Futuro Pericoloso. Mª Del Mar Agulló

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Futuro Pericoloso - Mª Del Mar Agulló

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che succede a Maiorca resta a Maiorca

      Era mezzanotte, e anche se Carolina se n’era andata ore prima, Keysi continuava a lavorare come se fosse ancora pomeriggio. Nella stanza si sentiva la musica di Wagner. Mentre nella stanza suonava l’ouverture de L’Olandese Volante, Keysi credette di aver trovato un antigene per il virus indiano. Ci aveva messo cinque giorni. La sua collega non aveva ancora raggiunto nessun risultato definitivo. Keysi osservava nel suo microscopio come il suo virus colpiva l’altro, distruggendolo del tutto. Prese il telefono e chiamò Norberto.

      – Ce l’ho – disse la virologa appena rispose al telefono.

      – Chi sei?

      – Sono Keysi.

      – Keysi, hai idea di che ora è? – la voce di Norberto sembrava lontana.

      – Mi dispiace molto, spero di non averti svegliato.

      – Sì, Keysi, stavo dormendo, ma, dimmi, cosa hai?

      – L’antigene per il virus indiano, è pronto affinché un ProHu lo provi.

      – Mio Dio, parli sul serio?

      – Assolutamente sì.

      – Bene. Chiamerò Clara, anche se starà dormendo, così domani mattina presto lo proviamo.

      – Domani? È troppo tardi. E se lo provassi io con me stessa?

      – Cosa? Keysi, neanche per sogno, te lo proibisco.

      – D’accordo, aspetterò.

      Nel tempo trascorso da quando Keysi iniziò a esaminare il virus, il numero dei morti salì fino ai settantamila circa, anche se si prevedeva che potevano essercene all’incirca ventimila senza bisogno di contarli. In India regnava il caos. A causa di questo virus tutte le frontiere erano state chiuse. Migliaia di turisti erano rimasti bloccati nel paese aspettando che qualche laboratorio trovasse una cura. Era la solita procedura quando un virus diventava incontrollabile.

      Keysi tornò a casa esausta. Incrociò dei turisti inglesi, evidentemente ubriachi, che camminavano mezzi addormentati. Appena entrò in casa, accese la TV e preparò qualcosa da mangiare. Non toccava cibo da circa dodici ore. Cambiò canale per vedere il telegiornale. Keysi restò a bocca aperta. Stavano preparando una nuova legge a livello mondiale, per cui avrebbero dovuto informare la gente su tutti i virus attivi, con ogni dettaglio. Keysi pensò alle parole di Norberto della settimana precedente. Se si fosse venuto a sapere di tutti i virus, laddove ce ne fosse stato uno la gente sarebbe impazzita, avrebbe svuotato i supermercati e si sarebbe trincerata in casa finché il virus fosse sparito.

      Keysi si avvicinò al Centro di Controllo della casa, un sistema che controllava praticamente tutte le funzioni della casa, e lo collegò al suo cellulare. Dal cellulare premette “Riempire vasca da bagno”, poi premette le opzioni “Acqua calda” e “Bolle di sapone”.

      Quando entrò nella camera da letto per prendere dei vestiti puliti, vi trovò il suo ex fidanzato che stava dormendo. Aprì l’armadio senza far rumore e prese dei vestiti. Doveva trovare un’altra casa, la situazione era sempre più scomoda. Tutte le case che Keysi aveva visto erano vecchie, prive di Centri di Controllo.

      Alle sette del mattino successivo, Keysi, dopo aver dormito appena qualche ora, entrò dalla porta dell’ufficio di Norberto.

      – L’hai provato? – gli chiese disperata.

      – Buongiorno anche a te – Norberto stava guardando dei fogli sulla sua scrivania.

      Keysi rimase in piedi a osservarlo.

      – Sì – disse dopo aver firmato un foglio —, l’ho provato.

      – Prime conclusioni?

      – È un successo, per ora – disse cautamente —. Pensavo che Carolina e tu creaste un antigene per ogni virus prima di consegnarmelo – Norberto sollevò la testa per guardare la ragazza inglese.

      – Lo so. Vedi, quando Carolina se ne andò, stavo finendo di creare il mio antigene. Così le chiesi se le desse fastidio che te lo consegnassi e mi disse di no.

      – Bene, hai fatto un buon lavoro, Keysi. Abbiamo già un antigene, ne mancano quattro, a meno che ci portino più virus. Hai visto cos’è successo a Taiwan?

      – No.

      – Si è incendiato un laboratorio nel quale si esaminavano virus come questo. L’intera isola è in quarantena. Immagino che si risolverà subito. La cosa che mi dà più fastidio è che la gente sta cominciando a odiare le isole in cui ci sono dei laboratori. Sai che all’inizio permettevano di installare laboratori solo su isole per paura che succedesse qualcosa come l’incendio a Taiwan e che ci fosse un’epidemia virale? È assurdo. È arrivata Carolina?

      – Non ancora.

      Allora si sentì un rumore di tacchi che si avvicinavano, seguito da un profumo femminile di alta gamma. Dalla porta dell’ufficio entrò una donna scultorea, bruna, alta e magra.

      – Buongiorno, Titania.

      – Buongiorno, papà.

      – Cosa mi porti oggi? Spero che non sia un altro virus.

      – Sono passata solo a salutare – Titania sorrise – e a farti vedere questo – Titania mise sul tavolo i fogli che teneva, Keysi e Norberto si avvicinarono e guardarono con attenzione —. È una nuova macchina che rileva la presenza di un virus a distanza di chilometri. Mi hanno chiesto di provarla a Taiwan.

      – A Taiwan? Non si può andare a Taiwan, è in quarantena.

      – Me l’hanno chiesto loro. Non importa, papà, andrà tutto bene.

      Norberto guardava sua figlia con preoccupazione. Anche se sua figlia era la migliore del suo reparto, tuttavia la situazione sull’isola asiatica era instabile.

      Keysi uscì dalla stanza per lasciarli soli. Quando entrò nella stanza dove lavorava con Carolina, la Sala 4, si fermò a osservare tutto: i computer oleografici tattili, le numerose macchine e altri aggeggi da laboratorio sui tavoli bianchi attaccati alle pareti, gli sgabelli viola dove si sedevano, il grande tavolo bianco al centro che quasi non usavano, e le pareti, anche loro bianche, che riflettevano la luce che entrava dalla finestra, orientata verso sud, con una vista spettacolare sul Mediterraneo, dato che non c’era nessun edificio davanti.

      Keysi iniziò a studiare il virus trovato sul confine tra la Cina e la Mongolia. Per essere un virus, aveva una bellezza insolita. Appena arrivò alle prime conclusioni, seppe che per trovare un antigene per quel virus ci sarebbe voluto tempo e, dato che il numero di morti era basso in confronto agli altri (non era così per il numero di persone infette), decise di lasciarlo da parte, fare un esame preliminare dei restanti tre virus e poi sceglierne uno.

      Verso le nove del mattino, mentre la sua collega studiava il virus australiano, arrivò Carolina con una faccia di una che ha dormito poco. Keysi le indicò l’orologio olografico rosso sul muro.

      – Ultimamente non dormo, i miei vicini fanno sempre festa, non vedo l’ora che se ne vadano – i vicini di Carolina erano quattro giovani francesi che quell’anno studiavano all’università delle Isole Baleari.

      Carolina

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