Il Gran Gesto Di Garron. Carol Lynne

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Il Gran Gesto Di Garron - Carol Lynne

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sia quello che ha più da perdere, con questa decisione. E se lui è disposto ad avermi nonostante tutta questa storia, io non mi lascio fuggire l’occasione”.

      Rawley si alzò e si diresse verso la porta, abbandonando la sua cena sul tavolo. “Siete due pazzi”. Indossò il cappello ma, quando fece per andarsene, Sonny parlò.

      “Almeno non facciamo finta di non provare quello che proviamo. Non puoi nasconderti dietro quel distintivo per sempre. Non ti sarà molto di conforto, quando sarai vecchio”.

      Rawley se ne andò senza neanche guardarsi indietro. Garron osservò Sonny con gli occhi sgranati. “Che c’è? È la verità. C’è così tanta tensione sessuale, tra Rawley e Jeb, che è un miracolo che la stanza non prenda fuoco, quando stanno insieme”.

      “Magari hai ragione,” disse Garron, allungando una mano per prendere quella di Sonny “ma non sta a te dirlo. Forse, se la smettessi di stargli tanto addosso, si lascerebbe andare di più”. Poi lo tirò per farlo sedere in braccio a lui.

      “È che mi dispiace vederlo così infelice”. Sonny sapeva benissimo che non avrebbe dovuto dire quelle cose a Rawley, ma ormai era tardi per rimangiarsele. Appoggiò la testa su quella di Garron e lo baciò. “Sono uno stronzo”.

      “No, cowboy, non lo sei. Devi solo lasciare che tuo fratello capisca da solo chi è veramente”. Gemette, perché Garron aveva iniziato ad accarezzargli il cazzo da sopra i jeans. “Vogliamo sbrigarci a lavare i piatti e tornare subito di sopra?”.

      Guardando il tavolo, Sonny non si sorprese a trovarci quasi tutto il cibo ancora sopra. “Peccato che non abbiamo un cane. Sarebbe bastato semplicemente mettere tutti i piatti sul pavimento”.

      Ridendo, Garron si alzò e mise in piedi anche Sonny. “Dai, prima facciamo, prima possiamo salire su”. Impilò i piatti e li portò al lavandino. Poi si voltò per fargli l’occhiolino. “E questa volta tocca a me guidare/guido io”.

      Capitolo Due

      Il giorno dopo, prima di andare al lavoro, Garron si fermò da suo fratello Jeb. Passando sotto la vecchia insegna del ranch, si ricordò di una cosa. Doveva parlargli del fatto di dargli un nuovo nome, perché Il Grande A non andava più bene. Parcheggiò la moto e poi salì i gradini del portico due alla volta. Aprì la porta d’ingresso e chiamo Jeb. Quando non ricevette risposta, tornò fuori e guardò il fienile. Se fosse stato nei paraggi, si sarebbe fatto vedere non appena avesse sentito la sua moto.

      Scuotendo la testa, si incamminò verso il fienile. “Jeb?”. Raggiunse l’enorme costruzione rossa e infilò dentro la testa. “Jeb?” disse di nuovo.

      “Arrivo tra un minuto” rispose suo fratello.

      Garron seguì la voce fino alla selleria. Jeb era seduto su uno sgabello e parlava al telefono. Dall’espressione un po’ tonta che aveva, capì che stava parlando con Rawley.

      “Ok, sì, ti chiamo se vedo qualcosa. Ci sentiamo”. Jeb attaccò e si rimise il telefono in tasca. “Ehi, fratellone”.

      Garron indicò con un sorriso la tasca. “Che dice il tuo amore?”.

      “Falla finita. Rawley ha chiamato per dirmi che sta portando Lionel in centrale per interrogarlo. Ha fatto fare una perizia balistica al proiettile, ma dice che di solito ci vuole un po’. Mi ha chiesto di tenere gli occhi aperti”. Incrociò le braccia e guardò il fratello. “Allora, che ci fai qui?”.

