La carità del prossimo. Bersezio Vittorio

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La carità del prossimo - Bersezio Vittorio

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il suo cammino.

      —-Ah! siamo dunque al buono, eh? ripiglia messer Agapito. Non tema di nulla; vado su io. Son pratico meglio di qualunque cerusico. Lasci fare a me.

      Vanardi non gli ha più badato ed è sparito: lo speziale rientra in bottega.

      —La moglie del pittore qui su fu sovrappresa dai dolori: dice egli ai due garzoni che sbadigliano ai barattoli delle scansie. Datemi qui dei sali, una boccettina di cordiale, e vo in suo soccorso. Quel marito è una bestiaccia che non sa di niente. Corre in cerca chi sa di qual medico ciarlatano, o di che donnaccia ignorante che gli accopperebbero senza fallo la moglie e il bambino… Una donnina abbastanza graziosa quella signora Rosa… Non sono mai entrato nel loro quartiere. Vo' vedere come ci è alloggiato questo superbioso che mi fa grazia a colloquir meco.

      Ci va diffatti, trova la donna dietro il paravento che ha pensato di sbarazzarsi d'un bel maschiotto senza aspettare aiuto di comare: e quando il marito poco dopo torna con una levatrice, ecco lo speziale che gli presenta in aria di trionfo il quarto figliuolo neonato.

      Come trovar modo di mettere alla porta un uomo dopo simil fatto? Lo speziale si fece di casa come la granata: ci andava a pigliar novelle della puerpera due volte al giorno; paragonava il neonato ad un angelo, ad un amorino, pigiava le gote fra le dita agli altri tre bambini, e snocciolava fuori gli affari di tutti i casigliani.

      La moglie del pittore, a metterla fra le bracone (per dirla alla toscana) non le si faceva gran torto: epperò ebbe a dilettarsi non poco delle visite e delle ciarle del signor Agapito.

      Antonio, se avesse osato andar contro ai borbottamenti della sua donna, se non avesse temuto d'essere soverchiamente incivile verso il farmacista, avrebbe volentieri preso costui per le spalle e messolo fuori dell'uscio con una viva raccomandazione a non più tornarci, tanto e' gli dava sui nervi; ma il buon uomo non era e non sarebbe stato mai capace di tanta risoluzione e di tanto coraggio.

      Era trascorso quasi un anno, quando una bella volta il signor Agapito fermò il pittore che passava, e gli disse con un piglio affatto nuovo, tutto piacenteria:

      —Mio caro signor Vanardi, vorrei parlarle d'una cosa.

      —Parli pure.

      Lo speziale annasò una presa e ne offerse ad Antonio che, come sempre, fece un cenno di no, tirando in là la tabacchiera e la mano di Agapito.

      —Ah, ah! Ella rifiuta, perchè non ne fiuta: disse questi grattandosi il naso lungo e sottile e ridendo grossamente. Oh, oh! il bisticcio non è cattivo. Lo dirò al suo amico il signor Selva, che passa per uomo di talento, perchè fa dei versi e scrive delle sciocchezze su pei giornali.

      —Che cosa è che la mi vuol dire, signor Agapito? ridomandò Vanardi impaziente.

      —Ecco qui.

      Additò le due tavole di legno screpolate che ornavano i battitoi della sua bottega: sovra esse erano a mezzo cancellati due gran vasi dipinti con avvolti intorno due serpenti verdescuri.

      —Ecco: queste mostre di bottega sono già un po' scadenti. Le serpi hanno perso le squame e somigliano anguille: e i vasi, altro che di marmo, paiono di gesso sporco. La mi dovrebbe, lei che ha un sì valente e facile pennello, rimpiastrarmi costassù qualche bella dipintura a suo modo, che sarebbe per me proprio quel che ci vuole. Oggidì, la vede, anche le spezierie si mettono in isfarzo e sembrano salotti da coiffeurs di Parigi: le medicine fanno competenza ai sorbetti in punto a specchi ed ornamenti delle botteghe in cui si spacciano. Lo speziale X ha addobbato il suo fondaco che pare una sala da ballo: è vero che se ne ricatta vendendo susine per tamarindi, corteccia di salice per china, ed ogni fatta porcherie per droghe… Ah, mio caro signor Antonio, non è spacciando roba buona e governandosi onestamente, come noi si fa, che si diventa ricchi di quella guisa. Il signor X ha più di ventimila lire all'anno, sa! Eh! ce ne vuole della cassia a metterle insieme! Ma quel birbo là è sempre stato un ladro, ed è perciò che ha sempre avuto fortuna. Mi ricordo che quando ha cominciato…

      Vanardi a cui stava troppo a cuore un'ordinazione di lavoro, l'interruppe, ma sforzandosi a sorridere il più amichevolmente che potesse.

