I figli dell'aria. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу I figli dell'aria - Emilio Salgari страница 6
Accanto, su un leggero canterano laccato e filettato d’argento, vi erano due grosse rivoltelle e una corta scimitarra snudata.
Sing-Sing chiuse la porta, gettò un pizzico di polvere di sandalo su un catino d’argento dove bruciavano pochi pezzi di carbone odoroso, offrì ai due europei due sedie di bambù, quindi fatto il giro della stanza come per accertarsi che non vi fosse nessuno, disse:
– È qui che da quindici giorni vivo in angosce inenarrabili, quantunque la morte non abbia mai fatto paura ad alcun cinese. Ho fatto mettere delle solide inferriate alle finestre, cambiare tappezzerie e visitare le pareti onde accertarmi che non esistevano passaggi segreti; ho chiuso la mia stanza con una porta che potrebbe resistere anche ad un pezzo d’artiglieria; ho delle armi a portata della mano. Eppure, credete che io mi tenga sicuro? No, perché sento che malgrado tante precauzioni, i bravi della hoè giungeranno egualmente fino a me e che mi colpiranno al cuore.
– I bravi della hoè! – esclamò Fedoro impallidendo.
– Della «Campana d’argento» – aggiunse Sing-Sing, con un sospiro.
– Voi siete affiliato a qualche società segreta?
– Tutti i cinesi, quantunque l’imperatore abbia emanato ordini rigorosi e colpisca senza pietà i membri delle società segrete, sono ugualmente affiliati a qualche hoè.
Per noi è una necessità e anche un’abitudine prepotente ed io ho fatto come gli altri e come avevano fatto prima i miei avi. Disgraziatamente una sera, dopo un’orgia e dopo aver fumato parecchie pipate d’oppio, preso chissà da quale strano capriccio, mi sono lasciato sfuggire dei segreti che riguardavano la hoè alla quale sono iscritto. Il governo imperiale non ha osato colpire me, ma ha proceduto senz’altro, con rigore feroce, contro la mia società, torturando e dannando alle galere quanti membri aveva potuto acciuffare. Sono stato un miserabile, ed ora toccherà a me pagare il fallo commesso, colla perdita della vita. Sia maledetto l’oppio che mi ha fatto perdere la ragione.
– È potente questa società della «Campana d’argento»? – chiese Fedoro, assai preoccupato da quella confessione.
– Ha migliaia e migliaia di membri, dispersi in tutti gli angoli di Pechino, perfino entro la città interdetta (la città imperiale).
– E hanno saputo che siete stato voi a tradirla?
– Purtroppo – rispose il cinese.
– E vi hanno condannato? – chiese Rokoff.
– Quindici giorni or sono ho trovato sotto il mio capezzale una carta con il sigillo della società, una campana con due pugnali intrecciati sopra e sotto. Mi si avvertiva che entro due settimane, la mano della hoè, mi avrebbe colpito.
– Chi aveva messo quella carta? – chiese Fedoro.
– Lo ignoro, ma certo qualcuno dei miei servi.
– Ve ne sono alcuni affiliati alla «Campana d’argento»?
– Sarebbe impossibile saperlo. I membri non si conoscono l’un l’altro ed i soli capi tengono l’elenco dei soci.
– Sicché non siete sicuro dei vostri servi.
– Anzi io li temo, e da quando ho ricevuto quella carta, non ne ho fatto entrare più nessuno qui, per paura d’un tradimento.
– Ignorano il segreto della porta? – chiese Rokoff.
– Lo spero – rispose Sing-Sing.
– Quanti giorni sono trascorsi?
– Quattordici.
– E questa notte voi dovreste morire – chiese Fedoro.
– Sì.
– È già mezzanotte e siete ancora vivo, io credo quindi che la società abbia voluto solamente spaventarvi.
Sing-Sing crollò, la testa con un gesto di scoraggiamento.
– L’alba non è ancora sorta – disse poi.
– Ci siamo noi – disse Rokoff. – Vedremo chi avrà il coraggio di entrare qui.
– Eppure sento che l’ora della morte si avvicina.
Rokoff e Fedoro, quantunque coraggiosissimi, provarono un brivido.
– Bah! – disse poi il primo. – Io credo che nulla accadrà. Signor Sing-Sing, coricatevi, e noi, Fedoro, sediamoci l’uno presso il letto e l’altro presso la porta, colle rivoltelle in mano.
Sing-Sing tese loro ambo le mani, dicendo con voce commossa:
– Grazie, e se domani sarò ancora vivo, non avrete a pentirvi di questa prova d’amicizia. Signor Fedoro, voi siete venuto per un grosso acquisto di tè.
– Ve lo scrissi già.
– Cinquecento tonnellate rappresentano una fortuna ed io sarò lieto di offrirvela.
– Che dite, Sing-Sing?
– Tacete.
– Fedoro, – disse Rokoff – tu presso il letto; io vicino alla porta e voi, signore, coricatevi.
Il cinese fece un gesto d’addio e si gettò sul letto senza spogliarsi, coprendosi colla coperta di seta azzurra.
Rokoff abbassò il lucignolo della lanterna, onde la luce diventasse più fioca, estrasse la rivoltella per accertarsi che era carica, poi appoggiò una sedia contro la porta e si sedette, accendendo una sigaretta.
Un profondo silenzio regnava nell’ampio palazzo del ricco cinese e anche nelle vie. La festa delle lanterne era finita e la folla a poco a poco si era sbandata, non essendo i cinesi nottambuli al pari degli europei e degli americani.
Rokoff continuava a fumare, tendendo però gli orecchi. Di quando in quando si alzava e guardava ora Fedoro ed ora il cinese per accertarsi che né l’uno né l’altro si fossero addormentati. Quantunque coraggiosissimo, avendo dato prove di valore straordinario nella sanguinosa guerra russo-turca, entrando pel primo in uno dei più formidabili ridotti di Plewna, pure si sentiva a poco a poco invadere da una strana sensazione, che rassomigliava alla paura.
Gli pareva di udire talvolta dei rumori misteriosi e di vedere agitarsi, negli angoli più oscuri della stanza, delle ombre silenziose, armate di pugnali e di smisurate scimitarre.
Talora invece gli pareva di scorgere, fra la semioscurità, dei draghi volare per la stanza, pronti a piombare su Sing-Sing per dilaniargli il petto. Erano pure fantasie, create dal terrore misterioso che lo invadeva, perché quando si alzava, le visioni scomparivano ed ogni rumore cessava.
Vegliava da un’ora, scambiando qualche parola sottovoce con Fedoro o col cinese, quando si sentì prendere da un’improvvisa stanchezza e da un desiderio irresistibile di chiudere gli occhi. Si fregò replicatamente il viso e cercò di alzarsi. Con suo profondo stupore non riuscì a lasciare la sedia. Le gambe gli tremavano, le forze lo abbandonavano e gli pareva che il letto di Sing-Sing e tutti gli altri mobili gli girassero intorno.
– Fedoro! – chiamò facendo uno sforzo supremo. – Sing-Sing.