Senilità. Italo Svevo
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La sera appresso dovevano trovarsi al Giardino Pubblico in quattro. I primi sul posto furono Angiolina ed Emilio. Non era troppo gradevole d’attendere all’aperto, perché, senza che fosse piovuto, il terreno era umido per lo scirocco. Angiolina volle celare la sua impazienza sotto un aspetto di malumore, ma non le riuscì d’ingannare Emilio il quale fu preso da un intenso desiderio di conquistare quella donna ch’egli non sentiva più sua. Fu noioso invece, lo sentì ed ella non mancò di farglielo sentire anche meglio. Stringendole il braccio, egli le aveva chiesto: – Mi vuoi bene almeno quanto iersera? – Sì! – disse lei bruscamente – ma non sono mica cose che si dicano ad ogni istante.
Il Balli capitò dall’Acquedotto al braccio di una donna grande come lui. – Com’è lunga! – disse Angiolina emettendo subito su quella donna l’unico giudizio che a quella distanza se ne poteva fare.
Avvicinatosi, il Balli presentò: – Margherita! Ange! – Tentò nell’oscurità di vedere Angiolina e s’avvicinò con la faccia tanto che allungando le labbra avrebbe potuto baciarla. – Veramente Ange? – Non ancora soddisfatto, accese un cerino e illuminò con esso la rosea faccia che, seria, seria, si prestò all’operazione. Illuminata, essa aveva nell’oscurità delle trasparenze adorabili; gli occhi chiari, in cui il giallo della fiamma penetrava come nell’acqua più limpida, brillavano dolci, lieti, grandi. Senza scomporsi, il Balli illuminò col cerino la faccia di Margherita, una faccia pallida, pura, due occhioni turchini, grandi e vivaci, che toglievano la possibilità di guardare altrove, un naso aquilino e, sulla piccola testa, una grande quantità di capelli castagni. Strideva su quella faccia la contradizione fra quegli occhi arditi di monella e la serietà dei tratti di madonna sofferente. Oltre che per farsi vedere, ella approfittò della luce del cerino per guardare con curiosità Emilio; poi, visto che la fiammella non voleva ancora spegnersi, vi soffiò sopra.
– Adesso vi conoscete tutti. Quel coso lì – disse il Balli accennando ad Emilio – lo vedrai al chiaro. – Precedette la compagnia con Margherita che già s’era attaccata al suo braccio. La figura di Margherita così alta e magra, non doveva esser bella; s’accompagnava ad entrambe le espressioni della faccia di vivacità e di sofferenza. Il suo passo era malsicuro, piccolo in proporzione alla figura. Portava una giacchetta di un color rosso fiammante, ma sul suo dosso modesto, povero, un po’ curvo, perdeva ogni arditezza; pareva una uniforme vestita da un fanciullo; mentre addosso ad Angiolina il colore più smorto s’avvivava. – Peccato, – mormorò Angiolina con profondo rammarico, – quella bella testa infilzata su quella stanga.
Emilio volle dire qualche cosa. S’avvicinò al Balli e gli disse: – Soddisfattissimo degli occhi della tua signorina, vorrei sapere come ti sieno piaciuti quelli della mia.
– Gli occhi non son brutti – dichiarò il Balli – il naso però non è modellato perfettamente; la linea inferiore è poco fatta. Bisognerebbe darci ancora qualche colpo di pollice.
– Davvero! – esclamò Angiolina interdetta.
– Forse potrei ingannarmi – disse il Balli serio, serio. – E cosa che si vedrà subito, al chiaro.
Quando Angiolina si sentì abbastanza lontana dal suo terribile critico, disse con voce cattiva: – Come se la sua zoppa fosse perfetta.
Al «Mondo Nuovo» entrarono in una stanza oblunga chiusa da una parte da un tramezzo, dall’altra, verso il vasto giardino della birreria, da una vetrata. Al loro arrivo accorse il cameriere, un giovanotto dal vestito e dal fare contadineschi. Montò in piedi su una seggiola e accese due fiammelle del gas, che rischiararono scarsamente la vasta stanza; restò poi lassù a stropicciarsi gli occhi assonnati, finché Stefano non accorse a trarlo giù gridando che non gli permetteva d’addormentarsi tanto in alto. Il contadinotto, appoggiatosi allo scultore, discese dalla sedia e s’allontanò desto del tutto e di buonissimo umore.