      “Sono passato solo per dirti che mi sposo. O mi impegno. Non so bene come chiamarlo, ma la cosa succederà il giorno del mio compleanno. Sonny affitterà la stanza sul retro del Dead Zone, volevo chiederti se ti andava di stare al mio fianco”. Garron sentì il suo viso avvampare, cosa che lo fece sentire alquanto incazzato. Non c’era assolutamente alcun motivo per imbarazzarsi, quindi perché stava arrossendo? Guardo Jeb in attesa del commento che sapeva stava per arrivare.

      Ma invece di una ramanzina come quella di Rawley, Jeb si tuffò tra le sue braccia. “Sono davvero felice per te”. Gli diede un bacio sulla guancia, prima di lasciarlo andare. “Naturalmente, penso che siate più fuori del balcone della zia May. Ma, ehi, chi sono io per giudicare?”.

      “Secondo te sono fuori solo perché voglio sposarmi?”. Garron si sentiva destabilizzato, sia per l’abbraccio inaspettato che per la storia del balcone della zia.

      “No, però secondo me se volete sposarvi dovreste andare alle Hawaii e portarmi con voi”. Jeb smise di sorridere e gli appoggiò una mano sulla spalla. “Sai che questo farà agitare la città, vero?”

      “Non tutta la città, solo Lionel e i suoi tirapiedi”. Guardò suo fratello negli occhi. “Lo amo. Sonny lo desidera davvero, e io farei qualsiasi cosa per lui”.

      Jeb lo guardò ancora per qualche secondo, prima di annuire. “Bene, allora faremo in modo che con voi ci siano solo quelli che vi vogliono bene”.

      “Grazie, fratellino”. Garron scompigliò i ricci biondi di Jeb, come faceva quando erano piccoli.

      Lui gli spinse via la mano. “Ora è meglio che tu vada a Lincoln. Non vorrai perderti qualche grossa operazione di droga o di altra roba del genere, mister Buoncostume”.

      Garron sorrise e lo salutò mentre usciva. Salì sulla Harley sentendosi bene, meglio di quanto non gli accadesse da molto tempo. Non riusciva ancora a credere che Sonny Good avrebbe finalmente fatto di lui un uomo onesto.

       * * * *

      Rawley spense il motore e si passò una mano tra i folti capelli neri con aria afflitta. Era stato un pomeriggio infernale destinato a peggiorare. Guardò l’insegna dell’”R&R”, l’allevamento dei suoi fratelli, e pensò che fosse ora che parlassero un po’. Le cose in città si erano un po’ complicate, aveva bisogno che almeno i suoi fratelli tenessero un profilo basso. Non era sicuro che l’avrebbero ascoltato, però doveva almeno provarci.

      Ranger e Ryker avevano sempre avuto un rapporto particolare. Era come se un legame inscindibile li avesse uniti nella pancia della madre, proprio come quei gemelli che Rawley aveva visto in TV. Il fatto che comunicassero con una lingua segreta era solo una delle loro tante stranezze.

      Da bambini si rifiutavano di dormire separati. Non importa quante volte i loro genitori avevano provato a dividerli, alla fine si risvegliavano sempre nello stesso letto. E finché erano piccoli, andava bene. Ma una volta diventati adulti il padre si era impuntato. I gemelli, quindi, avevano fatto l’unica cosa possibile: appena compiuti i diciotto anni, se n’erano andati via di casa. E visto che entrambi avevano lavorato in quell’allevamento durante tutte le scuole superiori, quando il Vecchio Zook era andato in pensione, aveva deciso di venderlo a loro. Per fortuna che avevano fatto pace con il padre, per allora, così lui aveva accettato di farsi cointestare un prestito. E questo era successo quasi sette anni prima.

      Scendendo dalla macchina da sceriffo, Rawley andò verso la piccola costruzione che ospitava il loro ufficio. Da quando avevano iniziato a gestire quel posto, gli affari erano più che raddoppiati. Era evidente che, quando si trattava di far ingrassare mucche, a nessuno importava che tipo di relazione avessero Ryker e Ranger. Di certo aiutava il fatto che i gemelli non ostentassero mai niente davanti agli altri. I vari pettegolezzi, in città, non facevano altro che supporre che i due fossero amanti. Nessuno aveva mai visto qualcosa. Non si tenevano nemmeno per mano, in pubblico.

      Una volta o due aveva sentito

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