Le Tessere Del Paradiso. Giovanni Mongiovì

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Le Tessere Del Paradiso - Giovanni Mongiovì

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Alessio batté il cuore. Quella domanda piena di sospetto sembrava essere il preludio di qualcosa di brutto. Intanto, guardando verso il Regio Palazzo, verso la parte alta della via Marmorea, si accorse che un grande stuolo di uomini, visibili al buio poiché reggevano molte torce, si avviava velocemente verso est. Immaginò quale sorta di delitto avesse richiamato quella moltitudine di guardie e immaginò che a breve si sarebbe scatenata la caccia all’uomo. Un influente eunuco del Re era stato ammazzato e se avessero sorpreso proprio Alessio per le strade, il quale assassino già lo era, per certo lo avrebbero arrestato, condannato senza bisogno di indagine e ucciso.

      «Mio Signore, mi ha fatto proprio il nome di Giordano di Rossavilla.»

      «In tal caso, o le frottole le ha raccontate lei o le raccontate voi! Qui non vi è mai stata nessuna serva con questo nome.» concluse il signore tra i due.

      Alessio cominciò ad innervosirsi. Se non fosse stato uno dei più abili maestri mosaicisti, dall’occhio arguto e dalla posa perfetta, sicuramente le sue mani avrebbero iniziato a tremare e il suo sguardo ad essere inquieto.

      «Zoe… la vostra serva… una meravigliosa donna dagli occhi azzurri e dai capelli lunghi e profumati.» aggiunse ancora Alessio, ripetendo la descrizione fatta da Mattia.

      «Da come ne parlate sembra proprio che ve ne siate innamorato…» scherzò il nobile di discendenza normanna.

      «In tal caso temo che la donna a cui vi riferiate debba avervi indicato volutamente il palazzo sbagliato… per togliervi dai piedi.»

      A quelle parole del figlio del suo nemico, Alessio andò in escandescenza. Solo un paio di anni prima proprio con Giordano avevano contrattato il futuro di Zoe ed ora quei due dicevano di non conoscere nessuno che portasse quel nome. Per certo mentivano!

      Alessio strinse i pugni e imbruttì come un cane rabbioso lo sguardo, sennonché in quell’istante una decina di guardie attraversò la via Marmorea e si infilò nel labirinto di stradine sul lato destro della città. Quello non era il momento di farsi notare, dunque il colpevole di quella confusione abbassò la testa e concluse:

      «Avete ragione, Signore, quella meschina deve avermi imbrogliato.»

      E si allontanò mestamente.

      L’enorme palazzo-fortezza, sede del Re quando questi era in città, era visibile da molti punti di Palermo. La facciata del Palazzo, intonacata di bianco brillante e contornata di rosso, simbolo di regalità, guidò Alessio fino al luogo dal quale era evaso per la cruenta avventura di una sola notte.

      Capitolo 6

      8 e 9 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus, Palazzo Reale

      Per non gettare sospetti sullo strano sodalizio esistente con il criminale straniero, Mattia si dileguò non appena ebbe richiuso dentro la sala Alessio ed ebbe in tale modo assicurato ad entrambi un alibi. Per l’intero Palazzo, infatti, il prigioniero non era mai uscito da quella stanza.

      La mattina fu Onesimo a riportare la notizia dell’assassinio dell’importante eunuco del Re. Naturalmente l’intera Palermo ne parlava, ma Alessio, segregato lì dentro, non poteva saperlo. Giunsero poi i giovani manovali affidati alla direzione del maestro straniero e questi confermarono con stupore la notizia.

      Lo sguardo di Alessio restava tuttavia come stregato, perso nella luce che penetrava da oltre la loggia. Non aveva chiuso occhio e i dubbi più atroci gli torturavano l’anima. Sarebbe voluto tornare al palazzo dei Rossavilla già quella mattina, in barba ad ogni pericolo, così da comprendere cosa significava quella frase: “Qui non vi è mai stata nessuna Zoe”.

