Le Tessere Del Paradiso. Giovanni Mongiovì

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Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì

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vostra Zoe non ci pensate? Non volete rivederla, fosse l’ultima cosa che farete?»

      Alessio tornò a guardare il vuoto, pensieroso e confuso. Poi sbottò:

      «Andatevene via da qui!»

      E spinse Mattia fino al corridoio.

      Alessio ansimava mentre richiudeva la porta e poggiava le spalle contro il muro. Nella penombra della candela si guardò perciò le mani, arnesi che in vita sua avevano solo creato e mai distrutto. Dunque, sollevando lo sguardo, si accorse che nella confusione il nastro per capelli era finito per terra nel bel mezzo della stanza.

      «Mio Signore, concedimi le armi per combattere il male!» sospirò in una sorta di preghiera mentre fissava la volta a crociera.

      «Credetemi, Mastro Alessio, non esiste altro modo per rivedere la vostra Zoe e al tempo stesso conservare la vostra vita.» fece Mattia da dietro la porta, avendo la certezza che l’altro se ne stesse appena oltre.

      «Andate via!» urlò lo straniero.

      «Non posso credere che preferiate morire e abbandonare per la seconda volta vostra figlia.»

      Quindi Alessio aprì la porta e permise all’eunuco di entrare.

      «Se avete tanto a cuore la mia causa, fatemi fuggire!»

      «Voi chiedete la mia vita in cambio della vostra. Sono io il preposto alla vostra cura e verrei punito con la pena che spetta a voi se vi lasciassi andare.»

      «Fuggite anche voi, venite con me e Zoe lontano da questa città.»

      «E come prenderete Zoe con voi visto che con quell’uomo l’argomentazione del danaro non è bastata già tre anni fa?»

      «Datemi l’arma che avete portato e la conficcherò nel cuore di Giordano di Rossavilla! Ad ognuno ciò che merita, e lui è meritevole di morte per aver pugnalato quel giudeo e per aver accusato me.»

      «Dunque intendete uccidere un uomo… proprio quello che aborrivate poco fa.»

      Alessio smise di parlare; la logica di Mattia era inconfutabile. Risultava così chiaro come niente più dell’odio possa motivare un uomo nel compiere il più nefando dei gesti compiuti contro il proprio simile.

      Ancora Mattia spiegò:

      «Se fuggirete capiranno senz’altro che siete stato voi e vi braccheranno… vi braccheranno e vi troveranno! Solo, in terra straniera… che mai intendete fare? L’efficacia delle guardie del Re è proverbiale perfino fuori dal Regno. Inoltre a me dareste la morte, poiché è impensabile che io venga con voi. Ho una sorella che vive tra il popolo, che amo più di ogni cosa e che dipende da me in tutto. Non posso lasciarla. Fate quello che dovete, ma tornate qui prima dell’alba.»

      «Se mi è permesso uscire da questo palazzo, allora farò quello che devo solo contro l’unica fonte dei miei problemi.»

      «Giordano di Rossavilla… Ma cosa ci avrete concluso? Domani il gaito Luca si farà ricevere dal Re e vi farà allontanare da Palermo. Avrete vendicato l’affronto ma non riabbraccerete Zoe. È il gaito che per ora dovete colpire… credetemi! Vi giuro che vi permetterò di allontanarvi dal Regio Palazzo una seconda volta per i vostri scopi. Un piacere per un piacere… liberatemi dal peccato e io vi aiuterò ad avere il cuore di Giordano di Rossavilla.»

      «Voi avete già appieno la ricompensa per il vostro peccato, e la pagate con la corruzione del vostro corpo!»

      «No, Mastro Alessio, è il gaito che mi conduce all’inferno… Lui è il Diavolo!»

      «Se Dio permette l’esistenza del Male è perché sa che possiamo combatterlo.»

      «Sì, e questa notte noi due possiamo combatterlo solo con questo…»

      Ed ecco venire fuori dalla manica di nuovo la lama luccicante.

      «Questo non è un peccato meno grave.»

      «Mastro Alessio, Dio benedirà la riuscita della questione dandovi il segno che l’approva… ma se voi stanotte ve ne starete qui, domani sarà perduta ogni cosa.»

