Solo Per Uno Schiavo. Svyatoslav Albireo
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“L’ho invitato al Tavolo, per cena.”
“Awww, ma quanto sei premuroso!”
E scoppiò a ridere, lo stesso suono di mille vetri in frantumi. Ossia, fastidioso.
Al stava tentando di venire, in fretta, ma quel rumore lo mise a dura prova. Voleva ascoltare i discorsi dei due Padroni, ma prima doveva portare a termine l’ordine ricevuto.
Quindi, si dedicò alle sue personali fantasie.
Un prato verde, tanti fiori bianchi, una scogliera stagliata sul cielo azzurro, una casetta dal tetto verde, un orticello, un amante grazioso, risate sulla spiaggia, tenersi per mano, ascoltare il Mare cristallino e i suoi misteriosi sussurri. Il sesso sarebbe stato piacevole. Niente forzature, niente manipolazioni. Nessuno dei due avrebbe provato dolore. L’amore avrebbe reso tutto fantastico, nient’altro. Avrebbe guardato il suo innamorato negli occhi, con rispetto, sempre. Gli avrebbe sorriso e goduto della sua felicità. L’avrebbe fatto stendere sull’erba, lo avrebbe baciato ovunque e poi-
Al diede un ultimo strattone e si venne in mano. Aletta buttò il guinzaglio per terra, mentre la Bestia riprendeva fiato.
“Vorresti guardare l'acqua?” gli chiese, soddisfatta.
“Sissignora,” sospirò lo Schiavo.
E Aletta recuperò il guinzaglio, legandolo al tavolo.
“Torno a prenderti prima di cena.”
“Grazie, Signora.”
La Padrona sentiva gli sguardi invidiosi delle altre donne su di sé. E quanto le piaceva! Poi, gli accarezzò la spalla e si allontanò.
Finalmente solo, lo Schiavo si guardò attorno.
Niente sedie.
Ovvio.
Ma anche se ci fossero state, non le avrebbe usate. Da seduto, non avrebbe potuto vedere l’Oceano. E se Aletta si fosse accorta che non stava obbedendo, avrebbe potuto decidere di inventarsi qualche altro passatempo.
Le sue interiora si contrassero. Il dolore, stranamente, non era ancora scemato. Sussultò, quando si mosse troppo bruscamente. Fortuna che non c’era nessuno, a vedere che stava effettivamente soffrendo. Perché avrebbero voluto farlo soffrire un po’ di più, quei pezzi di merda.
Era diventato Schiavo all’età di otto anni. Prima, aveva vissuto in un orfanotrofio gestito dalla Chiesa. La stessa Chiesa che, poi, lo aveva introdotto al Mondo della Schiavitù della Contea di Dora. Firokami autorizzava le peggiori perversioni. Avere più di una confessione religiosa non era nulla di speciale. Nessuna era più importante di un’altra. I rappresentanti di ciascuna avevano gli stessi diritti e doveri. E le stesse depravazioni. Forse, erano pure più sregolati dei comuni mortali.
Quella era la sua vita, il suo stato sociale.
Talmente prezioso che non gli era nemmeno permesso di andarsene in giro da solo. Sempre legato, spesso rinchiuso. Non si poteva correre il rischio che venisse rubato. O, peggio, che scappasse. Perché lui, di fuggire, ci pensava continuamente.
Ma dove sarebbe andato? Cosa avrebbe fatto? Completamente nudo, senza denaro, senza la minima conoscenza. Forse, avrebbe potuto sopravvivere nella foresta. Ma come ci sarebbe arrivato? Fino a che punto sarebbe sopravvissuto? E quando l’avrebbero catturato? Non voleva pensarci.
Fantasticava su indipendenza ed emancipazione, ma non gli sembrava il caso di agire.
Da quando era bambino, gli era stato inculcato che fosse solo un giocattolo, nato per quel motivo ed esclusivamente quello. Era stato nutrito a pane e umiliazioni.
La verità era che aveva paura della Libertà. Non la conosceva. Come poteva mantenersi, da solo? Certo, sapeva cucinare e tenere pulito. Ma come avrebbe pagato la casa dove avrebbe vissuto? Non sapeva niente di concreto. L’ignoto lo spaventava più degli abusi subiti a Dora da tutti quei preti pedofili.
I suoi pensieri furono interrotti da un respiro affannoso.
Sicuramente l’ennesima Padrona che si toccava ammirando i suoi muscoli. Patetico. I suoi sogni di un amante gentile, con cui vivere in una casetta sulla scogliera, divelti all’improvviso.
Si voltò subito, perché non sia mai che quella Padrona pensasse fosse un maleducato. Ma di fronte a lui, un altro Schiavo. Uno di lusso, con gli occhi che sembravano ciliegie. Faceva sicuramente parte dell’Élite di Firokami. Quel colore di occhi era troppo raro per non essere altrimenti.
Al gli sorrise. Erano colleghi, dopotutto. Non aveva nulla da temere dalla concorrenza.
Il ragazzo si avvicinò. Era bellissimo.
“Ciao,” disse, timido.
“Ciao,” rispose Al.
E il nuovo arrivato si insinuò accanto a lui. Senza invito.
“Ti fa male?” gli chiese, con dolcezza.
Al non aveva mai incontrato prima d'ora uno Schiavo D’Alto Borgo che si preoccupasse per gli altri. Avide puttane, li definiva Aletta. E, per quanto gli costasse ammetterlo, aveva ragione. Quei giovani amavano gioielli e lingotti. Li amavano più di loro stessi. Al era sempre più confuso. Il ragazzo gli accarezzò la guancia, dove il piscio si era incrostato. La Bestia sussultò. Si sentiva a disagio. Perché? Emozioni rischiose si stavano pericolosamente risvegliando in lui.
Scosse la testa, fissando il ragazzo. “No,” disse.
Quella fragile, perfetta bellezza lo fissava a sua volta. Ovunque. Poi, lo sguardo si bloccò sul cazzo della Bestia. E sorrise. Moscio, sì, ma bello e fiero. Era quasi primordiale. E, sotto quello sguardo cremisi, Al divenne duro. Per l’ennesima volta in pochissimo tempo. Imbarazzo. Quella parola non descriveva affatto lo stato in cui versava. Tale sensazione era quasi sconosciuta, certamente dimenticata. E scattò in piedi. Il giovane lo guardò, dal basso verso l’alto. Poi, scoppiò a ridere. Profumava di fresco, ma anche di caldo. Di noci, ma anche di fiori. Dolce, ma avventato. Si alzò anche lui. Aveva addosso solo un paio di mutandine. Talmente ridotte che, se anche non le avesse indossate, sarebbe stata la stessa cosa. Si avvicinò, felino, e cominciò ad accarezzare l’erezione della Bestia. Il ragazzo era molto più basso e gracile di lui. Quindi, si sollevò in punta di piedi per poterlo baciare. Fu a quel punto che Al si risvegliò.
“Cosa stai facendo?”
“Cerco di rimorchiarti,” grugnì il giovane, mentre respirava -a pieni polmoni- l’odore dell’altro.
“Qui?!” E Al si stupì di se stesso. Da quand’è che era diventato così timido?
“Certo che no! Andiamo nella mia cabina,” rispose il ragazzo, acido e seducente, mentre tirava il guinzaglio.
Quel corpo era così reale, così allettante. Al, d’improvviso, lo strinse. Dopo di che, si chinò in avanti e lo baciò. Le mani che scivolavano sulle spalle e la schiena di quel giovane sconosciuto e sfacciato.
Si staccò.
“Sono