A Margherita doleva un piede e s’era subito seduta. Il Balli le si fece d’intorno abbastanza premuroso, e voleva non facesse complimenti, si levasse lo stivale. Ma ella non volle dichiarando: – Già qualche male ci dev’essere sempre. Questa sera lo sento appena, appena.
Come era differente da Angiolina quella donna. Faceva delle dichiarazioni d’amore senza dirle, senza tradirne il proposito, affettuosa e casta, mentre l’altra, quando voleva significare la sua sensibilità, si inarcava tutta, si caricava come una macchina che per mettersi in movimento ha bisogno di una preparazione.
Ma al Balli non bastava. Aveva detto ch’ella doveva levarsi lo stivale e insistette per essere ubbidito finché ella non dichiarò che sarebbe stata pronta a levarsi anche tutt’e due gli stivali se egli avesse ordinato, ma che non le sarebbe servito a nulla non essendo quella la causa del male. Durante la serata ella fu obbligata parecchie volte a dare dei segni di sommissione perché il Balli voleva esporre il sistema che seguiva con le donne. Margherita si prestava magnificamente a quella parte; rideva molto, ma ubbidiva. Si sentiva nella sua parola una certa attitudine a pensare; ciò rendeva la sua soggezione appropriatissima quale esempio.
In principio ella cercò d’annodare il discorso con Angiolina che si provava di stare sulle punte dei piedi per vedersi in uno specchio lontano e correggersi i ricci. Le aveva raccontato dei mali che l’affliggevano al petto ed alle gambe; non si rammentava di un’epoca in cui non avesse sentito dei dolori. Sempre con gli occhi rivolti allo specchio, Angiolina disse: – Davvero? Poveretta! – Poi subito, con grande semplicità: – Io sto sempre bene. – Emilio che la conosceva, trattenne un sorriso avendo sentito in quelle parole l’indifferenza più piena per le malattie di Margherita e, immediata, intera, la soddisfazione della propria salute. La sventura altrui le faceva sentir meglio la propria fortuna.
Margherita si pose fra Stefano e Emilio; Angiolina sedette l’ultima in faccia a lei e, ancora in piedi, rivolse un’occhiata strana al Balli. Ad Emilio parve di sfida, ma lo scultore l’interpretò meglio: – Cara Angiolina, – le disse senza complimenti, – ella mi guarda così sperando ch’io trovi bello anche il suo naso, ma non serve. Il suo naso dovrebbe essere fatto così. – Segnò sul tavolo, col dito bagnato nella birra, la curva che egli voleva, una linea grossa che sarebbe stato difficile figurarsi su un naso.
Angiolina guardò quella linea come se avesse voluto apprenderla, e si toccò il naso: – Sta meglio così – disse a mezza voce come se non le fosse più importato di convincere nessuno.
– Che cattivo gusto! – esclamò il Balli non potendo però tenersi dal ridere. Si capì che da quel momento Angiolina lo divertì molto. Continuò a dirle delle cose sgradevoli ma pareva lo facesse per provocarla a difendersi. Ella stessa ci si divertiva. Nel suo occhio c’era per lo scultore la medesima benevolenza che brillava in quello di Margherita; una donna copiava l’altra, ed Emilio, dopo aver cercato invano di cacciare qualche parola nella conversazione generale, era ora intento a domandarsi perché avesse organizzata quella adunanza.
Ma il Balli non lo aveva dimenticato. Seguì il suo sistema, che pareva dovesse essere la brutalità, persino col cameriere. Lo sgridò perché non gli offriva di cena altro che vitello in tutte le salse; rassegnatosi a prenderne, gli diede i suoi ordini e quando il cameriere stava già per uscire dalla stanza, gli gridò dietro in un nuovo comico accesso d’ira ingiustificata: – Bastardo, cane! – Il cameriere si divertì a esser sgridato da lui ed eseguì tutti i suoi ordini con una premura straordinaria. Così, avendo domato tutti intorno a sé, al Balli parve d’aver dato ad Emilio una lezione in piena regola.
Ma a costui non riuscì d’applicare quei sistemi neppure nelle cose più piccole. Margherita non voleva mangiare: – Bada, disse il Balli, – è l’ultima sera che passiamo insieme; non posso soffrire le smorfie io! – Ella acconsentì che si facesse da cena anche per lei; tanto presto