L'Eredità Perduta. Robert Blake

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L'Eredità Perduta - Robert Blake

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si stava fermando su diverse isole prima di raggiungere la sua destinazione finale nelle Americhe.

      Le classi sociali erano ben definite nell'infrastruttura della nave. Noi alloggiavamo in prima classe, dove i passeggeri avevano tutti i tipi di comfort, quasi nessun contatto con il resto, dove emigranti e avventurieri erano situati nelle cabine inferiori. Il numero di passeggeri superava di gran lunga la capacità della nave.

      La Transatlantic Company ospitava i sogni di uomini e donne che lasciavano il loro Paese in cerca di prosperità e nuovi orizzonti.

      Ogni giorno c'erano storie di familiari e amici che vivevano come re dall'altra parte dell'Atlantico. La popolazione era triplicata in Europa, l'assenza di opportunità di lavoro e le cattive condizioni di vita rendevano le Americhe un'occasione unica per trovare un futuro migliore.

      La mattina ci riunivamo nella cabina di prua per continuare a studiare il progetto, mentre i pomeriggi li trascorrevamo nella sala principale bevendo tè e giocando a carte in compagnia di diversi uomini d'affari britannici che avevano affari in America Latina.

      Devo ammettere che James era un buon compagno di bridge, ma la coppia con cui giocavamo era spesso così esperta che non ci fu modo di vincere una partita durante tutto il viaggio. Il professore continuava il suo attacco di gotta e riposava nella cabina studiando le culture mesoamericane.

      Un pomeriggio, la signora McLeyton, un'anziana robusta con le guance rosee e suo marito, Fraser, un colonnello allampanato del Royal Army, lasciarono il gioco prima del solito soffrendo di forte nausea, lasciando me e James al tavolo del bridge a degustare uno soave tè di Ceylon. Durante i fine settimana c'erano spettacoli musicali nel salone. Quel giorno, salì sul palco una soprano avanti con l'età con un abito malva vecchio stile. Si fermò accanto ad un elegante pianoforte a coda e iniziò a cantare la Carmen di Bizet.

      «Dio mio!» esclamai coprendomi il viso quando cominciò a cantare.

      James iniziò a ridere senza sosta. Era la peggior interpretazione che avesse mai sentito.

      Dal tavolo accanto iniziarono a guardarci, ci alzammo e decidemmo di fare una passeggiata sul ponte.

      Alcuni passeggeri si godevano la splendida giornata sdraiati su comode amache con un libro in mano. I bambini correvano senza sosta al nostro passaggio e pochi metri più avanti giocavano a shuffleboard o, come lo chiamavano gli spagnoli su quella nave, il gioco del Tejo. Una coppia di sposi novelli si divertiva a lanciare i dischi con una palette a forma di scopa cercando di ottenere il punteggio più alto possibile.

      «Ti piacerebbe fare una partita?»

      «Forse un'altra volta» risposi con un sorriso. Ero molto impacciata nei giochi.

      Continuammo la passeggiata e quando arrivammo alla fine della nave ci appoggiamo al bordo mentre contemplavamo la schiuma lasciata dalla nave sul suo percorso.

      Quel tardo pomeriggio un grappolo di nuvole cercava di togliere il centro della scena ad un sole radioso che sembrava preso da una bellissima tela impressionista.

      «Potrei farti una domanda personale?» disse James mentre l'aria turbinava i suoi abbondanti riccioli per il forte vento.

      Annuii sorridendo.

      «Partecipi spesso a queste riunioni del movimento delle suffragette?»

      «Certo che sì» risposi indignata. Non mi aspettavo quella domanda. «Non possiamo più essere soggette alle opinioni che questa società sessista impone.»

      Mi guardò un po' sorpreso. Immagino per la veemenza che usai nel difendere i miei argomenti.

      «Siamo agli albori del XX secolo e non nel Medioevo» continuai. «Il movimento è iniziato con poche combattenti e si è diffuso in tutto il Paese. Non ci vorrà molto per ottenere il diritto di voto e tutto cambierà.»

      «Sono d'accordo con te» rispose con voce sommessa. «Ma conosco il modo di pensare di diversi membri del Governo. Penso che siate ancora lontane dall'essere in grado di ottenerlo.»

      «Hai qualcosa contro il nostro movimento?»

      «No, al contrario. Ho incontrato diverse donne in Egitto che finanziano privatamente le loro spedizioni archeologiche. Fanno un ottimo lavoro.»

      «È un peccato che, tranne in alcune occasioni come la mia, le donne abbiano dovuto organizzare spedizioni a proprie spese.»

      «In questo caso siamo sotto l'enorme responsabilità» rispose, fissandomi negli occhi. «Se avremo successo, molte donne avranno l'opportunità di far parte di qualche spedizione.»

      Rimasi in silenzio per alcuni istanti meditando sulle sue parole.

      «Non ci avevo pensato. Vuoi dire che la responsabilità è mia?»

      «No, Margaret. Formiamo una squadra, ricordi?»

      Annuii e gli dedicai il migliore dei miei sorrisi.

      Andammo nella sala dove la cena era già iniziata.

      Continuammo la traversata senza grandi imprevisti. Un pomeriggio, una forte tempesta fece oscillare la nave da un lato all'altro. Dall'oblò vedevamo come le onde forti superassero l'altezza alla quale eravamo. Era difficile che quell'enorme nave colasse a picco, ma sentivo un brivido intenso ogni volta che avvertivo una forte scossa.

      Decidemmo di trascorrere il pomeriggio in cabina a studiare il nostro progetto.

      «Prima di arrivare alla nostra destinazione, vorrei spiegarvi il metodo di scavo che useremo nella spedizione.»

      Il professore ed io ascoltavamo seduti sulle comode poltrone della cabina.

      «Ho pensato di dividere la città in due parti: Nord e Sud» disse, disegnando una grande mappa che posizionò su un leggio. «Concentreremo gli scavi dove si trovano gli edifici principali della città. Quindi analizzeremo il resto, che ha un interesse archeologico minore.»

      «Io realizzerei uno studio più approfondito» risposi indicando diversi punti sulla mappa. «Potremmo creare una divisione molto più piccola del terreno, in questo modo conosceremmo meglio la sua popolazione. È un nuovo metodo che viene eseguito in diverse spedizioni.»

      «Hai ragione, Margaret» aggiunse il professore. «È una delle ultime tecniche che si stanno perfezionando. Ma ogni archeologo ha la sua, non esiste la certezza che un metodo sia migliore di un altro.»

      «Hai sentito il professore. Questa è la mia spedizione e prendo io le decisioni. Il giorno in cui ne dirigerai una, la farai a modo tuo» rispose arrabbiato.

      «Perché teniamo queste riunioni se hai già deciso tutto?» esclamai alzando la voce.

      «Mi limito a comunicarvi quale sarà il vostro compito. Questa non è una riunione aziendale in cui dobbiamo raggiungere un consenso» rimase in silenzio per un momento mentre raccoglieva i suoi pensieri e poi aggiunse. «Hai ancora molto da imparare.»

      «Preferirei andare nella mia cabina piuttosto che continuare a perdere tempo» gli risposi.

      Mi alzai e mentre stavo uscendo dalla porta gli dissi:

      «Quando arriveremo alla nostra destinazione, mi spiegherai il lavoro che mi compete.»

      Sbattei la porta facendo rimbombare la stanza. Dopo quella discussione passammo diversi giorni senza parlare.

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