Olanda. Edmondo De Amicis

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Olanda - Edmondo De Amicis

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e che la nebbia e l’oscurità mi nascosero ben presto. Quando mi fui accomiatato dai miei compagni di viaggio, ed ebbi messo in ordine il mio bagaglio, era notte. “Tanto meglio;” dissi salendo in una carrozza “vedrò per la prima volta una città olandese di notte, che dev’essere uno spettacolo nuovo.” E in fatti il Bismark, quando fu a Rotterdam, scrisse a sua moglie che di notte vedeva dei fantasmi sui tetti.

       Indice

      È difficile raccapezzare qualcosa della città di Rotterdam entrandoci di notte. La carrozza, appena mossa, passò sopra un ponte che risonò cupamente, e mentre credevo d’essere, ed ero infatti, dentro la città, vidi con stupore a destra e a sinistra due file di bastimenti che si perdevano nel buio. Passato il ponte, percorremmo una strada illuminata e piena di gente, e riuscimmo a un altro ponte, in mezzo ad altre file di bastimenti. E così innanzi per un pezzo, da un ponte in una strada, da una strada sur un ponte, e per accrescere la confusione, una luminaria non mai veduta di lampioni agli angoli delle case, di lanterne sui bastimenti, di fanali sui ponti, di lumi alle finestre, di lumicini sotto le case, di riflessi di tutta questa luce sull’acqua. A un tratto la carrozza si fermò, si affollò gente, misi la testa fuori e vidi un ponte in aria. Domandai che c’era, uno sconosciuto mi rispose che passava un bastimento. Di lì a un minuto, andammo innanzi, vidi di sfuggita un crocicchio di canali e di ponti che formavano come una gran piazza tutta irta di alberi di bastimento e tempestata di punti luminosi, e infine s’infilò una strada e s’arrivò all’albergo.

      La prima cosa che feci, entrando nella mia camera, fu di vedere se rispondeva alla gran fama della pulizia olandese. Rispondeva, ed è tanto più da ammirarsi in una camera d’albergo, quasi sempre occupata da gente profana a quello che presso gli Olandesi si potrebbe chiamare il culto della pulizia. La biancheria era candida come la neve, i vetri trasparenti come l’aria, i mobili lucidi come il cristallo, le pareti nitide da non trovarci un punto nero colla lente. Oltre a questo, una paniera per i fogliacci, una tavoletta per accendere i fiammiferi, una lastrina per smorzare i sigari, una scatola per i mozziconi, un vasetto per la cenere, una cassetta per gli sputi, un’assicella per le scarpe; insomma, non un pretesto al mondo per insudiciare checchessia.

      Visitata la camera, stesi sul tavolino la pianta di Rotterdam e feci i miei studi preparatorii per il domani.

      È una cosa singolare che le grandi città dell’Olanda, benchè sian state fabbricate in un suolo malfermo, e vincendo difficoltà d’ogni specie, hanno tutte una forma straordinariamente regolare. Amsterdam è un semicircolo, l’Aja è un quadrato, Rotterdam è un triangolo equilatero. La base del triangolo è una immensa diga, che difende la città dalla Mosa, chiamata Boompjes, che significa in olandese alberetti, da una fila di piccoli olmi, ora altissimi, che vi furon piantati quando fu costruita. Un’altra gran diga forma un secondo baluardo contro le inondazioni del fiume, che divide in due parti quasi uguali la città, dal mezzo del lato sinistro fino all’angolo opposto. La parte di Rotterdam compresa fra le due dighe è tutta grandi canali, isolette e ponti, ed è la città nuova; quella che si stende di là dalla seconda diga è la città antica. Due grandi canali si stendono lungo gli altri due lati della città fino al vertice, dove si congiungono, e ricevono un fiume che si chiama Rotte, il quale, colla parola dam che significa diga, forma il nome di Rotterdam.

      Compiuto così il mio dovere di viaggiatore coscienzioso, usando mille cautele per non offendere nemmeno col fiato la pulizia purissima di quel gioiello di camera, mi abbandonai con una sorta di timidità contadinesca al mio primo letto olandese.

      I letti olandesi, parlo di quei degli alberghi, sono ordinariamente corti, larghi, e occupati in buona parte da un grandissimo guanciale pieno di piuma, nel quale s’affonderebbe la testa d’un ciclope; e aggiungo, per dir tutto, che il lume ordinario è una bugia di rame grande come un piatto che potrebbe sostenere una torcia a vento, e regge invece, una candelina corta e sottile come il dito mignolo di una spagnuola.

