Nel Segno Del Leone. Stefano Vignaroli

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Nel Segno Del Leone - Stefano Vignaroli

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la presa, permettendo al locandiere di riprendere fiato. Ma il suo amico, che fino a quel momento era rimasto seduto al suo tavolo, afferrò la sua spada e si diresse minaccioso verso Andrea. Quest’ultimo, estraendo la sua spada dal fodero, cercò di studiare a colpo d’occhio il suo avversario.

       Molti muscoli, ma poco cervello. Devo giocare d’astuzia. Vediamo. La spada è possente, e tenuta con una sola mano. Ma la guardia è particolare, costituita da un tondino in ferro sagomato a forma di otto, come quella dei grandi spadoni da battaglia. Posso parare il suo fendente in calata, ma non riuscirei a fargli sfuggire l’arma di mano. Io sarei sbilanciato, a quel punto, e il ritorno incrociato non mi lascerebbe scampo. In un batter d’occhio, con un sol colpo, potrebbe staccarmi la testa dal collo. E addio Andrea!

      «Perché ti impicci di cose che non ti riguardano amico? Non è buona educazione interrompere una discussione in cui non si ha voce in capitolo. Specie per un nobile che sulla propria casacca ha ricamato il disegno di un leone rampante. Orsù, dimostrami quanto di leonino hai nel tuo sangue!»

      Solo il tavolo di legno apparecchiato separava Andrea dal Lanzichenecco. Fulvio e Geraldo si erano alzati dalle loro sedie e si stavano dirigendo verso l’altro energumeno, al fine di evitare che anche lui afferrasse la spada. Furono lesti ad afferrarlo sottobraccio, uno per lato, costringendolo ad abbandonare la presa sul locandiere. Poi Fulvio estrasse uno stiletto e glielo appoggiò contro il collo, in modo da renderlo inoffensivo. Andrea, dal canto suo, vide il suo avversario sollevare la Katzbalger. Si mise con la sua daga in posizione di difesa, ad attendere il fendente da parare. Attese il colpo calante ma, facendo una finta all’ultimo momento, permise alla spada del lanzichenecco di proseguire la sua traiettoria e, per inerzia, di trascinarsi dietro il braccio che la reggeva. Il filo tagliente della Katzbalger si andò a infiggere sul tavolo, spaccandolo in due. Il teutone, squilibrato, cadde in terra insieme alla spada. La brocca di Lambrusco, volata in aria, disegnò una traiettoria ad arco, ricadendo e schiantandosi proprio sulla sua testa. Intorno al lanzichenecco si andò formando una chiazza rossa di vino e sangue. Andrea approfittò dello stordimento momentaneo dell’avversario per giungergli sopra e appoggiargli la punta della spada contro la nuca.

      «Come ti chiami, amico?», gli chiese sollevandolo per un braccio e riportandolo in posizione eretta, ma senza abbassare la guardia, continuando a minacciarlo con la punta della spada.

      «Franz», rispose quello.

      «Bene, Franz. Per oggi sei fortunato. Mi tengo la tua spada e ti risparmio la vita. Ma non capitare più sulla mia strada, perché non sarò altrettanto clemente con te una seconda volta», e così dicendo lo spinse verso l’uscita, lo rigirò e lo cacciò fuori con un calcio nel sedere, mandandolo a mangiare la polvere della piazza antistante. Non andò altrettanto bene al suo compare, che giaceva in terra senza vita nella pozza del suo stesso sangue. Fulvio non aveva esitato ad affondare la lama dello stiletto al minimo tentativo del suo avversario di divincolarsi per sfuggire alla presa.

      L’uomo dal viso rubizzo stava guardando allibito la scena. Nel frattempo era uscito dalle cucine un altro locandiere, molto somigliante al primo, sia pur con meno capelli in testa, con tutta probabilità suo fratello.

      «Che cosa avete combinato?», intervenne quest’ultimo. «Siete folli! Siamo abituati alle angherie di questi bellimbusti. Li lasciamo sfogare, si ubriacano, fanno qualche danno, sfasciano qualcosa, ma poi se ne vanno e per giorni e giorni viviamo in pace. Ora invece…»

      «Non passeranno due giorni che di questo locale non rimarranno che ceneri fumanti», replicò il fratello, massaggiandosi il collo dolorante. «E i guardiani degli argini verranno ritrovati in fondo alla golena, finitici chissà come!»

      «Immagino che i guardiani degli argini siate voi due», disse Andrea, rivolto ai due locandieri. «Intanto, in fondo alla golena gettiamoci questo goto!»

