Senilità. Italo Svevo

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Senilità - Italo  Svevo

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l’attenzione. Perché avrebbe dovuto diminuire la felicità con dei litigi? Gli parve d’imitare meglio il Balli amando dolcemente e godendo di quell’amore, cui, la mattina, in un istante di follia, per poco non aveva rinunziato. Del suo risentimento non trapelò che una eccitazione che andò a dar anima alle sue parole, a tutta la serata che fu nel principio dolcissima. Stabilirono di dedicare una delle due ore che potevano passare insieme ad allontanarsi dalla città, l’altra a rientrare. Fu lui che fece la proposta volendo tranquillarsi camminando accanto a lei. Ci misero circa un’ora ad arrivare all’Arsenale, un’ora di felicità perfetta, nella notte chiara, in quell’aria limpida, rinfrescata da un autunno anticipato.

      Ella sedette sul muricciuolo che fiancheggiava la via ed egli rimase in piedi dominandola tutta. Vedeva proiettarsi quella testa, illuminata da una parte dalla luce di un fanale, sul fondo oscuro: l’Arsenale che giaceva sulla riva, tutta una città, in quell’ora morta. – La città del lavoro! – disse egli sorpreso d’esser venuto là ad amare.

      Il mare, chiuso dalla penisola di faccia, nascosto dalle case, nella notte era sparito dal panorama. Restavano le case sparse alla riva come su una scacchiera, poi, più in là, un vascello in costruzione. La città del lavoro pareva anche maggiore che non fosse. Alla sinistra, dei fanali lontani parevano segnarne la continuazione. Egli rammentò che quei fanali appartenevano ad un altro grande stabilimento situato sulla sponda opposta del vallone di Muggia. Il lavoro continuava anche là; era giusto che alla vista apparisse come la continuazione di questo.

      Anch’ella guardava e, per un istante, Emilio si trovò col pensiero ben lungi dal suo amore. In passato egli aveva vagheggiato delle idee socialiste, naturalmente senza mai muover dito per attuarle. Come erano lontane da lui quelle idee! Ne ebbe rimorso come di un tradimento, perché egli sentiva le cessazioni da desideri e da idee, le sole sue azioni, come apostasìe.

      Il piccolo malessere presto sparì. Ella chiedeva parecchie cose, specialmente intorno a quel colosso sospeso nell’aria ed egli le descrisse un varo. Nella sua vita di pedante solitario egli non aveva saputo conformare giammai il pensiero e le parole alle orecchie cui erano dirette e, invano, parecchi anni prima, aveva tentato d’uscire dal suo guscio e comunicare con la folla; s’era dovuto ritirare indispettito e sprezzante. Ora, invece, come era dolce evitare la parola o magari il concetto difficile, e farsi intendere. Come parlava era capace di spezzettare il proprio concetto liberandolo dalla parola con cui era nato, pur di veder passare un lampo d’intelligenza in quegli occhi azzurri.

      Ma una grave stonatura anche allora venne ad interrompere tutta quella musica. Giorni prima egli aveva sentito raccontare un fatto che l’aveva assai commosso. Un astronomo tedesco, da una diecina di anni, viveva nel suo osservatorio, su una delle punte più alte delle Alpi, fra le nevi eterne. Il più vicino villaggio era situato un migliaio di metri sotto ai suoi piedi, e di là gli veniva portato giornalmente il cibo da una fanciulla dodicenne. Nei dieci anni, a mille metri il giorno di salita e di discesa, la fanciulla era divenuta grande e forte e bella, e lo scienziato ne fece sua moglie. Il matrimonio s’era celebrato poco prima nel villaggio, e, per viaggio di nozze, gli sposi erano saliti insieme alla loro abitazione. Fra le braccia di Angiolina egli vi ripensò; così avrebbe voluto possederla, a mille metri di distanza da qualunque altro uomo; così – dato che gli fosse stato possibile come all’astronomo, di continuare a dedicare la vita ai medesimi scopi – sarebbe stato capace di legarsi definitivamente a lei, senza riserve. – E a te – domandò con impazienza visto ch’ella non capiva ancora perché le venisse raccontata quella storiella, – e a te piacerebbe di venir a stare lassù, con me?

      Ella esitò. Evidentemente ella esitò. Una parte della storiella, la montagna cioè, era stata capita subito da lei. Egli non vi scorgeva che amore, mentre ella, subito, vi sentì la noia e il freddo. Lo guardò, comprese quale risposta egli esigesse, e, proprio per compiacergli, disse senz’alcun entusiasmo: – Oh, sarebbe magnifico.

