Le Tessere Del Paradiso. Giovanni Mongiovì

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Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì

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peso mai avvertito in precedenza piombò sulle spalle di Alessio, il senso di colpa e la dannazione per quella vita spezzata appena qualche ora prima. Più in basso, proprio nello stomaco, cominciava a configurarsi la delusione per quella speranza, la voglia di sentirsi parte di una famiglia, adesso irrealizzabile. Certamente quella donna in fin di vita si era inventato tutto, forse per vendicare l’abbandono di molti anni prima, e aveva tirato in ballo l’unico nome di un nobile siciliano che ricordava, quello di Giordano di Rossavilla.

      Così Alessio trovava le risposte che cercava interpretando i segni inviati da Dio. Con rammarico comprendeva che avrebbe dovuto farsi frate e ritirarsi in contemplazione, poiché andando in direzione opposta alla sua vocazione era finito in balia dei capricci del Diavolo.

      La sera, dopo aver finto per tutto il giorno che non fosse successo nulla, trattenne Onesimo oltre l’orario di lavoro. E dunque, quando il più giovane si accorse della sua inquietudine, Alessio gli afferrò un braccio e lo supplicò:

      «Ragazzo, devi confessarmi!»

      Il disagio nato da quella richiesta scomparve quando Alessio ammise:

      «So benissimo che non è nelle tue facoltà la possibilità di impartire questo sacramento, ma sei l’unico amico che mi rimane.»

      Perciò cominciò:

      «Ho ucciso un uomo… un uomo innocente…»

      «Allora è vero quel che si dice di voi!» esclamò stupefatto Onesimo, il quale l’aveva sempre creduto incolpevole.

      «Ti stupirai sapendo che nel mio caso ho ricevuto la sentenza prima di compiere il reato…»

      Sconvolto oltre ogni dire e profondamente turbato, Onesimo fece fatica a giudicare l’anima redenta oltre la carne peccaminosa che aveva davanti. Alla fine seppe solo dire:

      «Vi assolva Dio che scruta i cuori.» e con una scusa si accomiatò dal suo mentore, deluso da quell’uomo che finora aveva aiutato senza riserve.

      A questo punto, ancora frastornato e senza nessuna voglia di vivere, Alessio non era più sicuro nemmeno della genuinità del proprio cuore. Credette di sentirsi in tutto e per tutto come si sente un malvagio.

      L’esperto maestro d’arte d’altro canto faceva parte di quel tipo di uomini che dopo il peccato e l’errore cercano in tutti i modi di rimediare – la ricerca di Zoe, dopo tanti anni dai suoi sbagli di gioventù lo dimostrava pienamente – e adesso avrebbe rimediato pure all’ultimo atroce peccato se avesse potuto. Essendo tuttavia la vita qualcosa di esclusiva competenza divina, l’uomo non può ridare ciò che toglie.

      Alessio aveva abbozzato sulla calce del supporto i soggetti che avrebbe dovuto realizzare in mosaico. Si trattava di alberi esotici e palme, di animali reali e fantastici: leoni, pavoni, cervi e leopardi, ma anche grifoni e centauri. Quella sera, alla luce tremula della candela, mentre se ne stava disteso sul suo giaciglio, li vide prendere vita. Quello che sarebbe dovuto diventare il Paradiso che il Re tanto desiderava adesso si manifestava nella sua mente come l’Inferno. Alessio si addormentò fissando quelle figure, e pochi minuti più tardi quelle bestie gli sbranavano le carni e lo dilaniavano. Uno dei pavoni disegnati con tanta precisione sul muro adesso gli beccava il cuore. Alessio si svegliò di soprassalto e per quella notte ebbe timore a riaddormentarsi, sicuro che nel sonno i demoni della sua mente si sarebbero destati nuovamente per molestarlo.

