Solo Per Uno Schiavo. Svyatoslav Albireo
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Solo Per Uno Schiavo - Svyatoslav Albireo страница 5
Poi, il baratro.
Accadde tutto molto in fretta. Le mutandine sparirono, le gambe si spalancarono, la schiena si arcuò, le labbra gemettero. La Bestia si spingeva, nervosa, dentro quel culetto oh-così-stretto e oh-così-impaziente. Tutto scomparve. C’erano solo loro due. L’ultimo barlume di razionalità dirottato all’urgenza di non venire subito. Impresa titanica, con quell’acerba bellezza che gli si agitava in grembo. Come non venire, con tutta quella pelle sotto le dita?
“Di più, ti prego, ancora,” gli sussurrava quello, dopo ogni spinta.
Dentro, fuori, su, giù.
Lo Schiavo cercò in tutti i modi di resistere, mentre seppelliva il viso tra i riccioli del ragazzo e il cazzo nel suo culo.
Ancora dentro, ancora fuori, ancora su, ancora giù.
I gemiti si fecero sempre più acuti. I gridolini si trasformarono in urla. Le carezze vennero sostituite da graffi. Poi, quel giovane venne. E fu la cosa più bella che Al vide in tutta la sua vita. Ma il piacere fu talmente forte da diventare insostenibile. Il ragazzo tentò di allontanarsi da quello spiedo che lo stava devastando. Ma la Bestia non ci stava. Nossignore. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi scappare quel gioiello prezioso. Quindi, fece l’unica cosa possibile. Gli afferrò i fianchi, lo immobilizzò sulla sua erezione e martellò -incessante- quel posticino particolare. Profondo, tra le natiche, l’entrata per il Paradiso.
Artigli affilati gli lacerarono la pelle delle spalle. Ma il suo orgasmo fu così perfetto che lui nemmeno li sentì.
Strinse forte quell’angelo tra le braccia. Non voleva lasciarlo, ma come poteva trattenerlo? Non aveva nulla.
Nulla.
Per la prima volta, il desiderio di Libertà si fece impellente.
Doveva trovare una soluzione. Doveva strappare quelle catene. Doveva scappare, con lui.
Ma dove? Verso l’Oceano?
Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
“Come ti chiami?” gli chiese. Perché, ovviamente, i convenevoli prima di tutto.
Ma non sentì mai la risposta. Si voltò, d’improvviso, percependo una presenza accanto a sé.
Melinda, un’amica-nemica di Aletta, era a un palmo da lui. E sogghignava sadica.
“Vattene,” disse, quindi, spingendo via il ragazzo. “Non avvicinarti mai più a me.”
Ma mentre lo disse, qualcosa gli morì dentro. Il giovane lo guardò e la Bestia sperò che il suo sguardo contraddicesse in toto le parole appena pronunciate. Lui lo fissò, le palpebre pesanti di lussuria, le labbra gonfie di baci. Un attimo dopo sparì tra la folla.
Erano circondati.
Doveva agire così.
Era l’unico modo.
L’avrebbero portato via.
Via da lui.
No, non l’avrebbe permesso.
Sarebbe morto, piuttosto.
CAPITOLO TRE
Melinda si avvicinò e gli toccò il culo. Così, di botto, senza senso. Al non si voltò. Non subito, almeno. Doveva prima affrontare quella tempesta di sentimenti e sensazioni, così estranei, che gli si agitava dentro.
Un sospiro, prima di tornare alla realtà.
La donna afferrò il guinzaglio e lo condusse al Ristorante.
“Stasera sarà davvero molto divertente. Se ti comporterai bene, avrai una bella sorpresa,” gli promise. Poi, sorrise e si strizzò i seni tra le mani. Al, senza nemmeno pensare, si inchinò e iniziò a baciarli. Puzzavano di borotalco.
“Ottimo lavoro,” commentò Melinda.
Al lanciò uno sguardo alla folla. Nessuna traccia del ragazzo, logicamente.
Nel Ristorante, Aletta recuperò il suo Schiavo. Lo fece inginocchiare davanti alle sue cosce aperte e non ebbe nemmeno bisogno di dirgli cosa fare. Tuttavia, nessuno ci badò. L’intero locale stava osservando il Quarto Tavolo, sì, ma era Stine colui che attirava l’attenzione. Tutti erano in attesa di vedere la Preda. I più maligni si aspettavano che il Padrone si desse alla caccia.
Finalmente, Ad fece il suo trionfale ingresso in sala. Non sembrava alla ricerca di niente e nessuno, non si guardò mai attorno, ma si diresse -sicuro- verso la tavolata numero Quattro. Le mani come in preghiera, la testa bassa. Gli uomini presenti divennero quasi duri, a quella vista, mentre le donne si incazzarono come faine. Quel bimbo era più bello di loro! Aletta si innervosì talmente tanto da stringere pericolosamente le cosce attorno alla testa della Bestia. Fu un miracolo che non finì decapitato. Ma lo Schiavo non si accorse del suo arrivo. Né sentì nulla, della conversazione successiva. Peccato, perché ne sarebbe stato orgoglioso.
Alcuni uomini iniziarono a proporre eventuali turni col nuovo arrivato, qualcun altro affermò di averlo visto per primo.
Stine non si scompose. Anzi, si rilassò meglio sulla sedia.
“Ciao,” sorrise il ragazzo.
“Salve,” rispose il Padrone, battendosi su un ginocchio come invitandolo a sedersi.
Troppo facile.
“Sto andando via. Sono solo venuto a riportarti una cosa che hai dimenticato, stamattina, quando ci siamo visti.”
E il cocktail, col mozzicone di sigaretta che ancora ci galleggiava dentro, venne rovesciato addosso al sorriso da-stronzo dell’uomo. L’intero Ristorante trattenne il fiato. Poi, il Padrone bestemmiò e cercò di afferrarlo. Ma il ragazzo aveva tutta l’intenzione di vendere cara la pelle. Artigliò quell’avanbraccio e lo sfregiò.
“Non ho paura del sangue arterioso, io,” sibilò. “Non avresti dovuto afferrarmi a mani nude. Avresti dovuto spararmi, in mezzo agli occhi. Così mi avresti fermato. Forse.”
Sporca di sangue, la mano si mosse in un gesto di saluto. Uno particolarmente vezzoso.
Poi, quella bellezza si girò e se ne andò.
“Bastardo!” esclamò Aletta. Tirò forte i capelli della Bestia, allontanandolo da sé e ridandogli l’udito. “Non ho più voglia di venire.”
Poi, gettò un piatto a terra. Cocci e cibo si mischiarono pericolosamente.
“Mangia!” ordinò.
E Al obbedì. Senza il minimo interesse né per il sushi di prima qualità né per la porcellana affilata. Tutto ciò fece imbestialire ancora di più la sua Padrona. Melinda approfittò della confusione per calpestare ogni singolo boccone. Perché così le andava. Poi, disse all’altra donna, “Non essere così arrabbiata. Vedrai che Stine lo troverà e se lo scoperà a dovere.