La carità del prossimo. Bersezio Vittorio

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La carità del prossimo - Bersezio Vittorio

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che mano partissero. E questi soccorsi conferivano a giungere in capo dell'anno senza troppi stenti; soddisfatto com'egli era del poco, e sì poco veramente bastando a lui, solo, nella modestissima esistenza che menava via allegramente, senza un fastidio al mondo.

      Ma i fastidii soprarrivarono pur troppo, poco tempo dopo che ebbe la cattiva ispirazione di prender moglie. Quest'essa era una povera figliuola del popolo, abilissima cucitrice, ma con poca istruzione, pochissima educazione e senza denari. Non aveva che la sua gioventù, una piacevolezza di tratti che non poteva dirsi beltà, e il suo buon cuore. Antonio la vide nell'occasione dolorosissima, ch'ella perdette l'unico parente che ancora le rimanesse. Stavano vicini d'alloggio, e il povero pittore si mise a consolare la povera orfanella. In breve dovettero sposarsi. Antonio si guardò bene dal darne avviso allo zio; ma pur tuttavia questi lo seppe la stessa cosa, ed andò nuovamente sulle furie e peggio che mai. Da quel giorno le anonime sovvenzioni cessarono; ma in compenso cominciarono a venire i figliuoli.

      Il lavoro, per maledetta sorte, non imitava il bell'esempio della prole; non veniva nè punto nè poco. Un quadro su cui Antonio aveva fondato le sue più belle speranze fu giudicato unanimemente alla pubblica mostra, dove l'aveva esposto, una porcheria insuperabile. Il bisogno aveva incominciato ad insinuarsi pian piano nella casa; la miseria faceva capolino dalla finestra e digrignava minacciosamente i denti alla porta.

      Aveva vissuto un po' di tempo in compagnia di quei suoi amici dell'Università, fra cui principale il Selva, che erano venuti ad alloggiare con esso lui; s'erano immischiati nella politica, ed avevano congiurato prima del quarantotto per l'unità e l'indipendenza d'Italia. Ma la rivoluzione appunto di quell'anno meraviglioso aveva disciolta e dispersa la piccola colonia. Quasi tutti quegli amici erano andati soldati; ed Antonio, trattenuto dalla sua famiglia, era rimasto solo. Di poi l'aveva aiutato assai l'amicizia d'una buona e generosa famiglia, i Cioni, di cui l'unico figlio, Adolfo, dilettante di pittura, aveva saputo trovare mille ingegnose maniere di soccorrerlo col pretesto di dargli del lavoro. Ma una sciagurata catastrofe era avvenuta in quella famiglia. Adolfo amava in segreto, e riamato, la moglie d'un vecchio e fiero capitano, il quale, scoperta la verità, aveva in un orribil duello ucciso il giovane, e la donna seco via condottasi che mai più nessuno ne aveva saputo novella. Il padre di Adolfo non molto era sopravvissuto all'unico figlio, tanto era stato il suo dolore. Antonio aveva perso il suo maggior sostegno.

      Egli aveva visto chiaro le sue condizioni, ma non si era perso dell'animo ed aveva bravamente lottato. Aveva consumato colla più meravigliosa parsimonia tutto quel poco di risparmio che fino allora era riuscito a mettere in disparte con un vero miracolo di economia: poi una gran parte dei suoi mobili, cominciando dai meno necessari e venendo poi agli abiti, avevano preso il cammino del Monte di Pietà, e neppure uno aveva ancora saputo trovare quello del ritorno a casa.

      Il povero Antonio, smesso ogni orgoglio, andò a dimandar lavoro a questo ed a quello. Le ripulse non lo stancavano, ebbe il coraggio di affrontare i più superbi rifiuti, e dalla sua perseveranza ottenne qualche buon risultato. Dipinse un orrido turco dall'orrida barba con una lunga pipa in bocca pel tabaccaio; una slombata fortuna (e la fece brutta per dispetto) che gettava pioggia di denari da un corno d'abbondanza, pel banco del lotto; e persino (che umiliazione!) una bottiglia che schizzava il turacciolo per aria ed il vino nei due bicchieri che gli stavano a fianco, per l'oste a cui doveva sei lire. Il tabaccaio gli diede poco, il banco del Lotto anche meno, ed il mercante di vino un bel nulla.

      Come se non bastasse tutto questo, mentre la miseria cresceva, l'umore taccoliero della moglie cresceva ancor esso in proporzione. Non è già che la Rosina non volesse bene al suo Antonio, oh! per codesto ella si meritava ogni elogio, chè glie ne voleva anche troppo; da prendersi tanta cura d'ogni fatto di lui che gli riusciva fastidievole.