      L’indomani Onesimo non si presentò e questo tormentò Alessio non meno degli inquietanti sogni della notte appena trascorsa. Rimuginò per tutto il giorno su quanto inutile fosse diventata la sua vita e concluse che dopo il tramonto, quando se ne sarebbero andati tutti, si sarebbe lanciato dalla loggia. Nondimeno, quando i manovali lasciarono la sala, Mattia si presentò tutto intristito. Alessio sorrise… ora lo sfiorava una malsana idea: avrebbe reso un bene al mondo tirandoselo dietro giù dalla balaustra.

      «Che avete, mio Signore?» chiese l’abile artista, questa volta recitando.

      Alessio boicottava la sua onestà in luogo dell’ipocrisia di chi si spaccia falsamente amico.

      «Una nuova minaccia incombe sulla nostra causa!»

      «Credevo che il gaito Luca fosse l’ultimo pericolo.»

      «Qualcuno vi ha visto allontanare dalla locanda.»

      «Vi riferite al tizio che ha provato ad ammazzarmi?»

      «No, non a quello… a quanto pare il gaito Luca se ne stava da solo quando venne ritrovato. Chiunque fosse colui che vi ha attaccato aveva buone ragioni per dileguarsi prima che qualcuno chiamasse le guardie.»

      Qualcos’altro non quadrava in quella storia. Il nobiluomo che l’aveva aggredito si era volatilizzato nel nulla, probabilmente perché, così come diceva Mattia, lì non doveva esserci. Si trattava forse di un ricercato? Alessio non lo sapeva né poteva chiedere in giro. Tuttavia, riflettendoci, qualche elemento in più per capire la questione ce l’aveva. Il gaito Luca, in preda al terrore, aveva gridato: «Mia Signora, ci attaccano!». C’entrava una donna quindi; ma chi? E perché in luogo di una donna era venuto giù un uomo? Si trattava forse di amanti… una relazione illegittima che il gaito Luca stava proteggendo? Alessio suppose molte cose in pochi minuti.

      «Le guardie si mobilitarono non molto dopo; chi diede l’allarme?» chiese ancora il maestro d’arte.

      «Vittore!»

      «Un uomo con pochi anni meno di me…» descrisse Alessio, credendo ancora che quello fosse il nome della persona che l’aveva assalito.

      «No, Vittore è una persona giovane.»

      «Non c’era nessun giovane quella notte, né dentro né fuori la locanda.»

      «Le case di Palermo hanno gli occhi, Mastro Alessio! Vittore, il venditore di conchiglie, vi ha visto, anzi ha visto entrambi… a voi uscire dalla locanda e a me starmene ad aspettarvi lì vicino. Essendo che mi ha riconosciuto quale eunuco del Re, ha bazzicato attorno al Palazzo per due giorni. Stamattina mi ha ritrovato, proprio mentre mi recavo dalla vostra Zoe… e sapete cosa mi ha detto?»

      «Cosa?»

      «Che avrebbe saputo indicare me e voi ad un processo. Quindi mi ha chiesto del denaro per il suo silenzio… molto denaro.»

      «Dategli quanto chiede e mettetelo a tacere!»

      «Non dispongo di quella cifra; forse voi sì?»

      «Vi risparmio pure di riferirmi l’entità della cifra… sapete benissimo che ho perso tutto.»

      «Dunque dovremo agire come l’ultima volta, rapidi e incisivi.»

      «I manovali affidati al mio comando mi hanno riferito giusto stamattina che l’Ammiraglio del Regno, tale Majone, sta rivoltando la città da cima a fondo, intenzionato a prendere l’assassino del gaito Luca.»

      «Sciocchezze! Neppure il Re si è scomodato a rientrare a Palermo dopo il misfatto.»

      «Che il vostro sovrano sia molle e disinteressato è cosa risaputa… e che deleghi il suo ministro anche.»

      Mattia sorrise e rispose:

      «Avete capito tutto di questo Regno pur standovene tra quattro mura!»

      «Perciò prendete tempo con chi vi ricatta e aspettate che le acque si calmino.»

      «Abbiamo

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