversi con segretezza.

      Gli indicarono il banco del venditore di conchiglie, proprio quello in fondo alla strada e il più vicino alla discesa per il mare.

      Vittore era un giovane uomo discretamente più alto della media e muscoloso. Portava sul viso un perpetuo ghigno di fierezza e una cicatrice sulla guancia sinistra appena al di sopra della folta barba. Vestiva gli abiti della gente comune, ma, controcorrente agli altri venditori, non indossava giacca e mantello, lasciando scoperte le braccia a sprezzo del clima del periodo. I suoi capelli erano scompigliati e bruni, e le sue sopracciglia folte; un aspetto selvaggio, benché non spiacevole, che rese più volte perplesso e confuso Amjad. L’eunuco dubitò perfino che quel tizio fosse davvero lo spasimante di Naila.

      Vittore bandiva la sua merce, gridando:

      «Pesce per i figli e collane per le mogli!»

      Ovviamente lo diceva nel latino del popolo, la lingua a cui era più avvezzo.

      «Volete una collana?» domandò Vittore non appena Amjad si fu accostato al banco.

      «Una collana per femmina…» puntualizzò ancora il venditore, scambiandosi occhiate con Duccio, l’amico del banco accanto, e ridacchiando per via di quell’allusione sull’assenza di mascolinità del cliente appena giunto.

      «Sì, una collana…» rispose l’eunuco pieno di imbarazzo.

      Vittore allora gliene mostrò una decina, tutti monili creati da lui con le più belle conchiglie che era riuscito a trovare sulle spiagge dei dintorni di Palermo.

      «Quale vi piace?»

      E Amjad ne indicò una a caso.

      Adesso tuttavia il viso di Vittore cambiò espressione e, parlando sottovoce, chiese:

      «Non vorrete farmi credere che un eunuco del Re, che per certo può permettersi di indossare oro, argento e pietre preziose, si spinga fin qui per comprare i gioielli dei poveracci…»

      «Se voi immaginate già qualcosa… è quello!» rispose serio Amjad, non lasciandosi intimorire dal tono sospettoso del venditore.

      «Io non immagino proprio niente.» chiosò Vittore, ritornando a sorridere beffardo.

      La sacca contenente le monete d’oro tintinnò adesso sul banco.

      «Cinquanta tarì.»

      Vittore si guardò attorno circospetto e recitò ancora:

      «Voi confondete il valore di ciò che intendete acquistare.»

      «La vostra insulsa collana… e che lasciate in pace la mia Naila…»

      «Allora credo che la posta valga più di cinquanta monete d’oro.» spiegò Vittore, ritornando serio da far paura.

      «Suvvia, pezzente, dove lo hai mai visto tutto questo denaro?»

      Vittore, che era ricco d’orgoglio anche se povero di beni, emise un lungo respiro.

      «Prendete il vostro denaro e non fatevi più vedere!»

      E dunque, ritornando a fissare la folla, riprese a gridare:

      «Pesce per i figli e collane per le mogli!»

      Se Vittore passava sopra all’insulto e non rispondeva col coltello, quello con cui sbudellava il pesce per intenderci, lo faceva per non finire nei guai. Sapeva quali ripercussioni avrebbero potuto subire lui e la sua famiglia nel momento in cui avesse colpito un eunuco del Re. Comunque sia, adesso fu Amjad a dare in escandescenza.

      «Va

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<p>46</p>

Tarì: fu una delle monete principali utilizzate in Sicilia dal periodo arabo sino al XIX secolo. Letteralmente significa “fresco di conio”.