Solo Per Uno Schiavo. Svyatoslav Albireo
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Ma lui non c’era.
Scomparso. Puf. Come se non fosse mai stato lì.
Si rese conto, in pratica, che aveva parlato da sola. Come un’idiota qualsiasi. La donna arrossì di umiliazione. Quello Schiavo presuntuoso aveva osato non implorare pietà. Le odiava, quelle puttane boriose. Se la facevano coi Corifei e non valevano assolutamente nulla, se non fosse stato per la loro bellezza. Si trovava sulla nave per incontrare Alsheh Mareh, la Lady Gaga di Firokami. Sicuro come la Morte che era quella la ragione. E se ne sarebbe pentito, eccome, per tutta la vita.
Aletta ghignò, pensando agli altri prima di lui. Tutti caduti tra le grinfie di Stine e mai più risollevatisi. Sarebbe successo anche a quel San Sebastiano. Sarebbe stata proprio lei a fare in modo che accadesse.
***
I Padroni adoravano sfondare culi. Non si curavano di prepararli prima. Era -quasi- voluto. E Stine non faceva differenza. Anzi, era maledettamente violento. Più degli altri. La sua era una missione. Doveva, per forza, dimostrare costantemente che lui era un Padrone e loro degli Schiavi. Nel caso di Al, una Bestia. Quindi, ancora più inferiore.
“Allora, troia, ti piace?” gli sussurrò all’orecchio.
“Sì, Padrone,” rispose, come d’abitudine, lo Schiavo. Mancava solo sbadigliasse.
Ma Stine non ci badò. Probabilmente, dato che non lo riguardava personalmente, nemmeno se ne accorse. Gli sborrò dentro, senza tante cerimonie. Poi, si sdraiò sul letto. Completamente rilassato, ignorò del tutto la presenza accanto a lui. Il poveraccio rimase col culo in aria, in attesa di ordini. Era ancora duro.
“Posso venire, Signore?” chiese, infine, quando divenne insopportabile. Di certo, un Padrone non l’avrebbe fatto di sua sponte.
“Apri la bocca. Poi, potrai venire.” E l’uomo lo fece inginocchiare. Dopo di che, iniziò a pisciargli tra le labbra.
Al sapeva che non se la sarebbe cavata solo con una chiavata a secco. E, senza alcuna emozione, cercò di non perdersi nemmeno una goccia. Nel frattempo, si toccava furiosamente.
Quel Padrone, tanto decantato nella sua depravazione, lo annoiava da morire.
Tutti loro lo annoiavano da morire.
Credevano di essere stocazzo, ma erano fotocopie gli uni degli altri.
Pensavano le stesse cose, agivano nella medesima maniera. E, da bravi narcisisti patologici, erano convinti di essere tutti particolari ed eccentrici.
Pisciargli in bocca. Wow, che originalità.
Ovviamente, si tenne tutto per sé e cercò di bere il più velocemente possibile. Ma il piscio gli finì comunque nel naso e sugli occhi. Quando finì, si ritrovò in una pozza dorata.
Stine, soddisfatto e tronfio, cominciò a rivestirsi. Molto lentamente. E osservava quella grande e terribile bellezza che si veniva addosso.
“Pulisci,” gli ordinò, poi.
Un’altra richiesta molto originale. Leccare il pavimento. Al stava lottando con se stesso per non cadere addormentato nei suoi stessi liquami.
Quindi, si chinò in avanti e cominciò a leccare. Stine lo guardava col sorrisino che tutti i siti di seduzione online, palesemente salvati tra i preferiti del Padrone, definivano da-stronzo. Al provava sempre qualcosa di molto simile alla pietà, per tale mancanza di consapevolezza di sé. Era palese quanto quel tipo stesse godendo nell’umiliare lo Schiavo. Era davvero convinto di essere il primo, il solo e l’unico ad averlo fatto. Faceva quasi tenerezza. Quasi.
Una volta terminato tale teatrino, il Padrone tirò il guinzaglio e si diressero -insieme- sul Ponte. Tutti si girarono a guardare la Bestia.
E i sorrisini da-stronzo si sprecarono.
***
Aletta, vedendo Stine e Al all’orizzonte, ridacchiò. Le piaceva, quella vista. Eccola, la differenza tra uno Schiavo e un Padrone. Si può essere più alti, più forti, più attraenti. Ma è la forza di volontà che gioca il ruolo di punta.
Quando la coppia si avvicinò, la donna mise su un’espressione contrariata.
“E dov’è che sei stato?” chiese.
Stine posò il guinzaglio, accese una sigaretta e si guardò attorno. Come se non avesse proprio nulla a che fare col ritardo dello Schiavo.
“Mi dispiace, Signora. Stavo aiutando Padron Stine a rilassarsi.”
“E io ti punirò per questo. L’hai fatto apposta? Ti piace essere castigato? L’avrai praticamente implorato di scoparti. Sai fare solo quello! Non sei nemmeno in grado di versarmi un bicchiere d’acqua!”
Si sentì subito meglio.
Prendersela con gli Schiavi aveva il potere di farla stare bene.
La vergogna provata poco prima, dimenticata. In quel momento, qualcun altro era più umiliato di lei. O così lei pensava. E ciò le bastava.
“Mia Signora, Voi siete la mia priorità. Ma non posso rifiutarmi, se un altro Padrone mi comanda. Sono uno Schiavo. No è una parola che non posso dire. Mai.”
Nemmeno una nota di colore trasparì da quella voce.
Ma un brivido dolce percorse la schiena della donna, a sentire quelle parole.
Il Dio Pagano era talmente umiliato da essere stato costretto a giustificarsi. Bene.
“Sdraiati sul fianco,” gli ordinò.
Quello obbedì, subito. Sapeva cosa la donna voleva. Sapeva tutto in anticipo. Perché gli faceva sempre le stesse pallosissime richieste.
“Toccati, puttana, lo so che ti piace,” gli sibilò.
Lo Schiavo cominciò a toccarsi. Veloce, ma senza la minima passione.
“Mettici più impegno! E non dimenticarti i coglioni,” aggiunse Aletta, mentre gli spingeva la base rigida del guinzaglio nel culo già martoriato.
La Bestia iniziò ad ansimare.
“Fa male, Padrona. Fa tanto male.” Ed era vero. Ma non voleva certo che si fermasse. Il dolore era una consolazione. Solo così sapeva di essere ancora vivo.
“Vi prego, Signora,” implorò, poi, falsissimo.
E Aletta sorrise. Ci credeva davvero, povera stella.
“Pensi, forse, che non lo sappia? Non distrarti! Più forte!”
Stine, nel mentre, continuava a guardarsi attorno.
“Hai mica visto un ragazzo? Giovane, bellissimo, occhi rossi, sfrontato