Gli ultimi flibustieri. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Gli ultimi flibustieri - Emilio Salgari страница 2
Stava forse per decifrare qualche nuova parola, quando la porta della taverna si aprí ed un altro uomo entrò. Come il primo, indossava un ampio mantello pure inzuppato d’acqua, aveva altissimi stivali di pelle gialla, portava al fianco uno spadone e sul capo un feltro piumato adorno di alcuni bottoncini d’argento.
Poteva avere quarant’anni, tuttavia i suoi baffi erano misti a non pochi fili d’argento ed il suo viso molto abbronzato. Di media statura, membruto, pareva possedesse una forza muscolare piú che comune.
Come il gentiluomo francese, si sedette d’innanzi ad un tavolino e vi piantò sopra un tale pugno che per poco non lo sfasciò completamente.
Il taverniere udendo quel fracasso, che rassomigliava allo scoppio d’una bomba, fece un soprassalto e guatò con sguardo truce l’impertinente che si permetteva di fracassargli i mobili, senza nemmeno chiedere il permesso al padrone.
– Tonnerre!… – gridò, rialzando i baffi spioventi. – C’è quest’oggi un’invasione di cani arrabbiati? Passi il mio compatriotta, ma questo poi l’accomodo io!…
Si avvicinò al nuovo avventore, e, dopo averlo squadrato dall’alto in basso, gli chiese:
– Chi siete voi?
– Un bevitore assetato, – rispose lo sconosciuto.
– E dove credete di trovarvi?
– Diavolo!… In una taverna, mi pare.
– Che non è casa vostra, mi pare.
– Chiacchiera meno, taverniere di messer Belzebú, e portami invece da bere, che muoio dalla sete e poi ho molta fretta.
– E io nessuna.
– Ehi, taverniere dell’inferno! – urlò lo sconosciuto, picchiando un altro pugno sul tavolo. – L’hai finita? Mi porti una bottiglia si o no?
– No, – rispose l’oste.
– Vuoi che ti tagli gli orecchi?
– A chi?
– A te, por Dios!…
– Ah!… Baie!…
Il gentiluomo francese, che stava bevendo, proruppe in una clamorosa risata, la quale ebbe per effetto d’irritare sempre piú il bollente taverniere.
– Tonnerre!… – urlò. – Per chi mi si prende? Sono un guascone sapete?
Il secondo avventuriero si torse i baffi, appoggiò un gomito sul tavolino, ormai sgangherato da quei due poderosi pugni, e lo guardò, ridendo ironicamente.
– Come sono buffi questi guasconi! – disse poi.
Don Barrejo, proprietario della taverna d’El Moro, piccolo gentiluomo guascone, scoppiò come una bomba.
– Tuoni dei Pirenei e fulmini del mar di Biscaglia!… A me dare del buffone!… Ah, tu vuoi bere del mio vino!… È dalla tua botte che ne spillerò!… Carmencita!… La mia spada…
Il secondo venuto proruppe in un altro scroscio di risa, piú fragoroso del primo e che fece saltare la mosca al naso al bollente taverniere, il quale non aveva mai tollerato, da buon guascone, che si ridesse sulle sue spalle.
– Bisogna che vi uccida dunque? – urlò.
– Con che cosa? Col tuo spadone? Chiese ironicamente l’allegro sconosciuto, togliendosi il mantello. – Mio caro, deve avere a quest’ora un mezzo pollice di ruggine.
– Che lascerò tutta nel vostro corpo, mascalzone!..
– Tu sei sempre piú buffo, compare.
– Finitela por Dios! Uscite o vi uccido come un cane arrabbiato!… Panchita!… Portami la draghinassa!…
– Tua moglie pare non abbia nessuna premura di vedere il mio sangue, – disse lo sconosciuto, appoggiandosi ad un tavolino e guardando fisso il taverniere.
Poi, volgendosi verso il primo entrato, il quale assisteva a quella allegra scena che poteva però finire tragicamente, gli chiese:
– Non vi sembra, signore, che sia sempre lo stesso questo indiavolato guascone? Nemmeno il matrimonio lo ha calmato.
Queste parole le aveva pronunciate su un tono un po’ diverso del primo. Don Barrejo, colpito da quell’accento che gli pareva di aver già udito in altri tempi, stette un momento dubbioso, poi si precipitò addosso allo sconosciuto e se lo strinse fra le braccia, gridando:
– Tonnerre!… Mendoza il Basco!… Il braccio forte del figlio del Corsaro Rosso!…
– Ci voleva tanto dunque a riconoscermi? – disse il biscaglino, contraccambiando, con minore entusiasmo, l’abbraccio.
– Sono passati sei anni, mio caro.
– Ma sei sempre lo stesso. Per poco non mi aprivi il ventre colla tua famosa draghinassa e spillavi il mio sangue.
– Tonnerre!… Mi hai fatto uscire dai gangheri!…
– E l’ho fatto apposta per vedere se il mio guascone si era conservato ancora guascone.
– Briccone!… E tu ne dubitavi? – gridò don Barrejo, rinnovando l’abbraccio. – E che cosa fai qui? Da dove vieni tu? Qual buon vento ti ha portato alla taverna d’El Moro?
– Non tanta furia, mio caro guascone, – disse il basco.
Poi, indicandogli il gentiluomo francese della bassa Loira che si godeva sempre, sorridendo sotto i baffi, la scena, gli chiese:
– E quel signore là, che sta assaggiando il tuo pessimo vino lo conosci?
– Pessimo, hai detto?
– Giudicheremo piú tardi.
Don Barrejo aveva piantato gli occhi addosso al gentiluomo, mentre si passava e ripassava una mano sulla fronte come per evocare dei lontani ricordi.
Ad un tratto si slanciò verso il tavolo colle mani tese, gridando:
– Tonnerre!… Il signor Buttafuoco!…
Il famoso bucaniere della marchesa di Montelimar si alzò sorridendo, e strinse calorosamente le mani che gli venivano tese, dicendo:
– S’invecchia dunque, don Barrejo, per non riconoscere piú gli amici?
– È il matrimonio, – disse Mendoza, scoppiando in una risata.
Il bravo guascone non aveva nemmeno rilevata la frase. Si era slanciato dietro l’immenso banco di acagiú, urlando a squarciagola:
– Panchita!… Panchita!… Porta sopra le migliori bottiglie della nostra cantina e lascia in pace lo spadone. Non ne ho piú bisogno!…
Poi in tre passi tornò verso il tavolino occupato dal bucaniere e dal biscaglino e, piantandovi sopra a sua volta due