Le Tessere Del Paradiso. Giovanni Mongiovì
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì страница 16
«Al cuore di tuo figlio è stato legato il peggior fardello che un uomo possa sopportare!»
«Ho addestrato bene il mio ragazzo e per lui sarebbe un fardello maggiore dover portare il disonore per aver disubbidito alla mia parola.»
«Quanto coraggio, Maestro mio!»
«Intollerabili sono le voci che giungono dall’Ifrīqiya33. I contingenti cristiani del Re di Sicilia non mostrano alcun rispetto per la razza nostra, e numerose sono le voci delle angherie e dei soprusi che sono costretti a subire le donne e i bambini delle città sulla costa. Come potremmo continuare a lavare le nostre mani con l’acqua della purificazione se intanto la nostra coscienza è sporca dei patti conclusi con questi infedeli? Come potremmo continuare ad inchinarci per la ṣalāt34 se intanto abbassiamo il capo di fronte a questi miscredenti? Non possiamo permettere che la condizione dei nostri fratelli divenga come quella dei credenti di Sicilia. Palermo è ancora piena di minareti, è vero… e si ode ancora il canto del muezzin; ma a quale prezzo? Ho conosciuto un fratello proveniente dalle campagne… questi piangeva mentre mi narrava di come i suoi figli siano stati pronti a rinnegarlo pur di abbracciare la religione dei cristiani, una fede ben più conveniente e rimunerativa da queste parti. I re di Sicilia sviano i fedeli con il fascino dell’oro, ma nei villaggi i baroni non mostrano sempre la stessa condiscendenza; pur di non incorrere nello svantaggio sociale si preferisce allora l’abiura della retta via. È giunto il momento, Amjad, e così ho pure mandato a dire ad Omar.»
L’eunuco della Regina prese a piangere, commosso da tanto coraggio e col cuore spezzato per via della sicura condanna a morte del suo mentore.
Più tardi Guglielmo chiese a Forriāni di richiamare all’ordine il figlio, ma, com’è facile immaginare, l’anziano ‘amil negò l’intromissione. L’ostaggio, un tempo consegnatosi volontariamente come prigioniero, venne quindi rinchiuso e messo ai ceppi.
Dato che Forriāni dimostrava di non tenere per nulla alla sua vita, Gugliemo pensò allora che le armi potevano ancora essere evitate facendo leva sull’amore che un figlio dovrebbe nutrire per suo padre. Non era certo l’impressione del sangue che una guerra comporta a far tentare l’ultima a Guglielmo, ma il costo di un nuovo conflitto, qualcosa che in quel momento non poteva permettersi, impegnato com’era in Terraferma a sedare la rivolta dei baroni ribelli e a respingere la coalizione del papa e dell’Imperatore d’Oriente. In barba quindi alla giustizia di cui erano meritevoli le vittime cristiane mietute dal nuovo carnefice saraceno, Guglielmo mandò un messaggero fino a Sfax, recando minacce come ricompensa alla disubbidienza e promesse come premio ad un nuovo giuramento di sottomissione. Ma Omar, avendo già informato gli amici del padre che la volontà di questi era il martirio, ne organizzò il funerale, sorreggendo una bara vuota e mettendola in bella mostra sulla spiaggia, affinché il messaggero dei siciliani sulla barca potesse recepire una risposta esplicita.
Fu così che al ritorno dell’inviato del Re a Palermo, Guglielmo decise di attuare la punizione per colui, che a suo discapito, aveva deciso di tradire i giuramenti. E fu così che ebbe luogo l’esecuzione descritta poc'anzi, quel rogo che Amjad contemplò con orgoglio e con la promessa che la causa dei saraceni di Sicilia sarebbe stata onorata fino alla fine, così come Omar stava onorando quella dei credenti d’Africa.
Capitolo 9
Inverno 1159/1160 (554 dall’egira) Balermus
Nel giro di pochi anni tutte le città d’Africa appartenute ai siciliani finirono per ribellarsi. A Sfax seguirono Gerba35, Tripoli d’Occidente36 e molte altre. All’ingresso del 1159, di quell’impero che era stato il simbolo della grandezza di Ruggero, rimaneva solo Mahdia37. Tuttavia né Omar di Sfax, figlio di Forriāni, né gli altri capi locali che si erano scossi di dosso l’ingombrante giogo dei cristiani, riuscirono a mantenere a lungo il loro potere. Se alcuni di questi infatti furono in grado di resistere al contrattacco dei siciliani, non poterono nulla contro Abd al-Mu’min, califfo degli almohadi38. Questi giunse dall’Andadus39 e dal Maghrib40 per sottomettere tutto ciò che gli capitasse a tiro, e nella seconda metà del 1159 cinse d’assedio la fortezza di Mahdia, presso la quale si rifugiavano i cristiani e quei saraceni che gli erano avversi.
