Gli ultimi flibustieri. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Gli ultimi flibustieri - Emilio Salgari страница 4
– Assaggiate, – disse Mendoza, porgendo un bicchiere ben colmo all’uomo misterioso. – Di questo vino non se ne beve nemmeno in Spagna.
L’uomo misterioso bevette d’un fiato il contenuto, poi fece schioccare la lingua.
– Pfiffer! Io mai afere befuto fino cosí buono. Ah!…
– Oh!… – fece Mendoza, tornando ad empirgli il bicchiere. – Bevete pure, mastro Pfiffer.
– Che cosa Pfiffer? – chiese il fiammingo.
– Non vi chiamate cosí?
– Io mai essere stato un Pfiffer.
– Avrete qualche nome suppongo, – disse Mendoza, versandogli un terzo bicchiere. – Io per esempio mi chiamo Rodrigo de Pelotas, ed il mio compagno invece Rodrigo de Peloton.
Il fiammingo guardò bonariamente il biscaglino, con un certo fare da sornione, poi disse:
– Pfiffer essere un interca.
– Un intercalare, volevate dire. Abbiamo capito, ma non sappiamo ancora come chiamarvi.
– Arnoldo Fifferoffih.
– Ah!… Dei fi fi ce ne sono nel vostro nome. Si poteva quindi chiamarvi benissimo mastro Pfiffer. Si faceva piú presto.
– Se folete, chiamatemi cosí.
– Eh… come va la vita, mastro Fiffer… fi… fer…?
– Pene!… Pene!… – rispose il fiammingo. – A Panama stare tutti penissimo. Conoscete la città?
– Non ancora tutta.
– Foi fenite da lontano?
– Ma che!… Da Nuova Granada.
– E… per affari?
– Dobbiamo comperare cinquanta muli per conto d’un ricco baciendero che si crede intenda poi venderli ai filibustieri.
– Oh!… – fece il fiammingo.
– Bevete mastro Fiff… fiff… Questo vino è eccellente.
– Oh molto pono!… Ostessa pelissima, oste brutto e fino ponissimo.
– È stata una vera fortuna scoprire questa taverna cosí fuor di mano, – disse Mendoza, il quale, pur chiacchierando, non cessava di empire i bicchieri.
Il fiammingo, quantunque dovesse essere piú abituato a tracannare birra che vino, resisteva tenacemente a Mendoza, però non doveva lottare a lungo con quel formidabile bevitore.
Già le sue esclamazioni s’imbrogliavano maledettamente, facendo sorridere il silenzioso Buttafuoco, il quale se era avaro di parole non risparmiava nemmeno lui i buoni bicchieri.
Cominciava intanto ad annottare e la pioggia non cessava di scrosciare di fuori, con largo accompagnamento di tuoni e lampi.
Pareva che su Panama, che allora era la regina del Pacifico, si rovesciasse un vero ciclone.
Don Barrejo, dopo aver portato altre bottiglie, accese la fumosa lampada ad olio, poi, ad un segno di Mendoza, chiuse le porte della taverna mettendovi dietro, per sicurezza, una spranga di ferro.
– Taferniere, che cosa fate? – chiese il fiammingo, il quale si era accorto di quella manovra.
– È tardi e chiudo, – rispose asciuttamente il guascone.
– Noi folere uscire presto.
– Con questa pioggia?
– Io afere mia testa pesante e folere andare a dormire.
– Forse che non c’è del buon vino qui? – disse Mendoza. – Il padrone della taverna d’El Moro è un brav’uomo e rimarrà in piedi fino a domani mattina, sempre pronto a servirci.
– Io folere andare, – ripeté il fiammingo. – Pfiffer! Afer befuto troppo.
– Ma che!… Abbiamo appena cominciato!… È vero, don Rodrigo de Peloton?
Buttafuoco fece col capo un gesto affermativo.
– Pasta, – rispose l’ostinato fiammingo, prendendo il suo mantellone ed il suo cappello. – Pona sera a tutti! Taferniere, aprite.
Mendoza allontanò la sedia, subito imitato da Buttafuoco, e due spade brillarono nelle mani dei due avventurieri.
Don Barrejo aveva già preso la sua arrugginita draghinassa, portatagli di nascosto da sua moglie e si era messo dinanzi alla porta.
– Pfiffer! – esclamò il fiammingo, gettando intorno uno sguardo smarrito. – Cosa folere voi, signori? Assassinarmi?
– No, mettervi in conserva dentro una botte di Xeres, – disse don Barrejo. – Mio caro Pfiffero!
– Sedete, – disse Mendoza, con voce minacciosa, posando la spada sul tavolo. – Abbiamo da vuotare altre bottiglie ancora e anche molto da discorrere, amico.
Capitolo II. LE MERAVIGLIOSE TROVATE D’UN GUASCONE
Il fiammingo, che si reggeva già male sulle gambe, non avendo la resistenza di Mendoza e di Buttafuoco, abituati alle sfrenate orge dei filibustieri e dei bucanieri, si era lasciato cadere sulla sedia, non cessando di guardare, con spavento, quelle tre spade che gli pareva gli si appuntassero contro il petto.
– Pfiffer! – esclamò, dopo aver mandato un profondo sospiro.
– Questo è cattivo scherzo.
– V’ingannate, mastro Arnoldo, – rispose Mendoza. – Questo non è affatto uno scherzo e le nostre spade non sono fatte di burro, bensí di puro acciaio di Toledo temprato nelle acque del Guadalquivir.
Il fiammingo proruppe in una risata.
– Datemi da pere, brafo amico.
– Finché vorrete, mastro Arnoldo. La cantina d’El Moro è tutta a nostra disposizione, purché vi prepariate a rispondere alle domande che vi farò.
– Pene!… Pene!… Dite… dite… – rispose il fiammingo, riprendendo un po’ d’animo.
– Allora, – disse Mendoza, – ci spiegherete per quale motivo voi ci seguite ostinatamente da tre giorni, comparendoci sempre come un uccellaccio di malaugurio, nei luoghi che frequentiamo.
– Foi ed il fostro amico siete molto simpatici.
– Ma chi siete voi?
– Fe l’ho detto.
– Che cosa fate a Panama?
– Niente; fifo di rendita.