Una sfida al Polo. Emilio Salgari

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Una sfida al Polo - Emilio Salgari

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      — Avvolgete ora il vostro braccio sinistro colla vostra giacca e vibrate il colpo dall'alto in basso, essendo voi più alto di mister Torpon.

      Se non lo ucciderete sul colpo, gli produrrete una ferita tale da metterlo subito fuori di combattimento.

      Mi avete capito?

      — Sì, maestro, — rispose il canadese.

      Il partner lanciò un altro sguardo sul cronometro.

      — Otto ore e trentacinque minuti meno tre secondi. È il momento d'entrare.

      — Sono pronto: spegnete la lampada elettrica ed apritemi la porta senza far rumore.

      — Qua una buona stretta di mano, signor di Montcalm, — disse il maestro, con voce vivamente commossa. — Sangue freddo e colpo sicuro. —

      Si strinsero la mano, la porta fu aperta, poi la lampada spenta, ed il canadese entrò nella tenebrosa sala, in punta dei piedi, impugnando solidamente il bowie-knife e riparandosi il petto col braccio sinistro difeso dalla giacca strettamente avvolta.

      Era già entrato l'americano e si era già messo in agguato? Ecco due terribili, angosciose domande, che non potevano avere per il momento nessuna risposta.

      Il canadese, come l'aveva consigliato il suo maestro, fece tre o quattro passi seguendo la parete, poi si fermò, avendo trovato un ostacolo.

      Doveva essere il pianoforte, l'unico mobile che ingombrava quella vasta sala che pareva fatta appositamente per i duelli americani.

      — Aspettiamolo, — mormorò fra sè il signor di Montcalm.

      Si appoggiò alla parete senza produrre il menomo rumore, raccogliendosi su sè stesso come una tigre che si prepara ad avventarsi sulla preda, e si mise in ascolto, trattenendo il respiro.

      Dov'era mister Torpon? Chi poteva dirlo? S'avanzava cautamente attraverso la sala, col coltello alzato, pronto a vibrare il colpo o stava seguendo le pareti? Quanto avrebbe dato per saperlo.

      Invano i suoi occhi cercavano di forare le tenebre, colla speranza di scoprire, almeno vagamente, l'ombra del suo avversario; invano concentrava tutti i suoi sensi nell'udito, colla speranza di sorprendere uno strofinìo, un sospiro, un qualche rumore che lo tradisse.

      Il suo cuore cominciava a battere forte forte e così pure battevano, febbrilmente, le sue tempie. L'ansietà del pericolo che non sapeva da quale parte potesse giungere, lo vinceva, eppure quel canadese più di cento volte aveva affrontato gli orsi neri e bruno-giallastri delle immense foreste circondanti i laghi e le formidabili corna dei caribon, senza tremare.

      È noto già che le tenebre esercitano un'azione deprimente anche sugli animi più audaci. Degli uomini che in pieno giorno montavano all'assalto, sfidando intrepidamente la morte, si sono mostrati sovente vili durante i combattimenti notturni.

      Perfino un generale inglese, che nelle guerre dell'India si era acquistata una fama immensa di uomo coraggioso e sprezzante d'ogni pericolo, fu sorpreso una notte, durante un attacco, rannicchiato dietro un albero, più tremante dell'ultimo dei suoi cipai. Eppure aveva guadagnati i suoi galloni, tutti, sui campi di battaglia e l'avevano chiamato il leone!... L'ansietà che divorava il canadese, abbandonato fra quella profonda tenebrìa, in procinto di sentirsi, da un istante all'altro, spaccare il cuore senza avere alcuna possibilità di parare il colpo, era quindi scusabile.

      Sempre rannicchiato presso il pianoforte, col braccio destro armato, teso, pronto a tentare una parata disperata, come abbiamo detto, ascoltava sempre, cercando di sorprendere un qualunque rumore.

      Si trovava là da qualche minuto, sempre in attesa d'un colpo di coltello, quando uno scricchiolìo secco lo fece trasalire.

      Che cosa poteva essere stato? Si sarebbe detto che qualcuno aveva fatto scattare a vuoto il cane di una grossa rivoltella.

      Il canadese si era raddrizzato, dilatando spaventosamente le pupille. Cercava, cercava nell'oscurità che si stendeva dinanzi a lui, implacabile, impenetrabile.

      — Sarà stato il legname, — mormorò, dopo alcuni istanti d'angosciosa attesa. — Vi sono delle travi sul soffitto. —

      Si terse colla sinistra la fronte, copertasi subito d'un freddo sudore, poi tornò a rannicchiarsi a lato del pianoforte.

      Nell'abbassarsi però, la punta del coltello urtò sulla tastiera ed una nota ruppe bruscamente il profondo silenzio che regnava nella sala.

      Quel suono, un do profondo, aveva fatto vibrare l'aria tenebrosa, ripercuotendosi lungamente sotto il soffitto e negli angoli della sala.

      Il canadese ebbe un sussulto.

      — Mi sono tradito, — mormorò.

      Pronto come un lampo si gettò sul tappeto e scivolò silenziosamente verso il centro, almeno così credeva, della sala, poi si raddrizzò.

      L'americano, avvertito da quel suono non ancora del tutto spento, doveva ormai essersi diretto verso l'istrumento, per sorprendere l'avversario e forse inchiodarlo, con una tremenda coltellata, sulla tastiera.

      Passò un altro minuto, lungo quanto un secolo. Le ultime vibrazioni del do si erano a poco a poco affievolite ed un silenzio di tomba era piombato nuovamente sulla vasta sala.

      Ad un tratto l'udito piuttosto acuto del canadese, raccolse un rumore indistinto. Pareva ora che un piede nudo strisciasse sul soffice tappeto ed ora che invece fosse una mano che strisciasse lungo una parete.

      Si era bruscamente voltato, aguzzando invano gli sguardi.

      Proprio in quel momento nella via sottostante si udirono delle voci umane miste a scoppi di risa.

      Una brigatella di persone allegre passava dinanzi all'albergo cantando l'yankee-dodle.

      Quando quelle voci si perdettero in lontananza, lo stropiccìo che aveva allarmato il signor di Montcalm era cessato. Il silenzio era nuovamente piombato nella sala.

      — Me l'hanno fatto perdere, — mormorò il canadese, mordendosi con rabbia le labbra. — Quegli ubbriaconi potevano passare di qui un po' più tardi.

      Dove sarà ora quel dannato yankee? Dove sorprenderlo? Che si sia fermato e che al pari di me tenti di raccogliere il rumore dei miei piedi? Ah no, può aspettarmi, perchè non mi muoverò così presto.

      Il sole è ben lontano ed in dieci ore possono scannarsi anche diecimila uomini.... —

      Si era bruscamente interrotto ed aveva fatto un mezzo giro su sè stesso, tornando a dilatare le pupille, poi si era lentamente abbassato stendendosi del tutto al suolo ed accostando un orecchio sul tappeto.

      Aveva udito un altro fruscìo, ma che pareva provenisse dall'opposta direzione. L'americano, approfittando di quello schiamazzo, aveva fatto il giro della sala portandosi dall'altra parte?

      Il canadese ascoltava sempre, premendo l'orecchio contro il tappeto.

      Il suo udito raccoglieva, di quando in quando, dei crepitii appena percettibili. Dei piedi premevano, con precauzione, il pesante tessuto, diventando sempre più distinti.

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