Contatto Per La Felicità. Serna Moisés De La Juan

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Contatto Per La Felicità - Serna Moisés De La Juan

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dirà?» domandai a bassa voce.

      «Non lo so, è solo che mi vergogno un po’,» rispose imbarazzato.

      «Provi con dei fiori, che aiutano sempre, e se non li accetta, perderà solo un po’ del suo orgoglio.»

      «Questo è tutto quello che mi era rimasto, signorina, il tempo me lo ha portato via, e qualcosa d’altro,» rispose con tono misterioso.

      «Ascoltatemi, dei fiori, anche se è solo uno, ma non una rosa rossa,» dissi facendo l’occhiolino.

      «Ah, no! Perché?» Chiese sorpreso.

      «Non faccia il birbantello, sapete cosa significa.»

      Ed entrambi facemmo quella risata nervosa di complicità che due amici hanno quando affrontano questioni personali e l’uomo felice se ne andò in direzione del negozio di fiori, come mi disse lui stesso, per preparare il suo colpo di venerdì prossimo.

      Rimasi sola per un po’ mentre nessun cliente arrivava, sorpresa da quello che era successo.

      Normalmente, avevo l’abitudine di non parlare con i clienti, perché era molto stressante per me dover comporre e pensare alla risposta che avrei dovuto dare.

      L’unica cosa che usavo dire al cliente era il costo totale dell’acquisto, e lo facevo velocemente, dato che di solito c’erano uno o due clienti in attesa.

      Ma ora, invece, era come se il tempo non avesse importanza, come se la cosa veramente importante fosse dedicare un po’ di tempo a quest’uomo che camminava sempre a testa bassa, invece, era entrato allegro e con un grande sorriso.

      «Vediamo se è vero quello che il mio capo mi ha detto che ha avuto una buona giornata,» pensai tra me e me.

      Il cliente successivo arrivò, era una delle donne più difficili da trattare, perché si lamenta di tutto. Ricordo ancora la discussione di ieri, perché alcuni yogurt avevano la data di scadenza di oggi. Si lamentava e sosteneva che con così poco tempo non sarebbe stata in grado di mangiarli tutti e che avrebbe dovuto buttarne via più della metà, così mi chiese una riduzione di almeno la metà del loro prezzo.

      Il giorno prima, era perché mi ero confusa dandole il resto di un centesimo. Si arrabbiò molto dicendo che, se i prodotti erano già costosi, non potevo permettermi di non darle il resto.

      Ma stranamente non mi sentivo spaventata o imbarazzata dalla sua presenza come in altre occasioni. Era una di quelle persone difficili da dimenticare e che avresti voluto non avere il piacere di incontrare, di quelle persone che, se le vedi per strada, preferisci cambiare marciapiede per non trovartela davanti. Aveva appena iniziato a indicare quando mi chiese,

      «Ehi, quale profumo indossate oggi?»

      Sorpresa, glielo dissi e lei mi parlò di nuovo dicendo,

      «Ne comprerò una boccetta, sapete mi piace mettermi il profumo, ma in piccolissime quantità, preferisco che il mio odore si mescoli al profumo.»

      «In questo modo la conosceranno dal suo odore» dissi con un sorriso forzato.

      «Infatti, non mi piacciono quelle persone che per mancanza di igiene nascondono il loro odore dietro un litro di acqua di colonia.»

      «Inoltre, dicono che sia afrodisiaco, intendo l’odore personale,» precisò.

      «Sì, anch’io l’ho sentito dire, ma dicono che gli uomini siano piuttosto visivi, ecco perché indosso sempre abiti di taglia inferiore alla mia.»

      Entrambe ridemmo piacevolmente a quel commento, forse quella donna sconosciuta l’avevo giudicata male o forse con troppa leggerezza.

      Ora che la conoscevo un po’ meglio, sembrava una persona simpatica, e naturalmente una brutta giornata può averla chiunque persino lei, il che spiegherebbe gli scontri che abbiamo avuto in passato, niente che si debba ricordare.

      Mi salutò con un sorriso e dopo un attimo di silenzio ascoltai attraverso gli altoparlanti che ero richiesta presso il servizio clienti. Ciò mi sconvolse, perché normalmente quando si ha bisogno di qualcosa da una cassiera si manda una ragazza ad avvertire ed evitare così il clamore che comporta l’uso degli altoparlanti.

      Quando arrivai c’era il direttore con un enorme sorriso che mi disse,

      «Ascolta, abbiamo parlato tra di noi e abbiamo deciso che tu sarai la dipendente della settimana.»

      «In tutti gli anni in cui sono stata qui, non lo sono mai stata» dissi sorpresa.

      «Bene, guarda dove sei oggi» disse, ammiccando.

      «Ma questo significa…»

      «Sì, infatti, raccogli le tue cose, perché hai il resto della giornata libera.»

      Mi sembrava un sogno che si avverava, avevo sempre invidiato la fortuna di alcuni di potersi permettere la giornata libera grazie all’essere il dipendente della settimana, ma fino a quel momento non era mai toccato a me.

      Mi sentivo fortunata, toccata dalla provvidenza, capace di fare qualsiasi cosa, di realizzare i miei sogni e desideri.

      Uscii dopo aver abbracciato i miei colleghi e persino un cliente che incrociai lungo il mio tragitto e regalai a tutti un bel sorriso. Andai in un negozio per bambini, perché volevo che la mia felicità fosse condivisa con i miei, e anche se il denaro non era abbastanza, volevo fare una sorpresa a mio figlio, così andai a comprargli un giocattolo.

      Prima di entrare nel negozio, vidi una persona che vendeva i biglietti della lotteria. Ero sempre stata sospettosa di quei giochi che prendono lo stipendio e con esso anche le illusioni, perché gli anni passano senza vincere, né tu né nessun membro della tua famiglia, nonostante le chiacchiere dicano di aver udito di gente che ha vinto ma che nessuno conosce mai di persona.

      Comprai un numero e lasciai il resto al venditore, che mi deliziò con una poesia come ringraziamento, questa nonostante fosse breve era molto bella e così glielo dissi.

      Poi entrai nel negozio e dopo aver osservato a lungo decisi per un cubo di Ruben, anche se sapevo che mio figlio era più orientato verso i pupazzi di wrestling, ma pensai che fosse un buon passatempo e che lo avrebbe aiutato a concentrarsi sulle attività più complesse.

      Beh, a dire la verità, non mi aspettavo che lo risolvesse, perché quando ero più giovane l’avevo provato diverse volte e non ci ero mai riuscita.

      Chiesi all’impiegato di confezionarmelo come regalo e una volta pagato tornai a casa emozionata. Trovai mia madre seduta su una poltrona a guardare la TV e a lavorare a maglia una sciarpa, anche se non ne avevamo bisogno, perché avevamo già una collezione, ma lavorare a maglia le piaceva e la rilassava.

      Dopo averla salutata, andai nella stanza di mio figlio, dove aveva trascorso il pomeriggio. Sebbene non ci fosse nessuno a sorvegliarlo, sapeva che la sera prima di cena gli avrei chiesto quali compiti gli erano stati dati a scuola e che avrei verificato se avesse fatto bene. Così divise il suo tempo come voleva tra lo studio e il riposo, se voleva poteva studiare e poi trascorrere il pomeriggio a giocare.

      Quando arrivai stava colorando un album, guardandomi entrare fu sorpreso e guardò un orologio nel caso in cui fosse stato tardi senza rendersene

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