Scherzi Del Futuro. Marco Fogliani
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Solo con il passaggio del progetto alla fase operativa, cioè quando sono venuti a casa per montarmi la cabina, ho avuto un attimo di incertezza e preoccupazione per avervi aderito. Ero a conoscenza delle dimensioni del box, ma non mi ero reso conto che avrebbe in pratica più che dimezzato lo spazio del mio studio. Poco male: perché una volta installato capii presto che lo studio avrebbe perso quasi tutta la sua importanza. Con le sue apparecchiature d'avanguardia, quel sofisticato gabbiotto ha mandato completamente a riposo il computer, il fax e il telefono che usavo prima; con un certo beneficio anche sulla bolletta, dato che i costi di esercizio della cabina, che sostituiva in tutto e per tutto la mia vecchia postazione di lavoro, erano completamente a carico dell'azienda.
Altre preoccupazioni erano legate alla nuova attività recentemente intrapresa da mia moglie, attività che insieme al giardino e alle comodità di casa nostra era stata il principale impedimento a trasferirci. Già: con una certa sorpresa ma anche orgoglio da parte mia, Rita si era all'improvviso trasformata da casalinga in imprenditrice. Sfruttando la sua innata capacità di resistere ai bambini, gli incentivi economici previsti dalle nuove normative nonché il giardino e gli ampi spazi a disposizione in casa nostra, l'aveva trasformata in una specie di asilo di quartiere. Così poteva rimanere sempre vicino a nostro figlio, e al tempo stesso sentirsi realizzata ed economicamente autonoma.
Solo se dovrò lavorare da casa, pensavo, avrò l'impatto con la confusione ed il rumore di questo viavai infantile. Ed invece no: la cabina era insonorizzata alla perfezione. Qualunque cosa fosse successa all'esterno, fosse stato anche un temporale o un terremoto, credo proprio che non me ne sarei accorto. Se avessi voluto, neanche il bussare alla porta mi avrebbe disturbato: potevo fare in modo che, se qualcuno voleva entrare, doveva premere un pulsante e io sarei stato avvertito della sua presenza da un apposito segnale luminoso o acustico. Potevo allora, prima di aprire, azionare la telecamera esterna per vedere chi fosse, o inviare un messaggio, acustico o video, personalizzabile (in funzione anche del riconoscimento semi-automatico della persona).
Insomma i pochi timori che avevo si rivelarono infondati, anche perché mia moglie, con cui avevo messo bene in chiaro a priori che quando ero là dentro era a tutti gli effetti come se fossi in ufficio, non mi disturbò mai per nessun motivo, se non per segnalarmi quando passavo troppo oltre l'ora del pranzo. E vi assicuro anche che, specialmente i primi tempi, era davvero bello pranzare a casa con la mia famiglia.
Sui vantaggi che ho ricevuto dalla partecipazione al progetto pilota potrei spendere pagine e pagine, anche se certo altre persone del progetto saprebbero farlo meglio di me che li scopro di giorno in giorno sul campo, mano a mano che mi trovo ad affrontare nuovi problemi e situazioni lavorative.
Entrando in quel box, in un istante è come se mi trovassi altrove: sempre nel mio ufficio, ma alle volte anche ad Atene, a Monaco o in altre sedi della compagnia. Il tutto senza mai dover prendere la macchina, il treno o l'aereo, sempre restando a casa mia. In effetti, il nostro è l'unico progetto intra-nazionale per cui la nostra azienda non prevede spese di trasferte.
Talvolta però sfrutto la potenzialità della cabina - l'insonorizzazione, la comodità della poltrona, la possibilità di regolare le luci e di gestire il sottofondo musicale - per prendermi delle pause di relax o di riflessione (Queste voci includono anche quella, assolutamente vietata nel lessico del manager, di schiacciare un pisolino). L'importante è attivare nel modo opportuno, o disattivarli completamente a seconda del caso, gli “allarmi di chiamata”. Per questi allarmi è disponibile anche un praticissimo ricevitore portatile che mi consente, tra l'altro, di prendermi di tanto in tanto una pausa nel nostro bellissimo giardino, o di essere reperibile anche a tavola durante il pranzo.
