I figli dell'aria. Emilio Salgari

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I figli dell'aria - Emilio Salgari

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dinanzi a quel piatto.

      – Orsù, Fedoro, dimmi che cosa contiene.

      – Un pasticcio che farà andare in estasi i convitati. Quelle bestioline color marrone che vedi…

      – Bestioline.

      – Larve, se ti piace meglio.

      – Ah!… Quali?… Indovino! – esclamò il cosacco inorridendo.

      – Larve di bachi da seta macerate nello sciroppo.

      – Basta, Fedoro! Per le steppe… scappo via!

      – Bada! Non mostrarti maleducato.

      – È troppo!…

      – Volgi altrove gli occhi. Ecco il primo attore che si mostra.

      Fra una miriade di lanterne microscopiche, danzanti su alcuni fili, era comparso un antico armigero in costume ricchissimo, cremisi ed oro, formidabilmente armato, con un cimiero scintillante che voleva rappresentare una testa di leone.

      Era Hong-ko, l’eroe della cavalleria cinese, una specie di cavaliere errante del Medio Evo e che si preparava a vincere imperatori e mandarini, a trucidare spiriti maligni ed a mettere lo scompiglio dappertutto.

      Lo seguivano altri armigeri e paggi vestiti da imperatrici e da regine, tutti abbigliati sfarzosamente, acclamanti il formidabile guerriero con profondo entusiasmo.

      I convitati si erano appena degnati di gettare uno sguardo sugli attori, i quali avevano cominciato a declamare ed a battagliare fra di loro a gran colpi di spade e di lance. Quantunque pieni come otri, avevano ripreso lena per far onore alle larve dei bachi da seta, uno dei più deliziosi piatti dolci dell’infernale cucina cinese.

      – Comprendi qualche cosa? – chiese Fedoro a Rokoff, il quale pareva interamente assorto a seguire le diverse fasi della commedia o del dramma che fosse.

      – Sì, che si bastonano maledettamente – rispose il cosacco. – Mi pare che a quest’ora siano stati uccisi cinque o sei imperatori malvagi e non so quanti spiriti maligni. Un terribile uomo quell’armigero. E le portate, continuano?

      – Siamo quasi alla fine. Fra poco berremo il tè.

      – Che cosa stanno mangiando ora? Dei serpenti fritti?

      – No, mi pare che siano dei ventrigli di passero con occhi di montone all’aglio.

      – Quando avranno finito me lo dirai – disse il cosacco. – Non oso più guardare la tavola.

      – Hai torto, perché hanno portato ora un nuovo piatto, che tutti gli europei hanno dichiarato eccellente.

      – Non mi fido.

      – Si tratta d’una zuppa famosa.

      – Dove c’entreranno per lo meno delle code di gatto?

      – No, Rokoff: ecco la ricetta che io ho studiato sul «Cuciniere cinese»:

      «Prendi quanti nidi di rondini salangane potrai, perché di questa leccornia non ne offrirai mai abbastanza ai tuoi amici.

      «Dopo aver tolte via le penne e le altre materie inutili, farai cuocere i nidi nell’acqua fino a che formino una massa gelatinosa.

      «Versa il tutto su uova sode di piccione, aggiungi alcune fette di salsicciotto, le quali devono galleggiare sulla zuppa come piccole barchette sul mare.

      «Gl’invitati saranno entusiasti del piatto squisito e faranno grandi elogi al padrone di casa e al suo cuoco».

      – È passata la zuppa? – chiese il cosacco, senza voltarsi.

      – L’hanno divorata.

      – Buona digestione!

      – Hai perduto una rara occasione per gustarla.

      – Vi rinuncio volentieri, Fedoro. Hanno accoppato un altro spirito malvagio. Interessante questo dramma! Il palcoscenico è pieno di morti. Che ammazzino poi anche noi? Da questi cinesi ci si può aspettare qualunque sorpresa. Fortunatamente ho la mia rivoltella.

      – Ecco il tè.

      – Finalmente! Mi rimetterò a posto gl’intestini già perfino troppo sconvolti.

      Alcuni valletti erano entrati recando dei vassoi d’argento pieni di chicchere minuscole color del cielo dopo il crepuscolo, delle teiere colme d’acqua calda e dei vasi di porcellana colmi di tè shang-kiang, ossia profumato, essendovi mescolate alle foglioline delle preziose piante, dei fiori d’arancio, dei mo-lè che sono specie di gelsomini, foglie di rosa e di gardenia torrefatte.

      I cinesi non usano mescolarvi latte e per lo più lo bevono senza zucchero. Di rado ci mettono un pizzico di quello rosso.

      Quell’ultima portata segnava la chiusura del banchetto, la quale coincideva anche colla fine della tragedia.

      I convitati, dopo reiterati sforzi, si erano levati coi volti infiammati, gli occhi schizzanti dalle orbite, i ventri gonfi fino al punto di crepare per l’eccessivo mangiare. Qualcuno dovette essere portato dai servi, di peso fino alla sua lettiga.

      Quando Sing vide uscire l’ultimo convitato, si volse verso i due russi, dicendo loro:

      – Deve essere stato un vero tormento per voi, ma voi mi vorrete perdonare se io ho abusato della vostra pazienza. Gli europei non si trovano bene ai nostri pranzi, lo so.

      – Ho assistito ad altri, – disse Fedoro – quindi potevo prendere parte anche al vostro.

      Sing-Sing rimase un momento silenzioso, girando gli sguardi intorno alla sala deserta e silenziosa, poi riprese:

      – E chissà che domani questo luogo non risuoni invece di pianti e di grida. Strano contrasto, dopo tanta allegria!…

      – Sing-Sing, – disse Fedoro – perché dite ciò? Spiegatevi una buona volta; quale pericolo vi minaccia?

      – Siete armati? – chiese il cinese.

      – Voi sapete, che un europeo non osa percorrere di sera le vie di Pechino senza avere almeno una rivoltella.

      – Venite nella mia stanza; là almeno saremo sicuri di non venire ascoltati da altri. Badate però: potreste esporvi anche voi al medesimo pericolo.

      Fedoro guardò Rokoff.

      – Noi aver paura? – disse questi. – Ah! No, non sappiamo ancora che cosa sia. Andiamo, Fedoro; questa inaspettata avventura m’interessa assai.

      LA SOCIETA DELLA «CAMPANA D’ARGENTO»

      Sing-Sing, presa una piccola lanterna, attraversò la sala, poi parecchi corridoi oscuri e si fermò dinanzi ad una porta massiccia laminata in ferro e che aprì facendo scattare una molla segreta, nascosta in mezzo ad alcuni ornamenti di porcellana.

      I due europei si trovarono in una camera assai spaziosa, colle pareti tappezzate di seta bianca trapunta in oro, ammobiliata semplicemente e nello stesso tempo elegantemente, con leggeri tavoli di lacca e madreperla e con scaffali d’ebano

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