Il Gran Gesto Di Garron. Carol Lynne

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Il Gran Gesto Di Garron - Carol Lynne

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quindi si mise seduto ad aspettarli lì all’ingresso. Osservando le sedie dorate di vinile, la cui pelle era tutta screpolata, Rawley scosse la testa.

      “Che c’è che non va?” disse Ryker, entrando nella stanza seguito da Ranger.

      “Secondo me avete fatto abbastanza soldi da potervi permettere di cambiare queste sedie vecchie di trent’anni”. Rawley raschiò via un po’ del materiale crepato.

      “E perché mai dovremmo farlo? Qui vengono quasi solo allevatori di bestiame. Se rinnovassimo questo posto, potrebbero pensare che ci stiamo arricchendo troppo a spese loro”. Ryker guardò Ranger e gli fece l’occhiolino. “Ovviamente è vero, ma loro non devono mica saperlo”.

      “Beh, allora non invitare mai nessuno di loro a casa vostra”. Rawley pensò all’enorme casa in legno e pietra che i gemelli avevano costruito qualche anno prima sul limitare della proprietà di famiglia. Tutta circondata dagli alberi, la casa era una meraviglia di cui Rawley era sempre stato un po’ geloso.

      Ranger prese posto accanto a lui. “Infatti non ne abbiamo affatto intenzione. La nostra casa è un tempio. Lì non c’è spazio per gli affari, mai”. Guardò prima Ranger e poi Rawley. “Allora, vuoi dirci cosa ci fai qui? Se è per raccontarci del toro e della festa, ci ha già chiamato Sonny”. Strinse appena gli occhi. “C’è forse qualcos’altro?”.

      Con un sonoro sospiro, Rawley si passò una mano dietro il collo. “Ho chiamato Lionel in centrale per interrogarlo. So che è lui il responsabile, e lui sa che io lo so. Ma non ho niente contro di lui. Ho richiesto dei test per il proiettile, ma potrebbe volerci tempo. È una situazione davvero troppo frustrante. Come posso proteggere Sonny, se lui ha intenzione di sbandierare ai quattro venti che sta per sposarsi? Pensa che la gente in città non lo verrà a sapere?”.

      Ryker si morse il labbro inferiore, facendo spallucce. “Magari non gli importa chi lo verrà a sapere qualcuno. Se tu amassi qualcuno tanto da volerci passare insieme il resto della tua vita, non lo faresti anche tu? Secondo me, quando finalmente ti innamorerai sul serio, sarai pronto a sacrificare ogni cosa per stare insieme a quella persona. È che ancora non ti è capitato”.

      “Amo Meg. Stiamo insieme da più di due anni” disse Rawley sulla difensiva.

      Ranger si girò verso di lui e lo afferrò per le spalle. “Tu non sei innamorato di Meg. Non dico che non le vuoi bene, ma non sarà mai abbastanza per te”.

      Irrigidendosi, Rawley si alzò di scatto e guardò i suoi fratelli. “Non voglio più parlare di Meg con voi. Siete proprio uguali a Sonny”.

      Fece per andarsene, ma Ryker gli mise una mano sul braccio. “Una cosa in comune con Sonny ce l’abbiamo di certo. Ti vogliamo bene e ci piacerebbe che tu fossi felice”.

      “Sarò felice solo quando voi tre la smetterete di ficcare il naso nella mia vita sentimentale”. Li guardò entrambi, poi scosse la testa dirigendosi verso la porta. “Tenete gli occhi aperti. La mia ipotesi è che tutta questa storia con Lionel sia solo all’inizio, e secondo me i prossimi sarete voi due. Lasciate fuori dalla città qualsiasi cosa stia succedendo”.

      Ranger si alzò in piedi e si mise accanto a Ryker, stringendo gli occhi. “Ci fa piacere che ti preoccupi per noi, fratellone, ma facci il favore di stare fuori dai nostri affari e di non dirci come vivere. Non lasciavamo che lo facesse papà, figurati se lo lasciamo fare a te”.

      Lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla, Rawley annuì. “Mi pare giusto. Voi allora state attenti e fatemi il favore di non intromettervi nella mia vita amorosa”.