      La mattina, appena levato, scesi le scale a precipizio.

      Che strade, che case, che città, che confusione di cose nuove per uno straniero: che spettacolo diverso da tutto quel che si vede in tutti gli altri paesi d’Europa!

      Vidi prima l’Hoog-Straat, una strada lunghissima e diritta, che corre sulla diga interna della città.

      Le case senza intonaco, color di mattone di tutte le sfumature, dal rosso cupo quasi nero, al rosso quasi roseo, la maggior parte non più larghe di due finestre e non più alte di due piani, hanno il muro della facciata che sorpassa e nasconde il tetto, stringendosi in forma di triangolo mozzo, sormontato da un frontone. Di queste facciate a punta, altre s’alzano con due curve, come un lungo collo senza testa; altre son tagliate a scalini, come le case che fanno i bambini coi legnetti; alcune presentano il prospetto d’un padiglione conico, altre di chiesuole di campagna, altre di baracche da palcoscenico. I frontoni sono generalmente contornati di righe bianche, di ornati di cattivo gusto, di grossolani rabeschi in rilievo intonacati; le finestre e le porte, con larghi contorni bianchi; altre righe bianche fra piano e piano; gli spazii tra porta e porta di bottega, rivestiti di legno bianchiccio; così che per tutta la lunghezza delle strade non si vedon che due colori: bianco e rosso scuro, e in lontananza tutte le case paion nere, listate di tela, e presentano un aspetto tra funebre e carnevalesco, che lascia in dubbio se s’abbia da dire che rattrista o che rallegra. Al primo aspetto mi venne da ridere, non parendomi possibile che quelle case fossero state fatte sul serio, e che ci potesse star dentro della gente posata. Avrei detto che passata l’occasione di non so che festa dovessero sparire, come certi edifizi di cartone dopo che si son fatti i fuochi d’artifizio.

      Mentre guardavo così vagamente la strada, vidi una casa che mi fece fare un atto di stupore. Credetti d’aver preso abbaglio, la guardai meglio, guardai le case vicine, le raffrontai colla prima e fra di loro, e temetti ancora di aver le traveggole. Svoltai in fretta in una strada laterale e mi parve di vedere la stessa cosa. Infine mi persuasi che veramente non m’ingannavo, e che tutta la città era in quel modo.

      Tutta la città di Rotterdam è tal quale sarebbe una città rimasta immobile nel punto che, scossa da un terremoto, stava per cadere in rovina.

      Tutte le case—si possono, in una strada, contar le eccezioni sulle dita—pendono, quale più quale meno; ma la maggior parte tanto che, all’altezza del tetto, sporgono innanzi un buon braccio dalla casa vicina, che sia ritta o inclinata appena visibilmente. Ma lo strano è questo, che le case che si toccano le une con le altre, sono inclinate da diverse parti; una pende innanzi, che pare voglia precipitare; l’altra pende indietro; una s’inclina a sinistra, l’altra s’inclina a destra. In alcuni punti sei o sette case contigue pendono tutte innanzi, quelle in mezzo di più, quelle all’estremità di meno, formando così una gran pancia come uno stecconato che s’incurvi sospinto da una folla. In altri punti due case un po’ discoste s’inclinano l’una verso l’altra come si sorreggessero a vicenda. In certe strade, per un lungo tratto, tutte le case pendono dalla stessa parte di fianco, come alberi abbattuti l’un sull’altro dal vento; e poi, per un altro lungo tratto, pendono tutte nella direzione opposta, come un’altra fila d’alberi incurvati da un vento contrario. In alcuni punti vi è una certa regolarità d’inclinazione, che quasi non si avverte; in altri, su certi crocicchi, in certe stradette è uno scompiglio da non poter descrivere, una vera baldoria architettonica, una danza di case, un disordine che sembra animato. Vi son le case che par che caschin innanzi dal sonno, quelle che si rovesciano indietro spaventate, quelle che s’inclinano l’una verso l’altra, quasi fino a toccarsi coi tetti, come per confidarsi di segreti; quelle che si cascano addosso le une alle altre come ubriache; alcune che pendono indietro, in mezzo a due che pendono innanzi, come malfattori strascinati da due guardie; schiere di case che fanno una riverenza a un campanile; gruppi di casette tutte inclinate verso una nel mezzo, che par che congiurino contro qualche palazzo.

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