Solo Per Uno Schiavo. Svyatoslav Albireo
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Una volta raggiunta la sua cabina, si accorse che c’era qualcuno al suo interno. Sbirciò e vide Stine, addormentato, nel suo letto.
Patetico.
Sollevò gli occhi al cielo, esasperato. Girò i tacchi e attraversò il corridoio. Direzione, la cabina del Capitano della nave.
Il Comandante Stor stava già dormendo, quando bussò. Poteva essere uno dei suoi sottoposti. O la sua ninfetta. Oppure un passeggero. A ogni modo, doveva alzarsi. Quando aprì la porta, ciò che vide gli mozzò il fiato. Una meravigliosa creatura ciondolava sulla soglia. L’aveva già notato, quel ragazzo. Forse si trattava dell’amante di qualche Corifeo? Decisamente sì, uno così bello doveva essere uno Schiavo Di Lusso.
“Sì?” gli sorrise l’uomo.
Ad gli si avvicinò e, nella sua migliore interpretazione di Lady Macbeth, cinguettò, “Oh, Capitano! Mio Capitano! Aiutatemi! C’è un uomo nella mia cabina! Nel mio letto! Ho tanta, tanta paura! Non ho trovato nessuna guardia! Avrei chiesto a loro, prima di disturbare Voi, ma non sapevo a chi altri rivolgermi! Vi prego!”
“Non aggiungere altro! Mi vesto subito!” esclamò il Capitano.
Una brava persona? Mamifacciailpiacere! Non vedeva l’ora di buttare fuori qualcuno dalla sua nave. E a calci in culo, per di più. Tutto, pur di accaparrarsi la gratitudine di un Corifeo. Magari, lo avrebbe fatto ringraziare personalmente dal suo adorabile Schiavo.
“Oh, grazie! Grazie, mio Capitano! Mio eroe!” cinguettò, ancora, il ragazzo.
Stor si vestì alla velocità della luce. Poi, una volta cinte le delicate spalle di Ad con un braccio, lo condusse attraverso il corridoio.
“Vediamo un po’ chi è che ha sbagliato stanza.”
Stine era ancora addormentato. Ancora per poco. Venne bruscamente svegliato da uno spintone.
Indignato, era pronto a farla pagare a chiunque avesse osato. Ma non ne ebbe il tempo.
“Ehi! Cos’è che ti credi di fare nella cabina di questo ragazzo?” urlò il Comandante, indicando Ad. “Non avere paura, figliolo. Probabilmente ha solo alzato un po’ troppo il gomito e si è confuso. Non è vero, compare?”
“L’ho chiusa a chiave, prima di uscire. Me lo ricordo perfettamente,” disse, innocente, quell’esotica bellezza.
Stine si sedette sul letto e, con tutta la nonchalance del Mondo, si accese una sigaretta. Stor lo guardava, scioccato.
“La mia è una cabina per Non-Fumatori,” sussurrò Ad.
“Spegni quella cazzo di sigaretta, Padrone, e torna nella tua cabina. Adesso!”
Stine si alzò.
“Questo è il mio Schiavo. Tu, che cazzo è che vuoi? Chi sei?”
“Sono il Capitano di questa nave. E questo passeggero è sotto la mia protezione!”
Stor non poteva credere alle sue orecchie.
“Faccio questo lavoro da quarant’anni e mai, e dico mai, uno Schiavo è venuto a bussare -nel cuore della notte- per chiedermi di sbattere fuori a calci il loro Padrone! Vai via, adesso, o dovrò arrestarti e lasciarti al prossimo porto!” esclamò, volutamente calcando il tu.
“Come ti permetti! Io sono Stine Darmush!”
“Lo so chi sei, Padrone. E ti rispetto molto. Ma questo passeggero è sotto la mia protezione. E ho tutte le ragioni per credergli. Quindi, ascoltami. Hai una gioielleria di successo. Tutti gli Schiavi, incluso il qui presente, indossano qualcosa creato da te. Immagina che scandalo, se venisse fuori che ti rimorchi gli Schiavi degli altri? Pensa a tutti i problemi che avresti con, che ne so, Padron Son!”
