Contatto Per La Felicità. Serna Moisés De La Juan

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Contatto Per La Felicità - Serna Moisés De La Juan

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sono venuta solo per vederti prima, per sapere come stai,» risposi con un sorriso.

      «Bene, grazie, ma vai via se no ti diranno qualcosa a lavoro,» disse in fretta.

      Ero orgogliosa di scoprire di avere un figlio così responsabile.

      «Senti, oggi non lavoro, mi hanno dato il pomeriggio libero, quindi se vuoi possiamo uscire per un momento al parco.»

      «Devo fare ancora i compiti,» disse tristemente.

      «Non ti preoccupare, ti aiuterò a finirli se mi accompagnerai.»

      Lasciò rapidamente la matita colorata e si gettò intorno al mio collo con un grande sorriso e mi disse,

      «Ti voglio bene mamma.»

      Mi emozionai di nuovo, la verità era tutto ciò che una madre poteva desiderare, vedere mio figlio felice e dirmi quelle cose belle.

      «Senti — gli chiesi —. Dato che ti sei comportato bene, ti ho portato una cosa.»

      «Che cosa?» Chiese eccitato.

      «Apri la confezione e vedrai,» dissi mentre gli davo il regalo.

      Lo fece così in fretta e trovò un cubo a sei facce, ognuno di un colore diverso e guardandolo chiese,

      «E a che serve?»

      Mi sentii in difficoltà, perché sebbene avessi cercato di risolverlo, non sapevo quali fossero le istruzioni o come si risolvesse, quindi se mi avessi chiesto di fare una dimostrazione, non potevo farla.

      «Beh… questo… — dissi prendendo il mio tempo per cercare le parole giuste —. Ogni lato del cubo deve avere tutte le facce dello stesso colore.»

      Mio figlio lo guardò di nuovo e dopo un attimo disse,

      «Mamma, già ce li ha, guarda tutte le facce gialle sono qui e da questa parte quelle rosse.»

      «Sì, certo — dissi ridendo per la scoperta di mio figlio —. Aspetta un momento.»

      Presi il cubo, mescolai i pezzi, glielo restituii, e gli dissi,

      «Adesso devi sistemarlo.»

      Lo prese tra le sue piccole mani cercando di indovinare come si muovevano quei pezzi e si rese conto che poteva fare solo movimenti orizzontali o verticali di una fila o colonna. Dopo averci provato più volte e in preda alla disperazione gli dissi,

      «Per facilitarti il lavoro, puoi spostare più colonne o righe contemporaneamente.»

      Mi guardò con la faccia di non essere troppo convinto e ricominciò a girare i pezzi. Sapevo che avrebbe trascorso una buona parte del pomeriggio, quindi gli dissi,

      «Bene, metti da parte che dobbiamo andare, dirò alla nonna se anche lei vuole scendere.»

      Andai in soggiorno e prima di dire qualcosa a mia madre, mio figlio mi chiamò e mi disse,

      «Mamma, mamma, guarda.»

      Rimasi meravigliata, perché erano passati solo pochi secondi da quando l’avevo lasciato, mi voltai e vidi con mia sorpresa che nelle sue mani aveva il cubo sistemato e un grande sorriso. Lo presi per guardarlo da tutti i lati e dopo aver verificato che tutti i colori fossero ben posizionati dissi,

      «Perfetto, figliolo.» E lo baciai sulla guancia come ricompensa. Ora prendi la giacca che non voglio che ti raffreddi.»

      «Esci anche tu?» Mi chiese mia madre ascoltando quello che avevo detto a suo nipote.

      «Sì, andiamo al parco per un momento, mi hanno dato il pomeriggio libero.»

      «Che cosa hai fatto questa volta?»

      «Niente, mamma, sono solo l’impiegata della settimana.»

      «Davvero? — Mi chiese, alzandosi e aprendo le braccia per abbracciarmi —. Sono così orgogliosa di te» mi disse stringendomi in un abbraccio.

      Mi sentivo strana, litigavamo sempre e adesso mi sembrava che avesse un gran cuore, le sorrisi e le chiesi,

      «Vuoi scendere?»

      «No grazie, è troppo tardi per me, non vorrei prendere freddo.»

      «Okay, riposa, non ci vorrà più di mezz’ora.»

      «Sarò qui, voglio anche cogliere l’occasione per preparare la cena, vedrai cosa sto preparando, sarà molto speciale, la mia piccola è l’impiegata della settimana.»

      Io e mio figlio uscimmo in strada, lì giocammo con una palla, più per correre e divertirci un po’, che per interesse sportivo verso il calcio.

      Mi sedetti per un attimo mentre egli calciava contro un muro, quando arrivò una ragazza e si sedette accanto a me.

      «È suo figlio?» Chiese con un’espressione preoccupata.

      «Sì, lo è. Perché?» Chiesi, sorpresa dal suo atteggiamento.

      «Non lo so, le dà molti problemi?» Chiese di nuovo.

      «No, beh, alla sua età,» risposi con un sorriso.

      «E all’inizio?» Chiese di nuovo irrequieta.

      «Beh, è sempre stato molto calmo ha avuto delle piccole difficoltà nell’addormentarsi le prime settimane dopo la sua nascita, altre madri dicono che è costato loro di più dopo aver avuto i loro figli.»

      «Sono incinta,» disse la ragazzina alla quale non le avrei dato più di quattordici anni.

      «Congratulazioni,» dissi abbracciandola.

      Ella non ricambiò, sembrava un po’ imbarazzata e le chiesi,

      «Ti senti bene?»

      «Non so come dirlo ai miei genitori» disse spaventata.

      «Tu lo vuoi?» Le chiesi guardandola negli occhi.

      «Lui? Certamente,» disse con un ampio sorriso.

      «Intendo tuo figlio,» puntualizzai.

      «Non lo so, tu lo sapevi se lo volevi?» mi restituì la domanda.

      «La mia situazione era diversa, ero già sposata e ci provavo da due anni, fu una benedizione per noi.»

      «Quanto è fortunata, non so come reagirà, temo che mi abbandonerà per questo.»

      «Non pensare così, inoltre, gli uomini sono come sono, non hanno bisogno di motivi per lasciarti. Guardami, tutto andava bene tra noi, il nostro bambino stava crescendo sano e un giorno uscì dicendo che avrebbe cercato lavoro e non è più tornato.»

      «Potrebbe essergli successo qualcosa,» disse la ragazzina impaurita.

      «Nessun problema, te lo assicuro, mi telefonò poche settimane dopo

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