Nel Segno Del Leone. Stefano Vignaroli

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Nel Segno Del Leone - Stefano Vignaroli

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mani. Dispiegò il drappo, in cui, su fondo di stoffa rossa, era stato realizzato, a fine ricamo, il disegno dorato di un leone rampante ornato della corona regale in testa.

      «Mio Signore, Marchese Franciolino Franciolini, combatterete sotto il segno del leone!», iniziò a proferire il luogotenente. «Consegnerete domattina questo stendardo all’equipaggio della nave, che provvederà a issarlo sul pennone, a fianco della bandiera della Serenissima. Il Duca Francesco Maria Della Rovere ha dato precise disposizioni. Il leone rampante, simbolo della Vostra città, ma anche di Federico II di Svevia, che concesse a suo tempo di ornarlo della corona imperiale, sarà il simbolo della Vostra forza e della Vostra autorità.»

      La Scolta si interruppe e si fece consegnare una pergamena da un altro soldato, che era rimasto dietro di lui, a breve distanza.

      «Il Duca Francesco Maria Della Rovere vi nomina peraltro, come scritto in questa pergamena, Gran Leone del Balì, titolo che vi conferisce grandi poteri e la possibilità, anzi il dovere, di affiancare il comandante veneziano sul ponte del galeone da combattimento.»

      Così dicendo, arrotolò la pergamena e la consegnò nelle mani di Andrea.

      «Domattina all’alba salirete a bordo con i vostri uomini e consegnerete le credenziali al “Capitano da Mar” Tommaso de’ Foscari. Due leoni e due capitani d’arme saranno uniti contro comuni nemici, da un lato i Turchi del Sultano Sèlim, dall’altro i Lanzichenecchi teutonici. Il Duca Della Rovere confida nel fatto che terrete alto l’onore dovuto alla vostra bandiera e a quella della Repubblica Serenissima, nostra alleata. E ora, mio Signore, permettetemi di condurvi alle vostre stanze per adire a un meritato riposo. Domattina sarete svegliato di buon ora, ancor prima del sorgere del sole.»

      Andrea era confuso, non sapeva cosa dire, e così rimase in silenzio. Certo il suo amico Duca sapeva lusingarlo con le onorificenze, ma così facendo trovava sempre il modo di mandarlo allo sbaraglio. Il fatto di imbarcarsi su una nave non gli garbava affatto, ma ormai era giunto fin lì e non poteva più di certo tirarsi indietro.

      La notte si girò e si rigirò tra le lenzuola, riuscendo a dormire poco o niente. Quando sprofondava nel sonno, era assalito da incubi che richiamavano alla sua memoria l’unica battaglia combattuta in mare. Mare e sangue, fuoco e morte. E la figura del Mancino che lo tormentava, avvicinandosi a lui fino a divenire un gigante, che lo accusava di averlo lasciato morire tra i flutti. E si risvegliava in un bagno di sudore, rendendosi conto di aver dormito solo per pochi istanti. Quando giunse il servo incaricato della sveglia, provò quasi sollievo nel potersi alzare. Era ancora buio fuori, ma dalla finestra poteva intravedere il trealberi alla fonda illuminato dalla biancastra luce di una luna quasi piena. Il servitore lo aiutò a indossare una leggera armatura, costituita da un corpetto in maglia a rete metallica con rinforzi più compatti alle spalle, agli avambracci e al collo. Sopra l’armatura, un mantello di raso dal colore metà rosso e metà giallo. Nella parte gialla il disegno del leone di San Marco, in quella rossa il leone rampante coronato.

      «Queste vesti non riusciranno a proteggermi da un bel niente!», cominciò a lamentarsi Andrea col servitore che lo stava aiutando nella vestizione. «Una freccia in petto e addio Marchese Franciolini! E che dire delle calze? Semplici braghe di cuoio, senza neanche borchie metalliche di protezione. Passami la celata, coraggio!»

      «Niente celata, Capitano. Siete a posto così. A bordo bisogna essere leggeri, si deve avere la possibilità di muoversi agevolmente, di correre da un lato all’altro del galeone e, se necessario, arrampicarsi sugli alberi. Un’armatura come quelle che siete abituato a portare nei combattimenti terrestri vi sarebbe solo d’impaccio. Credetemi, mio Signore!»

      «Ti credo, e credo anche che non arriverò vivo a Mantova. Se non mi ucciderà il mal di mare, mi ucciderà il nemico. Sarò facile bersaglio per i pirati turchi. Mi crivelleranno di frecce e si ciberanno del mio cadavere. Ah, bel destino cui vado incontro, solo per far piacere all’amico Duca!»