      Rawley uscì e risalì sulla macchina della polizia. Dopo essersi allacciato la cintura, si passò le mani sul viso. Era davvero stanco di doversi sempre difendere, con i suoi fratelli. Era da quando era un ragazzo che non desiderava altro che diventare poliziotto. E aveva addirittura superato quel sogno quando era stato nominato sceriffo. Col cavolo che avrebbe messo tutto a repentaglio per una stupida fantasia romantica.

       * * * *

      Garron parcheggiò nel cortile del ranch bagnato come un pulcino. Era stato colto da un improvviso temporale estivo che lo aveva accompagnato e inzuppato per quasi tutto il tragitto verso casa. Scese dalla moto e fu contento di vedere Sonny sul portico, seduto sulla sua sedia preferita. Gli sorrise quando lui gli porse un asciugamano e una birra fredda.

      “Pensavo che ne avresti avuto bisogno, una volta tornato a casa” disse Sonny, mentre lui saliva i gradini.

      “Hai pensato bene, ma quello che mi serve davvero subito è un bacio”. Mise le sue labbra su quelle di Sonny, aprendogliele piano. Infilandoci dentro la lingua, Garron gemette sia per il sapore della birra fredda che per quello di Sonny stesso. “È di te che ho sempre bisogno per primo”.

      Sonny gli fece l’occhiolino. “Credo di poterci convivere. Ora però datti un’asciugata e raggiungimi in cucina. Visto che pioveva ho passato tutto il pomeriggio chiuso in casa a cucinare. Per quanto vorrei venire di sopra con te, mi piacerebbe che la mia cena fosse calda”. Gli diede un altro rapido bacio. “Tu sei sempre caldo, quindi lo so già che dopo avrò il mio dessert”.

      Ridendo, Garron gli diede una pacca sul sedere. “Ci sarà anche Rawley o posso mangiare in mutande?”.

      Sonny si bloccò dov’era. “Al diavolo Rawley. Ora lo chiamo e gli dico di andarsela a cercare da solo, la cena”. Si leccò le labbra e lanciò un’occhiata al pacco di Garron. “Vatti a fare una doccia e torna giù con quella biancheria sexy che ti ho comprato l’altro giorno”.

      Garron sgranò gli occhi. “Vuoi che le metta davvero? Pensavo me le avessi regalate per scherzo. Non so nemmeno se mi stanno bene”.

      Squadrandolo dalla testa ai piedi, Sonny gemette. “Oh, ti staranno benissimo”.

       * * * *

      Sonny aveva appena finito di preparare l’insalata, quando Garron entrò. Quasi si strozzò con la sua stessa lingua, vedendo l’uomo splendido in piedi sulla porta. “Porca puttana”.

      Poggiò l’insalata sul tavolo e si avvicinò per guardare meglio il perizoma di raso bianco che a malapena lo copriva. Gli girò intorno, per dare una bella occhiata al suo culo, ma Garron se lo coprì con le mani. “Smettila di guardarmi così. Mi fai sentire come un pezzo di carne”.

      Con un gemito, Sonny si spinse contro la sua schiena. “Il mio pezzo di carne” disse, stringendolo con le braccia. Mordicchiandogli una spalla, fece scendere piano le mani dal petto muscoloso al pacco avvolto nel raso. Il materiale era così morbido e le sue mani così ruvide e callose, che poteva sentire la stoffa impigliarsi sulla sua pelle. “Mani del cavolo”, mormorò tra sé e sé.

      Prendendole tra le sue, Garron se le premette sull’erezione. “Amo le tue mani. È di questa biancheria intima, che non sono così sicuro”.

      Sonny gli passò lentamente la lingua sul collo, sospirando. “Puoi sempre toglierle, no?”.

      “E mangiare nudo? No, grazie. Sbrighiamoci a cenare, così poi possiamo salire al piano di sopra”. Garron lo tirò verso il tavolo della cucina. “C’è un profumo buonissimo”.

      Ma guardando la grande teglia di lasagna sul tavolo, Sonny all’improvviso non aveva più fame. “Perché non la scaldiamo più tardi?”.

      Garron

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