      «In effetti, mio Signore, non è stata una buona idea lasciare libero quel Franz. Di certo tornerà qui in forze a pretendere la sua vendetta. E noi non saremo più qui. Saranno loro due a farne le spese», intervenne Fulvio, indirizzando un cenno alla volta di Geraldo, che lo aiutò a tirar su di peso il cadavere, trascinarlo fino alla finestra e, attraverso quella, scaraventarlo nel canale che scorreva dietro la locanda.

      Andrea, Fulvio e Geraldo si sporsero dal davanzale, osservando con aria soddisfatta come la forte corrente stesse portando via con sé il corpo inerte del Lanzichenecco.

      «Troverò il modo di offrire adeguata protezione ai nostri ospiti», sentenziò Andrea. «Ne parlerò col Duca di Ferrara. Sono certo che invierà qui alcune sue guardie a loro protezione. Fulvio, Geraldo! Andiamo. Cerchiamo di raggiungere la città prima che faccia sera.»

      I Guardiani degli argini si soffermarono all’ingresso della locanda, guardando i tre cavalieri allontanarsi fino a sparire nella foschia pomeridiana. In cuor loro sapevano che nessuna guardia del Duca D’Este sarebbe mai arrivata in quel luogo sperduto per offrire protezione a due locandieri. Non restava che sprangare il locale e allontanarsi da Pallantone. Ne andava delle loro vite.

      CAPITOLO 8

      Bernardino uscì davanti alla sua bottega con una copia del suo ultimo lavoro in mano. Voleva vederlo alla luce del giorno, osservare come erano venute le illustrazioni a colori. Con quell’edizione illustrata della Divina Commedia aveva superato non solo il suo predecessore Federico Conti, ma anche se stesso. Bernardino aveva ripreso l’edizione fiorentina del poema del sommo poeta Dante Alighieri. Sapeva che nell’anno del Signore 1481, Lorenzo Pierfrancesco De’ Medici aveva commissionato a Sandro Botticelli la realizzazione di cento tavole illustranti le scene del poema. Di queste cento il Botticelli ne aveva realizzate solo diciannove, che erano state incise su lastre, per poter essere stampate, dall’incisore Baccio Baldini. Non essendo stata portata a termine l’opera da Sandro Botticelli, l’edizione fiorentina, che presentava uno spazio bianco all’inizio di ogni canto, era stata alla fine commercializzata senza immagini. Il sogno di poter realizzare un’edizione principe della Divina Commedia, con tutte le illustrazioni stampate a colori, era stato coltivato da Bernardino per anni e anni. Era riuscito a far disegnare le tavole mancanti, sullo stesso stile del Botticelli, da alcuni monaci benedettini dell’Abbazia di Sant’Urbano, in quel di Apiro. Ma il vero tocco da maestro, che gli aveva permesso di veder realizzato il suo sogno, era stato quello di aver fatto rintracciare da alcuni suoi fidi collaboratori le incisioni del fiorentino Baccio Baldini. Quest’ultimo era stato dato per morto a Firenze nel 1487, all’età di cinquantuno anni. Erano passati altri trentacinque anni e, dunque, fosse stato vivo, sarebbe stato ultra ottuagenario. Cosa rara, ma non impossibile, si era sempre detto Bernardino. E in effetti si sapeva che dalla sua bottega continuavano a uscire finissimi lavori di incisione su oro e rame, che non potevano essere opera dei suoi giovani allievi. Dietro c’era il suo zampino, che continuava a lavorare nell’ombra. Perché volesse farsi credere morto, anche se le ipotesi erano assai, nessuno lo sapeva con certezza. Qualcuno diceva che volesse sfuggire ai creditori a cui doveva somme esorbitanti. Altri raccontavano che temesse le ire del Botticelli, in quanto non aveva soddisfatto le sue aspettative nel realizzare le incisioni delle lastre con cui dovevano essere stampate alcune sue opere a decorazione del poema di Dante Alighieri. Fatto sta che le diciannove lastre prodotte a suo tempo erano rimaste nella bottega dell’incisore e non erano state più stampate. Non solo, ma non erano state più reclamate né dal Medici che le aveva commissionate, né da Botticelli, che aveva ideato i disegni.

      Paolo e Valentino, due fedeli lavoranti di Bernardino, si erano recati a Firenze e avevano individuato la bottega dell’incisore. Di lui, neanche l’ombra. Forse qualche anno addietro era morto davvero e i suoi allievi erano riusciti in effetti

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