      Ma egli era già profondamente offeso. Aveva sempre creduto che quando si fosse deciso a farla sua, ella avrebbe accettato con entusiasmo qualunque condizione ch’egli le avesse imposta. Invece, no! Tanto in alto ella non si sarebbe trovata bene neppure con lui e, nell’oscurità, egli vide dipinta su quel volto la meraviglia che si potesse proporle di andar a passare la gioventù fra la neve, nella solitudine; la sua bella gioventù, dunque i capelli, i colori della faccia, i denti, tutte le cose ch’ella amava tanto di veder ammirate dalla gente.

      Le parti erano invertite. Egli aveva proposto, sebbene per figura retorica, di farla sua ed ella non aveva accettato; ne rimase veramente costernato! – Naturalmente – disse con ironia amara – lassù non ci sarebbe nessuno che potrebbe regalarti delle fotografie, né troveresti sulla via della gente fermata a guardarti.

      Ella sentì l’amarezza, ma non si offese dell’ironia perché le sembrava di aver ragione e si mise a discutere. Lassù faceva freddo ed ella non amava il freddo; d’inverno si sentiva infelice persino in città. Poi, a questo mondo, non si vive che una volta sola, e lassù si correva il pericolo di vivere più brevemente dopo d’esser vissuto peggio, perché non le si darebbe ad intendere che possa essere molto divertente di vedersi passare le nubi anche sotto ai piedi.

      Ella aveva ragione infatti, ma come era fredda e poco intelligente! Non discusse più perché come avrebbe potuto convincerla? Guardò altrove cercando. Le avrebbe potuto dire un’insolenza che lo vendicasse e quietasse. Ma restò zitto, indeciso a guardare intorno a sé la notte, le luci sparse sulla fosca penisola di faccia, poi la torre che s’ergeva all’ingresso dell’Arsenale, al di sopra degli alberi, di una lividezza turchina, un’ombra immota che pareva una combinazione casuale di colore campata in aria.

      – Io non dico di no, – disse Angiolina per rabbonirlo, – sarebbe magnifico, ma… – S’interruppe; pensò che poiché egli tanto desiderava di vederla entusiasmata di quella montagna che essi, certo, non avrebbero mai vista, sarebbe stata una sciocchezza di non compiacerlo: – Sarebbe molto bello – e ripeté la frase con un crescendo d’entusiasmo. Ma egli non distolse gli occhi dalla lividura dell’aria, offeso anche più da quella finzione tanto trasparente da sembrare uno scherzo, finché ella non lo attirò a sé. – Se vuoi una prova, domani, subito, partiamo e vivo sola con te per sempre.

      In uno stato d’animo identico a quello della mattina, egli ripensò al Balli: – Lo scultore Balli vuole fare la tua conoscenza.

      – Davvero? – chiese essa giocondamente. – Anch’io! – e pareva volesse correre subito in cerca del Balli. – Me ne è stato parlato tanto da una signorina che gli voleva bene, che da lungo tempo ho il desiderio di conoscerlo. Dove mi ha vista da desiderare di conoscermi?

      Non era cosa nuova ch’ella, in faccia a lui, dimostrasse dell’interessamento per altri uomini, ma come era doloroso! – Non sapeva nemmeno che tu esistessi! – disse egli bruscamente. – Ne sa quanto io gliene dissi. – Sperava di averle fatto dispiacere mentre invece ella gli fu molto grata d’aver parlato di lei. – Chissà, però – disse con accento comicissimo di diffidenza – che cosa tu gli avrai detto di me.

      – Gli dissi che sei una traditrice, – disse egli ridendo. La parola li fece ridere di cuore e furono immediatamente di buon umore e in buona armonia. Si lasciò abbracciare lungamente e, tutt’ad un tratto molto commossa, gli mormorò nell’orecchio: – Sce tèm bocù. – Egli ripeté questa volta con tristezza: – Traditrice. – Ella rise di nuovo fragorosamente, ma poi trovò qualche cosa di meglio. Baciandolo, gli parlò sulla bocca, e, con una grazia ch’egli non dimenticò più, una voce dolce supplichevole, che mutava timbro, gli chiese più volte: – Non è vero che non è vero ch’io sia quella tal cosa? – Perciò anche la chiusa della serata fu deliziosa. Bastava un gesto indovinato d’Angiolina per annullare ogni dubbio, ogni dolore.

      Al ritorno egli si rammentò che il Balli aveva da portar con sé una donna e s’affrettò di parlarne. Non parve ch’ella ne provasse dispiacere; poi però si informò con un aspetto d’indifferenza

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