Nel Segno Del Leone. Stefano Vignaroli

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Nel Segno Del Leone - Stefano Vignaroli

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mobili. In mare si iniziò a delineare una chiazza rossastra, una specie di isola di sangue, i cui abitanti erano frammenti di legno bruciacchiato e cadaveri sformati. Per fortuna l’attenzione di Andrea era rivolta invece a un’unica imbarcazione che si stava allontanando dal luogo della battaglia. Era un po’ più grande delle altre, aveva un piccolo albero con una vela quadrata, al di sopra della quale sventolava un vessillo rosso con una semiluna e una stella bianca.

      «È il sultano! Se ne sta scappando con i suoi uomini fidati», esclamò Andrea, eccitato. «Inseguiamolo. Potremmo catturarlo e farlo prigioniero. Il Duca Della Rovere ce ne sarà di certo riconoscente!»

      Il Capitano De’ Foscari mise un braccio intorno alla spalla dell’amico, nel tentativo di placare il suo animo.

      «Lasciamolo. Non vale la pena rischiare. È comunque un uomo pericoloso. Abbiamo vinto la battaglia. Possiamo continuare il nostro viaggio, ormai senza più intralci di sorta.»

      «Ma… Nel giro di breve si riorganizzerà, e tornerà a infestare i nostri mari e terrorizzare le nostre città costiere!»

      Così dicendo, Andrea abbassò la testa, un po’ mortificato. E vide quello che non avrebbe mai voluto vedere. Il sangue, i cadaveri, i pezzi delle barche distrutte. Questa volta non riuscì a trattenere il groppo allo stomaco. Il conato di vomito risalì con forza. I movimenti della nave, per quanto lievi, erano ormai insopportabili. Sentì le gambe cedergli. Si accasciò sulle ginocchia.

      Tommaso chiamò un paio di armigeri, che subito furono accanto a lui.

      «Accompagnatelo sotto coperta, nella mia cabina, e fatelo distendere nella mia branda. Ha condotto in maniera egregia l’assalto ai pirati, ma è un combattente di terra. E il sangue, in mare, fa tutto un altro effetto. Vegliate sul suo riposo. Io passerò la nottata qui, sul ponte di comando.»

      CAPITOLO 5

       Un guerriero non può abbassare la testa,

       altrimenti perde di vista l’orizzonte dei suoi sogni. (Paulo Coelho)

      Nel dormiveglia, cullato dallo sciabordio delle onde, che scorrevano ritmiche sotto lo scafo del galeone alla fonda nel porto di Rimini, ad Andrea ripassavano avanti agli occhi le immagini degli ultimi due mesi, trascorsi accanto alla sua amata Lucia e alle due splendide bambine, alle quali si era affezionato in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile. Amava Lucia, così come amava Laura, frutto del loro amore, così come amava Anna, che così tanto somigliava alla sua mamma adottiva. Di certo c’era sangue della famiglia Baldeschi in quella piccola, anche se non era uscita dal grembo di Lucia, ma da quello di una presunta strega che aveva finito i suoi giorni tra le fiamme. E il sospetto di chi avesse ingravidato quella presunta strega era ormai divenuto certezza per Andrea. C’era lo zampino del Cardinal Baldeschi, dello zio di Lucia, non poteva darsi altra spiegazione, ma ormai egli era morto e non poteva più arrecar loro alcun fastidio, come aveva fatto in passato. Il solo pensiero di quel truce personaggio gli metteva addosso i brividi. Non molto tempo era passato da quando, dopo aver sistemato tutti i suoi affari nel Montefeltro, si era congedato dai Conti di Carpegnia ed era rientrato a Jesi in una calda giornata di fine luglio. Come nella precedente occasione, rivedere le mura, le porte, le torri, i torrioni e i campanili della sua città aveva suscitato in lui emozioni difficili da contenere. Ma questa volta poteva entrare in città a testa alta, forte di un titolo nobiliare, protetto del Duca di Urbino. E a pieno diritto poteva reclamare di essere nominato Capitano del popolo e di poter convolare a giuste nozze con la sua promessa sposa.