      Ebbe comunque l’occasione di sciogliere almeno parte di quei dubbi già a mezzogiorno, quando si presentò Mattia in persona.

      L’eunuco aveva congedato il servo preposto alla dispensazione del cibo ed ora portava le vivande con le sue mani. Quel giorno era prevista zuppa di lenticchie e cipolle.

      Vedendo Mattia, Alessio chiese ai manovali e al fedele Onesimo la cortesia di lasciarli soli.

      «Vi cercano, ma non verranno mai a controllare qualcuno che è già recluso.» esordì l’eunuco, stringendo una spalla di Alessio come in una sorta di blando massaggio.

      «Esiste un testimone, un nobiluomo che ha provato ad uccidermi nella locanda. Avevate detto che il vostro amico se ne stava da solo!» accusò arrabbiato il greco.

      «Non preoccupatevi, Mastro Alessio, chiunque esso sia non verrà mai a saggiare il vostro viso qua dentro.»

      «Lo voglio ben sperare, poiché la mia fine significa anche la vostra.»

      «Perciò non dovete preoccuparvi, in quanto sono pronto ad eliminare qualunque pericolo alla vostra ed alla mia incolumità.»

      Alessio si spostò verso la loggia e, reggendosi ad una delle colonne, riprese:

      «Il pericolo imminente che incombeva sulla mia testa è stato eliminato questa notte; dico bene?»

      E si voltò a guardare Mattia.

      «Esisteva un ostacolo concreto ed esso era il gaito Luca, colui che si frapponeva fra voi, la vostra sopravvivenza e la bella Zoe.»

      «Perciò capirete che adesso che ho bagnato le mie mani nel sangue e ho condannato la mia anima all’inferno non desidero altro che incontrare mia figlia…»

      «Succederà presto, ve lo giuro.»

      Dunque il tono di Alessio proseguì volutamente più rilassato.

      «Ditemi qualcos’altro di lei, vi prego… qualcosa che non mi avete ancora detto.»

      «Il suo passo è leggiadro e la sua voce melodiosa. Sapete? Cantava uno stornello che parlava d’amore quando ieri mattina l’ho vista.»

      «E Giordano di Rossavilla, l’avete visto?»

      «Giusto stamattina se ne stava presso il porto; pare stia progettando un viaggio di commercio. Parta pure quel maledetto e lasci sguarnito il suo palazzo, così potremo agire indisturbati e riavvicinare la nostra Zoe; che ne pensate?»

      Alessio ritornò a guardare i tetti di Palermo. Una lacrima incontrollata si perse nella sua barba grigia ed un’altra bagnò i palmi delle sue mani… quelle mani che adesso mostrava a sé stesso con rammarico. Non era necessario cercare altre rispose: dal momento che Giordano di Rossavilla era gravemente malato e allettato da parecchio tempo, era chiaro che Mattia si fosse inventato tutto. L’eunuco non aveva mai incontrato Zoe… anzi non l’aveva mai vista! Mattia si era approfittato di Alessio e del suo desiderio di famiglia. Aveva sfruttato il maestro d’arte facendo leva sul suo onore, su quel senso morale mostrato nei confronti della donna che un tempo aveva amato, nei confronti del risultato di quell’amore, nei confronti della sua astratta responsabilità di padre e nei confronti di Dio.

      Con la coda dell’occhio Alessio fissò Mattia, dunque pensò di gettarlo oltre la balaustra della loggia e di fargli pagare tutti i suoi torti in un attimo. Poi rifletté che un eunuco morto potesse già bastare… E poi, Zoe non era il frutto di un’invenzione, Zoe era reale! Giordano non aveva mai smentito la sua esistenza…

      O forse, e a questa conclusione Alessio quasi non cadde di sotto… forse anche Giordano di Rossavilla era stato al suo gioco, con lo scopo di immischiarlo nella morte del giudeo messinese in modo da togliere ogni possibile sospetto su di lui, vero artefice di quel misfatto. Sì, Giordano

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