Stor, mentre parlava, si accorse che Stine stava cercando di afferrare il ragazzo. Sospirò, ma sorrise. Per legge, non poteva espellere nessun Padrone. Aveva cercato di spaventarlo, ma un uomo con la mente annebbiata dalla lussuria è un osso duro da spezzare. “Oppure con Elm!”
Stor sorrise tutto il tempo, come per far capire al Padrone che lui lo capiva. Come resistere a tale bellezza! Ma le regole, il galateo, i cazzi e i mazzi, blah blah blah.
“Non posso certo ignorare le conseguenze, soprattutto da parte di tali cittadini.”
“Ma questo Schiavo è mio,” continuava a ridacchiare Stine.
“No, non lo è!” Il Capitano stava iniziando a perdere la pazienza. Inoltre, il ragazzo alla porta era palesemente annoiato. “Se lo fosse davvero, parlerebbe così? Davanti a te? Se l’hai comprato, dimmi dove. E perché non è nella tua cabina. Non farmi sollevare un polverone! Non costringermi a contattare le autorità di Firokami e denunciare uno dei suoi beniamini! Penso che non ci vorrà molto, al vero Padrone, per dimostrare che non hai alcun diritto sulla sua carne.”
Stine era duro come roccia. Lui lo sapeva, Stor lo sapeva, i muri lo sapevano. L'oggetto del suo desiderio era lì, in piedi sulla porta, aspettando che i due uomini si mettessero d’accordo e lo lasciassero rientrare nella sua cabina. A entrambi, per un secondo, passò per la mente che avrebbero potuto divertirsi -insieme- con quella puttanella. Ma a che prezzo? Sarebbero morti, dopo atroci sofferenze, nel giro di pochi giorni. Nessun orgasmo ne sarebbe valsa la pena. Quindi, uscirono nel corridoio.
Finalmente, Ad era tornato Padrone della sua cabina!
“Grazie, mio Capitano, grazie mille! Troverò il modo di ringraziarla! Non esiti a chiedermi qualsiasi cosa!” promise il giovane, prima di chiudersi dentro.
Stine e Stor rimasero in piedi, lì, davanti alla porta per qualche secondo. Stor non aveva smesso di sorridere un solo istante. Stine se avesse potuto dare fuoco alla porta con la forza dello sguardo l’avrebbe fatto. Poi, d’improvviso, la porta si riaprì. Veloce, un accendino volò dalla fessura e cadde a terra. Stine lo lasciò lì.
“Raccogli la tua spazzatura,” gli disse il Capitano.
“Lasciami i coglioni in pace!” rispose quello, prima di andarsene. “Ti ho rivolto la parola per sbaglio e mi hai fatto scendere la besciamella alle ginocchia!”
Stor raccolse l'accendino, si avvicinò a un cestino e ce lo gettò dentro. Si girò e si diresse verso la sua, di cabina. Per tutto il resto della nottata, non fece altro che ricordare quelle bellissime labbra che mormoravano, “Ho tanta, tanta paura! Non sapevo a chi altri rivolgermi! Vi prego”.
Si addormentò, solo dopo essersi toccato a dovere.
CAPITOLO CINQUE
Al si alzava, ogni giorno, molto presto. Cercava di andare in bagno durante la notte, mentre la sua Padrona dormiva. Non sempre, però, ciò era possibile. Aveva bisogno di un permesso speciale, anche per fare pipì. Ma non doveva assolutamente svegliarla, per chiederglielo. In linea di massima, era meglio non far sapere ad Aletta che lui, in bagno, ci andava. Perché, a quel punto, lei avrebbe voluto sapere perché lui -in bagno- ci stava andando. E cosa ci andava a fare e come lo faceva. La prospettiva di morire di blocco intestinale era molto più allettante di quel ridicolo terzo grado.
Quella