Il Dono Del Reietto. Mario Micolucci

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Il Dono Del Reietto - Mario Micolucci

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avevano perso

      I Primi Nati dormivano da tempo

      E Corrupto preparava il suo intervento

      Nel ventre del Verme per decenni gli elfi furono deturpati

      Soffrivano, si dimenavano, cercavano la morte ma non la trovavano

      Sprizzavano lampi bluastri di magicka ma il Verme lo assorbiva e lo plasmava

      Decomponevano tra spasmi, urla disperate e loro energia in odio mutava

      Per decenni furono digeriti e con essi i lupi della grotta, la terra, il fango

      Alla fine l'Emissario terminò il suo compito e dal suo ventre noi goblin fummo generati

      Destinati a degenerare nella vecchiaia come i lupi mortali vivevamo

      Feroci, astuti, letali e prolifici come i lupi ci diffondevamo

      La Guerra dei Quattro volgeva al termine

      Tutti avevano perso

      I Primi Nati dormivano da tempo

      E Corrupto si apprestava a regnare su Xantis

      Noi goblin ci moltiplicammo a milioni

      Tutti i popoli stremati sottomettemmo

      Sacrifici a Corrupto in tutta Xantis elevammo

      Ciò non piacque a Energon della Razionalità

      Egli arrestò lo scorrere del tempo e a Tron rivolse la sua protesta

      “Ho accolto i Quattro in Magicka, il mio Mondo, per farne l'Arena

      Per ere Ti sei appagato del loro scontro, tutto i miei servi hanno registrato

      Nessuno dei Quattro ha ancora vinto e Corrupto non è della Contesa”

      La Guerra degli Quattro volgeva al termine

      Tutti avevano perso

      I Primi Nati dormivano da tempo

      Ma Limpa giunse a perseguitarci

      Tron divertito dai nuovi risvolti decise di allargare la Contesa

      In antitesi a Corrupto inviò Limpa della Conservazione

      E il Diamante risplendette nella Volta Celeste

      Ella aprì un varco da cui scaturì il suo Emissario

      Il Cigno di Cristallo solcò i cieli con una scia di polvere splendente

      Tutti gli elfi da essa investiti provarono sollievo e gioia: il loro aspetto mutò

      Crebbero in statura e in purezza, i capelli divennero rilucenti come i diamanti

      Gli Elfi di Cristallo ci mossero guerra e cruenti furono gli scontri

      La Guerra i Quattro era finita

      Nessuno aveva prevalso

      Ma una nuova Contesa si era aperta

      Tanti Nuovi Dei giunsero e vi presero parte

      Nuove razze furono generate e tante altre guerre furono combattute

      Fiumi di sangue furono versati e molto magicka fu dissipato

      Il rito originale continuava, ma da tempo immemore, la parte finale era stata omessa dalla tribù, forse perché contemplava il graduale declino della loro razza e soprattutto perché, ormai, tutti ritenevano falsa e fastidiosa l'ultima strofa. Non era possibile che i deboli umani, giunti in epoche più recenti, fossero stati generati direttamente da Tron in persona.

      Djeek amava recitare il Rito, perché lo portava a fantasticare, ma fantasticare poteva essere letale per un goblin... Infatti, se prima era tardi, dopo le sue elucubrazioni, lo era molto di più. Dove avrebbe trovato il coraggio di presentarsi a Hork con il sacco vuoto? Il tempo che gli restava non sarebbe bastato neanche se i ratti della Grantana fossero usciti, come per magia, tutti allo scoperto. Fu esattamente allora che proprio la fantasia gli fece balenare un'idea bizzarra.

      Registri di Dharta Misathon (ottavo giorno del mese quarto nell'anno 11522).

      Djeek impugnò il bastone che lo superava in altezza di almeno mezzo piede e, sollevando schizzi, si mise a correre rumorosamente verso la grande tana delle nutrie. Era buio e c'era la nebbia, ma nessuna delle due cose infastidiva più di tanto la sua vista da goblin. Arrivò a una montagnola di argilla con alcuni fori a cui facevano capo profondi cunicoli nei quali centinaia di roditori trovavano rifugio. Djeek l'aveva ribattezzata Grantana ed era una specie di scatola dei desideri. Purtroppo, ogni tentativo di penetrarvi era risultato vano. Diverse volte, aveva provato a scavare, ma l'operazione era lenta e le creature facevano in tempo a spostarsi in zone sicure della complessa rete di tunnel. Aveva provato a versare dell'acqua, ma questa defluiva per poi essere assorbita nel terreno in profondità. Nemmeno appiccare il fuoco in prossimità delle buche era servito.

      Stavolta, però, disponeva di un nuovo strumento. “Se grazie a questo bastone, quell'umano ha stanato e messo allo spiedo il Grande Mostro della Palude, io potrei riuscire a stanare almeno qualche roditore” pensò Djeek senza troppa convinzione.

      Strinse forte l'impugnatura, imitando goffamente la posizione dell'elementalista, socchiuse gli occhi e si sforzò cercando di scuotere la montagnola con il pensiero. Purtroppo, non accadde nulla. Provò altre volte sbarrando gli occhi o serrando i denti: niente, niente di niente!

      Alla fine, stremato e rassegnato, si genuflesse reggendosi al bastone. Attraverso di esso, sentiva flebili e lontane le vibrazioni che si trasmettevano sul terreno: erano i ratti che si muovevano e scavano sotto la superficie. Già altre volte, poggiando l'orecchio a terra, aveva potuto sentirli: così vicini eppure, così irraggiungibili. Gli sembrò quasi di vederli lì sotto, immaginò di poter penetrare nel cunicolo e seguirli nei loro nascondigli. Sentì i loro passi furtivi quasi come se gli passassero sul ventre e, come in un sogno, immaginò di schiacciarseli addosso con le braccia: avvertì il loro sgomento nel vedere le loro tane tremare e crollargli addosso. Sentì il calore del loro sangue scorrergli sul petto e l'inebriante odore dell'adrenalina che trasudava dalla loro pelle.

      Come risvegliandosi da una visione, Djeek aprì gli occhi e vide una valanga di ratti evacuare terrorizzati dalla montagnola semi-crollata. Si lanciò alla caccia e, nel giro di un minuto, aveva già riempito il sacco.

      Era salvo: ciò lo rendeva felice e, per la prima volta, fiero di sé. Poco dopo, un altro pensiero, ancora più divertente, gli stampò sul volto butterato un ghigno ferino, cioè l'equivalente goblin del sorriso. «Non vedo l'ora di vedere la faccia di Kitzo: il sacco è più pieno di prima!» pensò ad alta voce.

      Raggiunse il luogo del nascondiglio e, mentre con fare reverenziale riponeva nella fessura il bastone, pensò di conferirgli un nome. «Lo chiamerò Grande Verme.» Cioè il modo gergale usato per riferirsi all'emissario di Corrupto. Come il Verme Primordiale aveva stanato gli elfi grigi dalla caverna, così il suo aveva stanato i ratti dai loro cunicoli.

      Arrivò

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