Benché il presidio cristiano fosse sotto ogni aspetto in svantaggio rispetto agli almohadi, esso poteva contare sulle formidabili difese della città e sul valore dei soldati, il fior fiore degli uomini in armi del Regno. Abd al-Mu’min, accompagnato da Hasan, l’emiro ziride41 di Mahdia cacciato da Ruggero anni prima, circondò allora per mare e per terra la penisola su cui sorge la città. Era una questione di tempo e presto la fame sarebbe sopraggiunta, piegando pure i più abili ed irriducibili soldati siciliani. La richiesta d’aiuto partì veloce per la corte di Palermo, ma la flotta di Guglielmo fu avvistata solo dopo molti giorni.
Il naviglio cristiano era numeroso, esperto e potente; perfino Costantinopoli aveva dovuto chinare il capo di fronte alle galee siciliane. Comandava la flotta un certo gaito – così come ormai venivano chiamati i capi, o per dirla all’arabesca i qā’id – di nome Pietro. Questi era un eunuco saraceno convertito al Cristo per avidità e convenienza, e asceso al ruolo di comandante.
Guardando la fila di centocinquanta galee giungere dall’orizzonte, perfino Abd al-Mu’min, la cui fede lo portava sempre a valutare l’impossibile, ammise che sul mare non vi fosse speranza alcuna di battere i siciliani. Il califfo fece perciò schierare sulla spiaggia l’esercito e si preparò ad un prossimo sbarco. Quel giorno, tuttavia, pure il vento gridava Allahu Akbar42, soffiando avverso ai cristiani. E così, quando i saraceni si accorsero della difficoltà con cui i siciliani arrancavano controvento, saltarono a bordo e ingaggiarono lo scontro. Dopo non molto il gaito Pietro se ne tornava con la coda fra le gambe, avendo tremato innanzi alla marea umana dei soldati sulla spiaggia, avendo perso alcune imbarcazioni, volendo preservare il resto della flotta, e forse – e di questo l’avrebbero accusato in patria – non volendo combattere contro un così glorioso servitore di Allah… Dio degli almohadi e segretamente Dio suo.
Abd al-Mu’min sapeva che la flotta di Guglielmo sarebbe tornata. Adesso, però, tentennava a dare il colpo di grazia sul presidio, temendo che se avesse compiuto un massacro su quei cristiani, avrebbe innescato la vendetta della corte di Palermo, la quale probabilmente si sarebbe rivalsa sugli stessi mori di Sicilia. Poi, inaspettatamente, giunse tra le sue mani una missiva… ed allora gli fu chiaro cosa fare.
A Palermo, Amjad si adoperava per la sconfitta del suo signore, e come la più abile delle spie e il più spregiudicato dei traditori, si muoveva nell’ombra per favorire in tutto e per tutto Abd al-Mu’min. Egli, essendo il confidente della Regina, poteva usufruire di un canale privilegiato dal quale recepire le informazioni più sensibili. Non che la Regina presenziasse alle sedute della Curia Reale43, ma presenziava allo stesso letto di Majone e da lui poteva sapere molte cose.
Un giorno Margherita di Navarra, guardando il suo amante rivestirsi e avendo nelle orecchie i racconti di terrore che giungevano da Mahdia, chiese:
«Sono sicura che voi non avreste fallito di fronte a quel sanguinario predone.»
«Se il gaito Pietro ha mancato il colpo, ben poco avrei potuto io.»
Dunque
33
Ifrīqiya: regione corrispondente all’attuale Tunisia e ad alcune parti dell’Algeria e della Libia. Letteralmente “Africa”, essendo il termine derivato da ciò che i romani e poi i bizantini definivano Africa (provincia d’Africa).
34
Ṣalāt: la preghiera canonica islamica, recitata obbligatoriamente dai musulmani osservanti cinque volte al giorno ed anticipata dall’adhān (il richiamo alla preghiera) del muezzin.
35
Gerba: isola dell’Ifrīqiya, oggi ubicata nella Tunisia meridionale.
36
Tripoli: in arabo Ṭarābulus. Città storica dell’Ifrīqiya ed attuale capitale della Libia. Chiamata anche Tripoli al-Gharb o Tripoli d’Occidente per differenziarla dall’omonima città libanese.
37
Mahdia: città costiera dell’Ifrīqiya, ubicata nell’attuale Tunisia. Antica capitale della dinastia ziride, chiamata in arabo Mahdiyya.
38
Almohadi: dinastia berbera di religione musulmana che dominò il Maghreb e la Spagna dal XII al XIII secolo.
39
Andalus: nome con cui gli arabi chiamavano la Spagna musulmana. Il termine si è conservato nel nome della regione più a sud della penisola iberica.
40
Maghrib: in arabo letteralmente “occidente”. Oggi il termine indica tutta la metà del Nordafrica occidentale, ma nella lingua araba si intende in senso stretto il Marocco.
41
Ziridi: dinastia berbera di religione musulmana che dominò l’Ifrīqiya dal X al XII secolo.
42
Allahu Akbar: letteralmente “Dio è il più grande”. Si tratta di un’espressione araba comune nel mondo islamico e presente nel Corano, nel ṣalāt e nell’adhān.
43
Magna Curia: organo centrale dell’amministrazione pubblica nel Regno di Sicilia.