Insomma, massima flessibilità e comodità.
La mia nuova vita col telelavoro mi permetteva, ogni giorno, di alzarmi con molta calma, e ciononostante arrivare in ufficio prima di tutti gli altri. Aperta la porta della cabina, la luce all'interno si accendeva gradualmente, dando in pochi istanti forma e contorno alla mia scrivania. La temperatura, l'umidità e l'ossigenazione erano ideali, regolate da sofisticate apparecchiature secondo i valori raccomandati.
Era come se fossi là, nell'open space. Certo, avrei voluto che ci fosse anche una telecamera per poter osservare i miei collaboratori, capire esattamente cosa facevano e soprattutto quanto lavoravano; ma mi rendo conto che sarebbe stata una violazione troppo palese della loro privacy, e avrebbe necessariamente richiesto il loro consenso. Comunque sapevo benissimo chi di loro lavorava e chi no, chi in ufficio adoperava la propria testa e chi invece veniva a scaldar la sedia e a rubarsi lo stipendio.
Probabilmente una telecamera non sarebbe passata inosservata, anche se oggigiorno le fanno così piccole! Però quel bottoncino sul retro del loro nuovo computer… (sono stati molto contenti che gli fosse sostituito con questo modello recentissimo)… Basta un niente per pigiarlo accidentalmente, potrebbero benissimo essere stati loro senza accorgersene, o le addette alle pulizie. E invece sono stato io, di soppiatto, l'ultima volta che sono passato di là. Tanto nessuno ancora sa a cosa serva - se non quei pochi, tra cui io, che conoscono il progetto pilota a un certo livello di dettaglio!
Accendendo il computer così predisposto, le immagini del video vengono inviate sulla rete ai terminali remoti abilitati all'ascolto, come il mio, che vengono aggiornati continuamente. Insomma, non li vedi in faccia ma puoi vedere il loro schermo, quello che fanno e con che lena. Così so che Mario è tra i primi ad arrivare ed a mettersi al lavoro, mentre Carlo, che a detta della mia segretaria è sempre il primo a timbrare, resta ad oziare ogni mattina per quasi tre quarti d'ora. Se vada a prendersi un caffè, o a trovare un'amica o semplicemente legga il giornale non fa poi tanta differenza.
Per non correre il rischio di farmi un'opinione sbagliata ne studio uno solo alla volta, metodicamente (sono del parere che nella vita bisogna sempre concedere almeno una seconda possibilità), e ogni quattro o cinque giorni cambio il soggetto delle mie attenzioni. E a questa attività, sempre che non abbia altre faccende urgentissime da sbrigare, posso arrivare a dedicare anche mezz'ora ogni mattina: la reputo di una certa importanza, come avere con loro una conversazione, perché mi aiuta a capirli meglio. Per esempio, non avrei mai sospettato che il ragionier Rosi fosse così in gamba. Sempre interessato a tutto; sempre in fermento anche nelle pause dall'attività lavorativa. Si aggiorna continuamente su internet su argomenti più o meno di attualità, ma sempre molto interessanti, navigando su siti di altissimo livello culturale, di cui ignoravo completamente l'esistenza; ed io mi documento insieme a lui, in remoto, dispiaciuto solo quando non mi lascia il tempo di finire di leggere una pagina.
Il Renati invece è un vero lavativo. Uno che per non lavorare ce la mette proprio tutta! Non solo passa le ore a giocare col computer (una specie di solitario con le carte), ma poi è sempre il primo a parlare di sfruttamento proletario, angherie dei padroni, scioperi e rivoluzioni. Sono le uniche cose che sa fare, giocare e contestare: perché quando gli si affida un incarico, che naturalmente non può che essere semplice, a sentir lui sembra sempre difficilissimo e gli ci vuole una vita per portarlo a termine. Farò di tutto perché venga licenziato. Non sarà facile, perché ha anche delle conoscenze nel sindacato: ma sto pensando che la prossima volta andrò in sede senza preavvisare nessuno, entrerò di soppiatto e lo coglierò in flagrante mentre gioca. E anche se non lo sorprenderò sul fatto mi comporterò allo stesso modo: andrò all'ufficio sorveglianza e