      Guai s'egli non tornasse a casa appuntino all'ora che aveva detto!

      —E dove sei tu stato? e che hai fatto? e come perdi il tuo tempo? e che pensiero ti dai della tua famiglia? E tu a spasso, ed io a rodermi qui dentro d'inquietudine con questi marmocchi intorno che mi tolgono la testa ecc., ecc.

      E tocca via con un mondo di parole cosiffatte e di ragioni sragionate e di rimbrotti senza causa e di lamentazioni e di chiaccole da non finirla più.

      Ad Antonio, benchè ci avesse ormai fatto il callo, quelle scene erano gravi. Aveva tentato di tutto per farla smettere alla moglie; ma sì, imporre silenzio ad una di cotali donne, era impresa da ben altri che il povero pittore non fosse. Quindi per lo migliore, ei s'atteneva il più sovente al silenzio, e lasciava passare senza ostacoli l'onda abbondevole e furiosa delle muliebri parole.

      Rosina s'accorgeva d'essere grave al marito, e ne soffriva, e se ne adontava e ne imbizzarriva peggio con esso lui.

      —Già tu ti vergogni di me: diceva essa delle volte, mezzo piangente, mezzo furibonda: non sono che una popolana io…. oh! lo so…. e tu sei della razza de' signori tu… Bel signorone affè mia, che lasci crepar di fame e moglie e figliuoli!… Non ho le belle maniere delle dame io!… Ma toccherà a me un bel giorno guadagnare il pane della famiglia con queste dieci dita che m'ha fatto la mamma…. O belle le cerimonie!… O care le stampite della buona società…. o grazioso il saper discorrerla in quinci e quindi!… Ed io non ne so nulla del vostro bel gergo…. Io quando parlo, tu mi fai gli occhioni che pare mi vogli mangiare cruda e fatta…. E se ti duole di me, e se te ne pesa, e tu non dovevi sposarmi…. O che son io che vi ti ho costretto col coltello alla gola forse?… T'adonti perfino di accompagnarmi per istrada… Oh! nei primi tempi del nostro matrimonio non era così che facevi…. E me lo dice persino messer Agapito, che non è di questa guisa che uno si governa colla moglie se le vuol bene.

      —Messer Agapito s'immischi nelle sue spezierie e non venga a romperci le tasche: gridava a questo punto Vanardi spazientito.

      —Gli è che ha ragione: ripigliava la moglie con maggior calore: tu non mi vuoi più bene… Sei un cattivo, sì… perchè dovevi lasciarmi stare… Ed io col mio ago mi guadagnerei da vivere un po' meglio…

      Antonio voleva placarla. Essa lo respingeva bruscamente; afforzava i suoi rimbrotti; terminava con piangere, e si ritraeva musonando e singhiozzando in un angolo della stanza. I fanciulli vedevano piangere la madre e si cacciavano a strillare ancor essi. Vanardi faceva a calmar l'una e ad azzittire gli altri; ragionava, pregava, gridava, minacciava: niente vi riusciva, finiva per andare in collera, bestemmiava come un turco, e stucco, intronato, infastidito, si cacciava il suo cappellaccio in testa e si precipitava fuori di casa, a passeggiare, le mani in tasca, guardando da vero sfaccendato i dipinti esposti nelle vetrine di tutti i mercanti di stampe, ai quali terminava sempre per andare ad offrire un quadro di suo, cui tutti, a buona ragione, si affrettavano sempre a rifiutare con entusiasmo.

      —Oh che vita! oh che vita! esclamava talvolta il povero diavolo. E pensare che la debbo all'amore dell'arte, e ad un matrimonio per amore! C'è da disgustare chicchessia dell'una cosa e dell'altra. Mah! se avessi fatto il droghiere!… Eh! via, questa è viltà! Che? Rinunzierei al nobile sacerdozio dell'artista? Mi lascierei scoraggiare dall'impertinenza della sorte? Oibò! Tutti i grandi uomini sono crepati un pochino di fame: ed Andrea del Sarto aveva una moglie peggiore della mia… Sono un pusillanime s'io indietreggio innanzi a quest'iniziazione alla gloria.

      E ripigliava la sua tranquillità e il suo buon umore, che erano figliuoli dell'eccellenza del suo carattere.

       Indice

      Ma esaminiamo più minutamente il quartiere del nostro pittore cui centosessanta scalini separano dal fango della strada.

      Era una specie di gabbia quadrata che sorgeva sul tetto in mezzo alle più umili

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