      «Non dovete temere, mio Signore. Il galeone è davvero sicuro e adatto a resistere a qualsivoglia attacco da parte di altre imbarcazioni. E il Comandante Foscari sa il fatto suo. Sa governare il vascello e combattere in mare come nessun altro al mondo. Vedrete. E ora rifocillatevi. Avrete bisogno di essere in forze per affrontare il viaggio», e così dicendo batté le mani, facendo entrare nella stanza altri servi con dei vassoi.

      Il servitore che lo aveva aiutato a vestirsi, prese un calice d’argento e gli fece lavare le mani con acqua di rose. Poi lo invitò a sedere al desco. Gli altri servi poggiarono dinanzi a lui, in sequenza, tre vassoi. Nel primo vi erano delle coppe, alcune ricolme di latte d’asina, altre di succo di arance di Sicilia, altre ancora di latte di mucca fumante. Un secondo vassoio conteneva cibi dolci, pane di latte, ciambelle, biscotti, marzapani, pinocchiate, cannelloni alla crema, sfogliate, disposti in piattini ornati da larghe foglie di insalata. Il terzo vassoio era dedicato ai cibi salati, acciughe, capperi, asparagi, gamberi, accompagnati da una coppa ripiena di uova di storione allo zucchero. A parte, in alcune brocche, c’erano dei vini, dal moscatello, al trebbiano, al vino dolce fermentato. Andrea aveva paura che, una volta a bordo del galeone, tutto ciò che avrebbe avuto nello stomaco sarebbe risalito verso le sue fauci. Avrebbe vomitato tutto ciò che avesse ingerito. Ma i profumi che solleticavano le sue narici erano troppo invitanti, e così inzuppò nel latte d’asina alcuni biscotti e due ciambelle, trangugiando dietro il calice di latte di mucca caldo. Si guardò bene dal toccare i cibi salati e, soprattutto, i vini. Soddisfatto, si lasciò scappare un sonoro rutto, dopodiché si dichiarò pronto a raggiungere l’imbarcazione veneziana.

      Visto da vicino, il trealberi veneziano era davvero imponente. Andrea non aveva mai visto un vascello così grande, neanche quello dei pirati turchi affrontati più di un anno addietro. Notò con piacere come il galeone fosse molto stabile. Le onde passavano sotto lo scafo, ma la mastodontica nave, in effetti, proprio non sembrava muoversi. Al suo occhio attento non sfuggirono dei curiosi pannelli metallici, che ricoprivano in più punti le fiancate in legno dell’imbarcazione. Mentre cercava di capire a cosa servissero, la sua attenzione fu richiamata dal Capitano della nave. Tommaso De’ Foscari si stava sbracciando, facendo cenno al giovane di salire a bordo attraverso una comoda passerella disposta tra il molo e la fiancata di sinistra della nave. Non senza un po’ di timore addosso, Andrea raggiunse il ponte, salutando il suo nuovo compagno d’avventura con un inchino. Mentre porgeva al Foscari lo stendardo con il leone rampante, da issare sul pennone a far compagnia al leone di San Marco, si rese conto che stare sopra quella nave non gli procurava alcun fastidio. Il galeone era tutt'altra cosa rispetto alla cocca su cui aveva perso due dei suoi migliori compagni, il Mancino e Fiorano Santoni. I movimenti dovuti allo sciabordio delle acque sotto lo scafo non si avvertivano affatto.

      «Come vedi, mio caro Franciolino, questo trealberi è una delle migliori navi in dotazione alla flotta della Repubblica Serenissima», iniziò a spiegargli il Capitano da mar, circondandogli la spalla col suo braccio. «È una nave molto grande e pertanto è molto stabile. Ma nel contempo è anche agile e facile da manovrare. Oltre che dal vento può essere spinta, al bisogno, da due ordini di vogatori. Tra equipaggio, servi, vogatori e soldati, a bordo trovano posto più di cinquecento uomini. Quasi un esercito. E non è tutto. È una nave molto sicura. Ho notato, poco fa, come stavi rimirando le paratie metalliche sulle fiancate. Esse proteggono lo scafo dalle palle incendiarie del nemico. Al bisogno possono essere sollevate, creando una barriera ancor più alta delle mura della nave stessa e, tra una paratia e l’altra, possono essere inserite delle bocche da fuoco, bombarde in grado di lanciare proiettili esplosivi contro gli avversari. Ma c’è ancora di più. A bordo abbiamo ben cento archibugieri, uomini in grado di usare in maniera eccellente la nuova micidiale arma da fuoco inventata dai francesi. Non vedo l’ora di farti vedere questa macchina da guerra all’opera.»

      Continuando a parlare, il Capitano aveva condotto Andrea fino al ponte di comando, dove aveva preso in mano il timone, spiegando come in gergo marinaro la parte anteriore della nave venisse chiamata prua e la posteriore poppa, il lato sinistro babordo

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