Il Bargello. Casas Pérez Carlos

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Il Bargello - Casas Pérez Carlos

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nessuno sembrava lamentarsi di avere un bargello che sapeva impugnare la spada.

      Non sapeva molto bene come presentare la situazione. Sapeva cosa voleva da loro, ma non come chiederglielo. Per fortuna, sua sorella fece una domanda grazie alla quale ebbe l'occasione di prendere l'iniziativa.

      "Alcuni di noi hanno sentito dire che il brigante non era solo" iniziò Jimena,

      "cosa ne sapete voi? Ce ne sono altri, sulla montagna?"

      Guillén gli tese la mano perché salisse anche lui sul tavolo e Jimeno la accettò. Poi il pastore scese lasciandolo solo. Il bargello fu costretto a tenere la testa china per non sbattere sul soffitto. In paese non costruivano case per giganti. Arricciò il naso sentendo con maggior forza l'odore della gente nella taverna. Era come se dopo essere salito su quel tavolo, l'odore raggiungesse il suo naso più facilmente. Era molto sgradevole, era l'odore di chi ha paura e ha bisogno di essere tranquillizzato. Da lassù vide il volto

      annerito di Sancho il Nero. Si scambiarono muti sguardi d'odio. Il bargello sguainò la spada.

      Come aveva immaginato, quel gesto attirò l'attenzione dei presenti.

      Appoggiò la punta sul tavolo e strinse le dita intorno all'impugnatura, una sensazione familiare che lo fece sentire come un gigante guerriero davanti a quella moltitudine. Batté con il piede sul tavolo per ben quattro volte per attirare l'attenzione di quelli che stavano ancora parlando tra loro. Dovette anche gridare a quelli che non stavano zitti. Voleva dimostrare che l'uomo che bussava alle loro porte per riscuotere le gabelle era qualcosa di più.

      Jimeno, il bargello, vegliava su di loro.

      “Cittadini di Lacorvilla!” cominciò. “Ieri ho ucciso un brigante, sì. E non credo che fosse solo, no". Un mormorio di preoccupazione corse tra i presenti. Jimeno batté di nuovo sul tavolo chiedendo di fare silenzio.

      "Qualche giorno fa, Guillén mi disse che gli era sparita una pecora ma non gli diedi troppa importanza. Sono cose che succedono, lo sappiamo tutti.

      Ma alla seconda e alla terza pecora mancanti cominciai ad avere qualche sospetto. Un ladro di bestiame non oserebbe rubare pochi capi alla volta in giorni così ravvicinati. Doveva trattarsi per forza di più uomini".

      "Gli albari!" gridò qualcuno. Un coro di voci preoccupate gli fece eco.

      Jimeno imprecò. Lo sapevano già. Cercò Sancho tra la folla, certo che fosse stato lui a far girare la voce tra i compaesani senza chiedergli il permesso. Strinse con forza il pomo della spada e decise di continuare, ormai non aveva più senso tirare in lungo.

      "Nel momento in cui cominciai a sospettare che ci fossero dei banditi sulle nostre terre mi diressi verso il monte della Carbonera per dare un'occhiata in un certo posto adatto all'insediamento di un accampamento. Sapete bene di cosa parlo: il pozzo di San Giovanni. Portai mio figlio con me ed esplorammo quella zona. Sapete già quello che è successo dopo" e fece una pausa teatrale. "Gli albari sono qui. Non agitatevi, state tranquilli! So cosa fare, adesso" aggiunse, mentre i presenti esprimevano i loro dubbi.

      "Ho già avuto a che fare con briganti come questi. Sembrano invincibili ma sono solo dei vigliacchi. Chi si nasconde in montagna in pieno inverno lo fa

      perché ha paura di essere scoperto. Ieri abbiamo dato il fatto suo a uno di loro e l'altro è scappato con la coda tra le gambe. Ho intenzione di infliggere lo stesso trattamento a tutti loro.