      Alessio non valutò l’attimo in cui successe, ma improvvisamente si ritrovò a reggere quel pugnale sul palmo della mano.

      «Troverete il gaito Luca a sorseggiare vino in una locanda; ve la indicherò, così che non potrete sbagliare. Adesso seguitemi!»

      Come sospinto da una forza invisibile, Alessio andò dietro all’eunuco Mattia e, avanzando per i corridoi secondari, alla fine si ritrovò fuori dal Palazzo.

      Com’è vero che non si può morire due volte, Alessio non temeva una seconda condanna da parte dell’uomo. Già accusato di omicidio, adesso era consapevole che avrebbe sporcato veramente le sue mani bagnandole nel sangue, e forse avrebbe ricordato l’operato di quella notte ogni qual volta avrebbe posato le tessere di un mosaico… quelle in porfido rosso che tanto amava. In passato con esse aveva rappresentato il sangue di Cristo, ma da adesso con esse avrebbe rammentato il suo peccato.

      Capitolo 5

      Notte del 7 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus

      Su Palermo scendeva il silenzio delle tenebre, le candele venivano spente e i piani rimandati all’indomani. Le zanzare che salivano dal Papireto24 e dal Kemonia, in quelle notti d’autunno atipicamente calde ed umide, colpivano gli incauti che delle tenebre facevano giorno. Forse, alla luce del sole, analizzando la quantità di punture che ricopriva la pelle di ciascuno, sarebbe stato possibile scoprire chi avesse dormito e chi no. Guardie della ronda notturna, poeti, pescatori, briganti, prostitute e amanti… ognuno aveva un buon motivo per muoversi nel buio. Inoltre, quella notte, quella tra il 7 e l’8 di novembre, era visibile in cielo solo il primo quarto di luna. Perfino l’astro preposto da Dio per illuminare in luogo del sole nascondeva più della metà del suo volto, intendendo disertare la sua presenza per non essere complice del male che stava per consumarsi.

      Alessio stringeva l’impugnatura del pugnale come se questo potesse cadergli dalle mani. Aveva sempre maneggiato seghetti e tronchesine, per tagliare le tessere, ma mai lame di quel genere, ed ora sentiva di avere tra le mani l’attrezzo sbagliato, non adatto al suo mestiere. Al polso teneva invece legato stretto il nastro della sua Zoe, ad indicare come cuore e braccio avrebbero dovuto muoversi adesso con un’unica volontà.

      Dopo aver oltrepassato il Kemonia e proseguito per un dedalo di stradine, Mattia si fermò presso la locanda e in vista della vicina Porta di Sant’Agata. Da quel luogo si raccontava che vi fosse passata proprio la martire catanese, di ritorno alla sua città dopo essersi rifugiata per un periodo a Palermo a causa delle persecuzioni. E sempre riguardo a quella porta si tramandava il ricordo di un’impresa compiuta da un cavaliere normanno durante la guerra contro i mori. Tale guerriero indomito l’aveva attraversata per punire la lingua di un soldato islamico che osava farsi beffe dei cristiani e dei loro santi, ma essendo la porta stata sbarrata dopo il suo passaggio, il cavaliere era stato costretto ad andarsene per un’altra uscita. Un’impresa a dir poco inumana! Nessuno ricordava il nome del cavaliere e si diceva soltanto che egli fosse stato un parente del Gran Conte.

      «Lì, presso la porta, vedete? Vi è ancora la lanterna accesa ai tavoli della locanda.» fece notare Mattia.

      «Della gente mi vedrà in viso!» esclamò Alessio.

      «Quando

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Papireto: chiamato anche “torrente Danisinni”, è uno dei fiumi che scorreva a Palermo. Questo era il fiume occidentale, quello che delimitava ad ovest l’antica città punica. Gli altri fiumi sono il Kemonia, deviato poi in modo da sfociare nell’Oreto, e appunto l’Oreto, chiamato in questo romanzo col nome arabo di wādī al-‘Abbās. Il Papireto e il Kemonia lambivano ad ovest e ad est il quartiere del Cassaro, per poi sfociare entrambi nell’enorme porto cittadino.