Una sfida al Polo. Emilio Salgari

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Una sfida al Polo - Emilio Salgari

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forse anche lui verso il centro della sala? Probabilmente, attratto da quella nota mandata dal pianoforte, aveva raggiunto l'istrumento e non avendo trovato l'avversario, doveva avere seguite le pareti per poi lasciarle.

      Ora doveva cercare verso il centro, brancolando nel buio ed avanzandosi naturalmente a casaccio.

      Il canadese lo udiva avvicinarsi sempre più, poichè i crepitii della stoffa, per quanto leggieri, giungevano più distinti al suo orecchio.

      Dove sarebbe passato l'avversario? Dinanzi o di dietro? A destra od a sinistra? Ecco quello che chiedeva con una certa angoscia.

      Non gli sarebbe invece caduto addosso, inciampando in quel lungo corpo disteso?

      Il signor di Montcalm riflettè un istante, si compresse colla mano sinistra il petto come se volesse imporre silenzio ai forti battiti del cuore, poi lentamente si sollevò e si mise in ginocchio, girando intorno a sè la destra armata.

      Sentiva il nemico, ma per quanti sforzi facesse per raccogliere meglio il rumore di quella marcia silenziosa, non riusciva a stabilire la direzione che teneva.

      D'improvviso udì, a brevissima distanza, un lieve sospiro, ma nello stesso tempo il crepitìo del tappeto cessò.

      Si era fermato il yankee? Si era accorto anche lui che il suo avversario gli stava così vicino? Lo aveva forse fiutato? Anche questo poteva, fra le tante cose, ammettersi.

      Il canadese non fiatava più. Girava solamente, con lentezza, il bowie-knife intorno a sè, pauroso di agitare l'aria e di tradirsi.

      Passarono parecchi secondi, forse invece parecchi minuti.

      Un'angoscia estrema si era impadronita del canadese, angoscia che si tramutava in un vero supplizio assolutamente insopportabile.

      .... si erano precipitati nella sala, chiamando angosciosamente: — Mister Torpon! Signor di Montcalm! (Cap. IV).

      Nessun uomo di certo avrebbe potuto mantenersi tranquillo dinanzi a quel pericolo che non poteva vedere, e che pure gli girava d'intorno, minacciando di sopprimerlo quando forse meno se l'aspettava.

      Era meglio slanciarsi, cercarlo, assalirlo coll'impeto della disperazione, dovesse pure quello scatto riuscire fatale.

      — Basta, — aveva mormorato fra sè il canadese. — Non posso più resistere.... la paura mi assale.... agiamo prima che mi privi di tutta la mia energia.... —

      Balzò in piedi, mandando un grido di belva ed avventando all'impazzata dei colpi furiosi.

      Non si nascondeva più, non voleva più precauzioni: voleva la lotta a qualunque costo.

      Al suo grido un altro aveva risposto, non meno rabbioso, non meno feroce e vicinissimo. Anche mister Torpon si trovava nelle medesime condizioni di spirito e cercava di dare o di ricevere la morte.

      Per alcuni istanti i due uomini brancolarono nel buio profondo, cercandosi ed avventando sempre colpi, senza sapere dove potessero andare a finire, poi i due corpi, s'incontrarono furiosamente.

      Due grida di dolore ruppero bruscamente il silenzio che regnava nella sala, poi si udirono due tonfi.... Erano caduti!... Morti entrambi forse?.......

      ················

      I due partners che avevano origliato dietro alle porte, sussultando al più lieve rumore ed asciugandosi senza posa il sudore che inondava le loro fronti, udendo quelle due grida e quei tonfi, avevano accese le lampade elettriche, poi si erano precipitati nella sala, chiamando angosciosamente:

      — Mister Torpon!...

      — Signor di Montcalm!... —

      Due gemiti e qualche bestemmia avevano risposto.

      Quasi nel centro della sala, a tre passi l'uno dall'altro, giacevano i due rivali, ciascuno con un coltello piantato nel petto.

      I partners, in preda ad una emozione facile a comprendersi, si erano gettati verso i disgraziati e subito un grido di stupore era sfuggito dalle loro labbra.

      Caso assolutamente straordinario, quasi incredibile! I due rivali si erano colpiti nel medesimo punto, sotto la terza costola di destra e le lame non erano penetrate che per pochi centimetri, pur rimanendo infisse.

      Il dolore provato e sopratutto l'emozione, avevano atterrati quei due giganti e li avevano fatti svenire.

      — Che cosa dite voi, mister Patterson? — chiese il maestro di boxe canadese.

      — Che il destino non vuole che nessuno di questi uomini sposi miss Perkins, — rispose il boxer americano.

      — Comincio a crederlo anch'io.

      — Presto, leviamo i bowie-knife e portiamo i feriti a letto.

      Agite con precauzione, senza strappi, mister Hall.

      — Oh, me ne intendo io di ferite, — rispose il boxer canadese.

      — Si sono colpiti gravemente?

      — Non mi sembra. Per atterrare questi uomini ci vogliono ben altre ferite!

      — Non perdiamo tempo: a voi il signor di Montcalm, a me mister Torpon. —

      I due maestri strapparono i loro fazzoletti per preparare alla meglio un primo bendaggio, poi s'inginocchiarono presso i feriti, sbottonando rapidamente le giacche ed i panciotti e strappando le camicie e le maglie, poi trassero delicatamente le armi.

      Due getti di sangue vivissimo irruppero tosto dai due tagli, espandendosi sui larghi petti del yankee e del canadese.

      — Buon segno, — disse mister Hall. — Il polmone non è stato toccato.

      — Nemmeno quello del signor Torpon, — aggiunse il boxer americano, — almeno così spero.

      — Portiamoli a letto.

      — Sì, e presto. —

      Fasciarono come meglio poterono le due ferite, per arrestare l'emorragia, poi ognuno si prese il suo allievo ed essendo due veri giganti, li trasportarono con non molta fatica in due stanze separate, l'una però attigua all'altra.

      In pochi istanti furono spogliati e coricati su dei buoni letti.

      Continuando il sangue a trapelare attraverso la improvvisata fasciatura, i due maestri stracciarono degli asciugamani e fecero un nuovo e più stabile bendaggio.

      — Ed ora, — chiese mister Patterson al boxer canadese. — Dobbiamo avvertire l'albergatore?

      — Sarebbe meglio che voi vi recaste a cercare qualche medico, mister Hall.

      Le ferite non mi sembrano gravi, tuttavia non commettiamo delle imprudenze.

      In quanto all'albergatore lasciatelo in pace.

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