      "Oggi andrò a Yéquera a parlare con il signore del castello e gli proporrò di autorizzarmi a addestrare i miei bravi vicini per condurre una lotta breve e trionfale. Accetterà! Sa che i briganti sono già spaventati perché ieri hanno perso un uomo e adesso sono ancora più deboli. Non chiederò uomini valorosi perché so che in questo villaggio tutti lo sono" affermò. La spavalderia fu ben accolta dai compaesani che lo acclamarono. "Faccio appello agli uomini più forti, uomini che siano in grado di spaccare la testa di quei parassiti con una bastonata. Uomini capaci di colpirli con la loro scure con la stessa facilità con cui abbatterebbero un albero. Uomini che con la forza di chi protegge la sua gente siano disposti a spaccare le ossa a quei disertori. Uomini come Bermudo" esclamò indicando l'oste "che ha tagliato la testa di un maomettano con un solo colpo di spada. Tutti insieme scacceremo quei maledetti e lanceremo un messaggio chiaro ai futuri ladri: nel nostro villaggio non permettiamo che ci rubino ciò che è nostro! Non siamo una banda di codardi che aspetta che altri risolvano i problemi al posto loro, no! Vicini, chi vuole entrare a far parte delle storie che un giorno ascolteranno vostri nipoti?"

      Nella taverna sovraffollata si udirono due voci: quella degli uomini, che si sentivano tutti novelli Alfonso I el Batallador, il Battagliero, e quella delle donne che chiedevano di usare il buonsenso prima di prendere una simile decisione, rivolte a mariti che non le ascoltavano. Tutto quel vociare impediva di cogliere anche solo una parola, ma Jimeno capì che era riuscito a convincere molti di loro affinché si unissero all'impresa. Serrò le dita intorno alla spada e si concentrò sulla solidità dell'impugnatura. Certo, quella spada il giorno prima gli aveva fatto ottenere una piccola vittoria, ma presto l'avrebbe impugnata davanti ai suoi uomini. Chissà quanti dei presenti si sarebbero rivelati buoni soldati?

      Sancho il Nero si avvicinò al tavolo a sua volta e fece per salire. Jimeno gli mise un piede davanti e glielo impedì.

      "Che cosa vuoi?" gli disse dall'alto, aggressivo.

      "Non avete detto che ad ammazzarlo siamo stati in tre" lo accusò il Nero.

      "E dei due che erano, ne abbiamo fatto fuori uno solo".

      Sancho voltò le spalle a Jimeno. Rinunciò al tavolo decidendo di salire su uno sgabello, e Jimeno non poté evitarlo. Per qualche ragione che il bargello non riusciva a capire, il Nero sapeva suscitare una certa simpatia intorno a sé.

      La miseria in cui versava e la sua sfortuna lo avevano reso una persona da compatire. La sua sagoma sottile si erse in modo da poter essere visto sopra le teste degli altri; era un uomo di bassa statura ed emaciato. Aveva la pelle scura a causa dello strato di carbone che mascherava il suo vero colore. Jimeno non poteva vederlo in faccia ma immaginava che stesse esaminando i visi dei presenti con quei suoi strani occhi. Gli occhi ossuti di un teschio in preda all'agitazione. Tossiva ininterrottamente. I capelli lunghi e scoloriti e la barba incolta gli conferivano un aspetto miserabile.

      Indossava pesanti scarpe invernali, confezionate da lui stesso, ma il resto del suo abbigliamento testimoniava l'estrema miseria in cui viveva. La camicia e le brache avevano più rammendi che stoffa originale e per quanto lavasse i suoi vestiti, le macchie dovute all'usura non si potevano pulire. Erano inoltre abiti troppo grandi per il suo corpo smagrito, e nessuno in paese si sarebbe stupito se li avesse rubati a un morto; era in effetti una delle voci che circolava su di lui, insieme a molte altre.

      Jimeno si infuriò vedendo che in taverna regnava il silenzio senza che Sancho avesse dovuto chiederlo. Il dannato carbonaio voleva sempre esprimere la sua opinione, sapendo che sarebbe stato ascoltato: ma il risultato avrebbe potuto rivelarsi fatale. Jimeno fu costretto a pensare in fretta come poter ribattere efficacemente alle sue parole, in caso contrario il carbonaio sarebbe riuscito a far dimenticare immediatamente ai compaesani il coraggio che Jimeno aveva appena suscitato in loro.

      Maledetto Nero!

      Il carbonaio parlò.

      "Non temo di unirmi alla lotta con i miei compaesani. Però mi piacerebbe capire con certezza quale sia la minaccia che dovremo affrontare. Il bargello non vi ha detto tutta la verità" annunciò il Nero. "Forse non ha voluto spaventarvi

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