      —Ella dunque, signor Agapito, vorrebbe ch'io dipingessi a nuovo queste mostre?

      —Appunto. La vede: il legno è buono…. qualche tarlatura, ma con un po' di mastice, gli è nulla. Senta come suona!—E vi picchiava su colla nocca delle dita.—Una lisciatina di che so io, una figura, due fregi, una mano di vernice ed avranno un rispicco da farne stare ammirato chi passa.

      —Bene. Lei ha detto una figura, vorrebbe dunque surrogare questi vasi?…

      —Oh quanto a ciò faccia lei. Ho detto una figura così per dire…. Ma non ho voluto dire nè una figura rettorica nè un'algebrica…. oh, oh, oh! Ha afferrato il bisticcio? Non è cattivo…. Dunque, ci metta ciò che vuole, purchè sia qualche cosa d'acconcio…. Per esempio se fossero i due ritratti d'Ippocrate e di Galeno… C'è qualche farmacia che li ha… Due personaggi da capo a piedi con aria severa, una gran barba, un manto, andrebbe addirittura a meraviglia. Ma non la voglio mica legare…. L'ispirazione… Oh so anch'io cos'è l'ispirazione… Dunque la lascio affatto libero. Le manderò su di quest'oggi pel garzone al suo studio le due tavole. Non c'è nulla che prema… affatto nulla: ma se non avesse più pressanti lavori… quanto prima si può sfoggiarla e meglio è… insomma, se me le desse per la fine dalla settimana entrante, mi sarebbe molto a grado.

      Vanardi in quel tempo, e già da troppo ciò gli avveniva, non aveva precisamente nulla da fare. Il bisogno di denaro cresceva in ragione inversa alla mancanza del lavoro; e questa che gli parve una bella e buona proposta dello speziale gli tornò come una benedizione della fortuna. Non istette a discorrerla davantaggio, e promise che pel tempo accennatogli i due eroi della medicina, dalle loro tavole di legno, inviterebbero i passeggeri a purgarsi colle droghe di messer Agapito.

      Bene ebbe in pensiero di domandare fino dapprima un prezzo, ma secondo il solito glie ne venne meno il coraggio, e si quietò nel pensiero che per quanto poco volesse lo speziale pagarlo, n'avrebbe sempre avuto tuttavia da comprar pane per un poco di giorni alla sua famiglia.

      Ci si mise intorno a tutt'uomo, impiegò in questo lavoro tutti i colori che gli rimanevano ancora e tutto il suo talento; fece due faccie storte che lucicchiavano meravigliosamente collo splendore della loro fresca vernice.

      Messer Agapito lodò molto l'artista, ma non parlò di pagare. Antonio aveva sempre sulle labbra la parola per dimandargliene il prezzo, ma non la osava pronunciar mai: i debiti crescevano, i bimbi strillavano da mane a sera e la moglie borbottava senza soluzione di continuità.

      Voi direte:—Questo tuo protagonista è uno scioccone che si merita la sua sorte. Perchè si è ammogliato, se non aveva fortune da mantenere la sua famiglia, se non aveva talenti da guadagnarsene il sostentamento? Perchè fare il pittore se non era buono che a scombiccherar faccie storte? Perchè ha dato la vita a quattro creature, le quali non avrebbero sofferto di miseria quand'egli non le avesse fatte venire al mondo? Perchè sopratutto ha sposato una moglie borbottona?

      Egli, se vi udisse, potrebbe rispondervi:

      —La mia Rosina era più mite d'un agnello quando me la sono sposata. Le volevo bene; era sola, onesta o belloccia, e perchè la era povera, avevo io da sedurla ed abbandonarla? Sono un onest'uomo, corpo di Bacco! Allora io, oltre la tanta buona volontà di lavorare, aveva le illusioni della prima giovinezza, che mi dipingevano in tinte ridenti l'avvenire; aveva la lusinga d'essere o di poter diventare un buon pittore e la speranza di poter guadagnare col mio pennello tanto quanto

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