Il Bargello. Casas Pérez Carlos

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Il Bargello - Casas Pérez Carlos

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      Jimeno si lasciò alle spalle una discussione di famiglia e, con un umore da cani, andò verso la taverna dove lo aspettava una discussione molto più importante.

      *****

      A volte qualcuno la chiamava 'La taverna di Bermudo', per via del padrone.

      Ma i più la chiamavano semplicemente 'la taverna', era l'unica in paese e non aveva bisogno di un nome. All'interno si svolgeva quasi tutta la vita sociale del villaggio ed era il posto giusto per celebrare quelle riunioni importanti. E l'argomento del giorno, più che importante era vitale.

      Jimeno intendeva esporre il suo piano ai compaesani e guadagnarsi la fiducia dei più adatti a portarlo a termine. A questo scopo aveva invitato gli uomini del villaggio, per cominciare ad esporre la sua proposta. Arrivò davanti alla porta e spinse.

      Non c'era posto nemmeno per il silenzio. In nessun caso sarebbe potuto esistere in quella densa massa di voci umane che cercavano di farsi sentire sovrapponendosi l'una all'altra. Jimeno aveva invitato solo gli uomini ma persino i bambini piccoli erano presenti, accompagnati dalle loro madri. Tutti volevano dire la loro a proposito della minaccia che pendeva sul villaggio, ed erano ben pochi i compaesani che non erano scesi alla taverna in quella mattinata frenetica.

      "Dannazione…" bofonchiò mentre entrava. Abbassò la testa istintivamente per non andare a sbattere contro l'architrave della porta.

      Sembrava quasi impossibile che ci stesse anche solo uno spillo in più, con quella marea umana. Ma Jimeno si diede da fare con uno spintone a destra, uno a sinistra e si fece strada nel locale raggiungendo le prime posizioni. Alcuni si spostavano al suo passaggio, altri li spostava lui. Ben presto ebbe i palmi delle mani coperti di sudore altrui. Jimeno grugnì per il disgusto. Al fuoco della taverna si sommava il calore umano, e la temperatura interna era degna quanto meno dell'Inferno.

      Guillén era salito su uno dei tavoli del locale e raccontava ai presenti i fatti della sera precedente. Né Jimeno né Alfonso gliene avevano parlato, quindi doveva averlo saputo da Sancho, il Nero. Le sue parole venivano ascoltate dai presenti con grande attenzione e la preoccupazione emergeva decisa al di sopra dell'odore pestilenziale che pervadeva il locale.

      "…videro due cavalieri oscuri avvicinarsi a tradimento. Con le loro nere lance pronte ad uccidere…"

      In pochi si accorsero della presenza di Jimeno, che ricevette qualche pacca sulla sua eroica schiena. Quando raggiunse le prime file vide sua sorella, Jimena, che era riuscita a farsi largo e si era messa in un angolino.

      Schiacciata nel poco spazio a disposizione e respirando la stessa aria impregnata dell'odore di decine di persone scambiò un'occhiata con il bargello.

      "Sorella…"

      "Jimeno, come sta Alfonso?"

      La bocca del bargello si curvò in un mezzo sorriso e disse a sua sorella che Alfonso stava bene. Che non doveva preoccuparsi per suo nipote. Era stato sfortunato, nulla di più. O il cavaliere era stato molto fortunato.

      Quando si trattava di lance o di combattimenti, il caso aveva un ruolo importante. La punta della lancia si era conficcata in profondità e non avevano potuto prendersi cura di lui prima di aver raggiunto il castello. A quel punto avevano visto che non aveva perso molto sangue, e che la ferita non era fatale. Gli avrebbe fatto male e poi sarebbe guarita.

      "E quando avrà smesso di fargli male gli servirà di lezione".

      Jimena rise.

      "Una lancia nel culo" osservò scherzosamente, "che grande maestra! E io che credevo che la cosa migliore per i figli fosse insegnar loro un mestiere".

      Sorrise mostrando quella dentatura che si era conservata in perfetto stato per più di quarant'anni.

      "Il furfante si alzò in piedi, ergendosi imponente accanto al suo cavallo morto. Con occhi accesi dal furore si scagliò su Jimeno e combatterono, combatterono fino alla morte! Cling, clang, facevano le spade…"

      Il pubblico era incantato ad ascoltare la storia narrata da Guillén, che agitava le mani e dava calci sul tavolo schivando stoccate invisibili.

      "Ha la pelle da pastore ma è nato bardo" disse Jimena, indicando suo marito con un cenno del capo. Il bargello non poté fare altro che annuire: gli sarebbe piaciuto combattere nel duello che Guillén stava descrivendo.

      Il pastore non era mai piaciuto a Jimeno. Era un uomo dall'aspetto strano e dagli occhi grigi ancor più strani. Dire che era poco piacente era essere generosi; con la faccia che aveva, non c'era da stupirsi che i suoi nipoti fossero i ragazzini più brutti del villaggio. Eppure, secondo Jimeno, sua sorella era una donna piuttosto attraente benché massiccia, un po' come il bargello. Anche i loro genitori erano stati dei contadini robusti.

      Invece Guillén era piccolo di statura, pur avendo le spalle larghe. Piccolo, brutto e non troppo coraggioso. Però era intelligente. E al suo fianco, a sua sorella non erano mai mancate le comodità. Il pastore era riuscito a fare fortuna grazie al commercio e all'artigianato. Allevava agnelli, tosava le sue numerose pecore e Jimena, con l'aiuto di altre donne del paese, trasformava la lana in tessuto e poi in vesti che si vendevano a Luna o ad Ayerbe.

      Jimeno non riusciva comunque ad apprezzare fino in fondo quel pastore arricchito, abbigliato come qualcuno che poteva permettersi di possedere diversi vestiti da usare nello stesso mese. Ma era il miglior marito che sua sorella potesse avere a Lacorvilla. E stava raccontando ai villici una storia di cui Jimeno era l'eroe. Si meritava un'opportunità.

      "E com'è andata, esattamente?" chiese sua sorella.

      Jimeno scrollò le spalle.

      "Come racconta tuo marito, no?"

      Jimena brontolò.

      "In questo villaggio raccontano molte cose, e non è il caso di ascoltarne neanche la metà. L'ultimo pettegolezzo che ho sentito è che Sancho e suo figlio si mangiano il carbone che non riescono a venderci" disse Jimena

      "ma prima lo avvolgono in bucce di mela".

      "Ah, perché, mangiano mele?" disse il bargello, sarcastico.

      Sua sorella stava per rispondere, ma Guillén aveva finito di raccontare la storia e qualcuno aveva messo una mano sulla spalla a Jimeno, chiedendogli:

      "Davvero gli avete conficcato una spada nel cuore?"

      "Come?" Il bargello si girò verso l'uomo, distratto. Si accorse che tutti lo stavano guardando e sentì un calore improvviso che nulla aveva a che vedere con la temperatura. "No, nello stomaco. In quella zona non ci sono ossa ed è più facile che la lama penetri. La morte non sopraggiunge istantanea, ma è un colpo fatale". Mimò con le mani il movimento della spada che penetra nella carne. "Fatale".

      I villici assentirono in segno di approvazione. Un colpo fatale, dissero.

      Sissignore, è così che si fa.

      Jimeno ricevette altre pacche sulle spalle e parecchi ringraziamenti. Alcuni si informarono sulla salute di suo figlio o sulla gravidanza di Arlena.

      Sapendo che presto avrebbe dovuto chiedere loro un favore, cercò di essere tanto cortese quanto le sue rozze maniere da soldato gli consentirono. Normalmente non

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