      Dopo una breve sosta presso il palazzo paterno, giusto per darsi una rinfrescata e cambiarsi d’abito, si era precipitato verso la residenza di campagna dei Conti Baldeschi. Sapeva bene, infatti, che non avrebbe trovato Lucia nel Palazzo del Governo, né tanto meno nel Palazzo Baldeschi in Piazza San Floriano. Si era presentato alla servitù e si era fatto annunciare alla padrona di casa. Lucia si era fatta attendere un bel pezzo, ma quando aveva varcato la soglia del salone a piano terra, Andrea era rimasto colpito dalla sua fulgida bellezza, come fosse la prima volta che la vedeva. Indossava una gamurra di seta verde, che metteva in risalto i suoi lineamenti e le sue fattezze femminili. Gli occhi nocciola, al centro del viso pallido, erano quasi fissi su di lui. Erano dolci e al tempo stesso penetranti. Lo scollo del vestito mostrava con generosità le spalle e la fossetta tra i seni, la pelle chiara quasi come latte. Una collana di perle bianche le ornava il collo e l’acconciatura dei capelli era studiata per rendere giustizia al bel viso della dama. La cascata di capelli scuri era tirata indietro da una treccia che circondava la nuca, in modo tale da lasciare del tutto scoperta la fronte. Nel viso perfettamente ovale, dai lineamenti delicati, le labbra spiccavano di un vermiglio innaturale, donato dal colore ottenuto dai fiori di papavero. Le sopracciglia appena accennate e la fronte alta, spaziosa, le donavano l’aspetto di una vera Signora. Ai suoi fianchi, una per lato, le due bambine di circa sei anni, del tutto somiglianti a lei nell’aspetto, nel portamento, nelle sembianze e nell’acconciatura, la tenevano con delicatezza per mano. Le uniche differenze tra le due bimbe erano l’altezza e il colore dei capelli, una un poco più alta, longilinea e dai capelli biondi e ondulati, l’altra poco più bassa e dai capelli lisci e neri, rasati nella parte alta della testa per dare risalto all’ampiezza della fronte. Andrea aveva capito, già fin dall’altra volta in cui aveva intravisto le bimbe giocare nel giardino di quella stessa villa, che la sua figlia doveva essere la bionda. Senza nulla togliere alla moretta, era una bimba bellissima e aveva due occhi celesti proprio uguali ai suoi. Lucia aveva mandato le bimbe a sedersi su un divanetto e aveva porto la mano destra al cavaliere, che l’aveva presa tra le sue, si era inginocchiato e gliela aveva baciata.

      «Su, su! Alzatevi!», gli aveva detto Lucia, le gote che le si stavano infiammando. Sollevandosi, Andrea si era trovato con il suo viso a brevissima distanza da quello di lei. L’impulso era stato quello di avvicinare le labbra alle sue e baciarla a lungo, ma si dovette trattenere a causa della presenza della servitù, ma soprattutto delle due bimbe.

      I due rimasero così, per un po’, fissandosi negli occhi, senza proferire parola. Poi Andrea si schiarì la voce.

      «I vostri occhi nocciola. Credo di averli visti l’ultima volta dietro una celata sollevata. Eravate voi il giorno del torneo a Urbino. Ne sono sicuro. Ho riconosciuto i vostri occhi. Dello stesso colore, al mondo non ce ne sono altri. Siete voi che mi avete salvato la vita, che avete bloccato Masio. E non capisco proprio, non mi capacito di come una damigella, bella e delicata come voi, abbia avuto la forza e il coraggio di intervenire in una maniera degna di un uomo d’armi.»

      «Dovete ancora conoscermi a fondo, Messer Franciolino - o posso ancora chiamarvi Andrea? – In ogni caso, dietro la facciata di femminilità, ho saputo sempre farmi valere, anche in situazioni che richiedevano non solo forza, ma anche astuzia, cervello e ragionamento. E nessuno è mai riuscito a gabbare la qui presente Contessina Lucia Baldeschi. E vi assicuro che ci hanno provato in molti.»

      «Immagino che questi anni per voi, qui in città, non siano stati semplici. Mi hanno raccontato che vi siete assunta delle responsabilità non indifferenti. E che ve la siete cavata in maniera egregia. Mi hanno anche riferito che siete una temeraria e più di una volta vi siete avventurata in viaggi anche perigliosi, e per di più senza scorta. Una cosa davvero azzardata per una dama del vostro rango.»

      A queste parole, Lucia aveva abbassato lo sguardo, sospirando. Andrea, avendo capito di aver toccato un tasto forse dolente per la sua amata, aveva riportato il discorso su un piano diverso.

      «Certo, dopo i fatti di Urbino, mi sarei aspettato di trovarvi al mio fianco, di essere assistito dalle vostre amorevoli cure, come ai tempi del sacco di Jesi. Invece mi sono ritrovato in un castello sperduto e solitario, con la sola compagnia di due burberi Conti montanari, e di un piccolo manipolo

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