Il re del mare. Emilio Salgari
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– Come stai, amico? – gli chiese Yanez con accento un po’ ironico. – Mentre noi combattevamo contro i tuoi alleati, tu dormivi saporitamente. Diventano poltroni i malesi.
Il pilota continuava a guardarlo senza rispondere, passandosi e ripassandosi una mano sulla fronte che s’imperlava di sudore. Pareva che cercasse di riordinare le sue idee e di mano in mano che la memoria gli ritornava, la sua pelle diventava sempre più smorta ed una espressione angosciosa gli si diffondeva sul viso.
– Orsù, – disse Yanez, – quand’è che ci farai udire la tua voce?
– Che cosa è avvenuto, signore? – chiese finalmente Padada. – Non riesco a spiegarmi come io mi sia addormentato di colpo, dopo la stretta datami dal vostro mastro.
– È cosa tanto poco interessante che non vale la pena che io te la spieghi, – rispose Yanez. – Tu invece dovresti darmi qualche spiegazione che mi premerebbe.
– Quale?
– Sapere chi è che ti ha mandato verso di noi per far arenare la mia nave sui banchi.
– Vi giuro, signore…
– Lascia andare i giuramenti: già non credo a quelle cose io, mio caro. È inutile che tu ti ostini a negare: ti sei tradito e ti tengo in mia mano. Chi ti ha pagato per rovinare la mia nave? Tu stavi per incendiarla.
– È una vostra supposizione, – balbettò il malese.
– Basta, – disse Yanez. – Vuoi farmi perdere la pazienza? Voglio sapere chi è quel maledetto pellegrino che ha messo in armi i dayaki e che domanda la testa di Tremal-Naik.
– Voi potete uccidermi, signore, ma non obbligarmi a dire delle cose ch’io ignoro.
– Sicchè tu affermi?
– Ch’io non ho mai veduto alcun pellegrino.
– E che anche non hai mai avuto rapporti coi dayaki che mi hanno assalito?
– Non mi sono mai occupato di costoro, signore, ve lo giuro su Vairang kidul (La regina del sud). Io stavo seguendo la costa per visitare le caverne, entro le quali le rondini salangane costruiscono i loro nidi, avendo ricevuto l’incarico di fornirne ad un cinese che ne abbisognava, quando un colpo di vento mi trasportò al largo trascinandomi, assieme al canotto, verso ponente. Vi ho incontrati per un caso.
– Perchè sei pallido allora?
– Signore, mi avete sottoposto ad una compressione tale che credevo mi si volesse strozzare e non mi sono ancora rimesso dall’impressione provata, – rispose il pilota.
– Tu menti come un ragazzo, – disse Yanez. – Non vuoi confessare? Sta bene: vedremo se resisterai.
– Che cosa volete fare, signore? – chiese il miserabile con voce tremante.
– Tangusa, – disse Yanez, volgendosi verso il meticcio. – Lega le mani a questo traditore, poi conducilo in coperta. Se cerca di resistere bruciagli le cervella.
– La mia pistola è carica, – rispose l’intendente di Tremal-Naik.
Yanez uscì dal quadro e salì sul ponte, mentre il meticcio metteva in esecuzione l’ordine ricevuto, senza che il malese avesse osato ribellarsi.
5. Le confessioni del pilota
La Marianna aveva superata la zona incendiata e navigava in quel momento fra due rive verdeggianti, dove i durion, gli alberi della canfora, i gluga, i sagu, i banani dalle foglie mostruose e le splendide arenghe intrecciavano i loro rami e le loro fronde. Un fiumicello che si riversava nel Kabatuan, aveva impedito al fuoco di estendersi verso l’alto corso, sicchè quelle boscaglie erano state risparmiate.
Una calma assoluta regnava sulle rive, almeno in quel momento. I dayaki non dovevano essersi spinti fino là, perchè si vedevano numerosi uccelli acquatici bagnarsi tranquillamente, segno evidente che si tenevano perfettamente sicuri.
Ed infatti le grosse pelargopsis, dall’enorme becco rosso come il corallo, nuotavano lungo le canne, pescando le belle alcede attraversavano il fiume salutando il veliero con un lungo fischio e all’estremità degli alberi, che spingevano i loro rami sulle acque, i ploceus pispigliavano, dondolandosi entro i loro nidi in forma di borsa, mentre sui banchi sonnecchiavano non pochi coccodrilli lunghi cinque o sei metri, coi dorsi rugosi incrostati d’un fitto strato di fango.
– Ecco quelli che s’incaricheranno di sciogliere la lingua a quell’ostinato malese, – mormorò Yanez, che aveva fissati gli sguardi sui formidabili rettili. – Che bell’occasione! Sambigliong!
Il mastro fu pronto ad accorrere alla chiamata.
– Fa’ gettare un ancorotto.
– Ci fermiamo, capitano Yanez?
– Oh, per pochi minuti solamente e accosta uno di quei banchi più che puoi.
– Volete pescare qualche coccodrillo?
– Vedrai: prepara intanto una solida fune.
Il pilota comparve in quel momento in coperta, colle mani legate dietro al dorso, spinto innanzi dal meticcio che non faceva economia di urti e di minacce.
Il disgraziato era in preda ad un terrore profondo, eppure non pareva ancora disposto a confessare.
– Sambigliong, – disse Yanez, quando l’ancorotto fu calato. – Getta un po’ di carne salata a quei mostri, tanto da stuzzicare un po’ il loro appetito.
La Marianna si era fermata a breve distanza da un banco melmoso, su cui stavano radunati cinque o sei gaviali, fra cui uno mancante della coda, perduta di certo in qualche combattimento.
Si scaldavano al sole, sonnecchiando tranquillamente e anche vedendo accostarsi il veliero non si erano mossi, essendo per loro natura poco diffidenti.
– Destatevi boyo! – gridò Sambigliong, gettando verso il banco alcuni enormi pezzi di carne salata.
I gaviali, vedendo cadere quella manna, si erano alzati, poi vi si erano scagliati sopra disputandoseli ferocemente. In un momento non si vide che un ammasso di scaglie e di code poderosamente agitate che picchiavano in tutte le direzioni, poi, messi in appetito da quei pochi bocconi si spinsero verso l’orlo del banco, alzando le loro ampie mascelle, armate di lunghi denti, verso la Marianna, in attesa d’un’altra distribuzione.
– Signor Yanez, – disse Sambigliong, – aspettano qualche cosa di meglio quegli insaziabili ghiottoni.
– Daremo loro un uomo, – rispose il portoghese, guardando il pilota che fissava cogli occhi smarriti le gole spalancate dei mostri, come se avesse compreso che quell’uomo era lui.
– Signore, – balbettò, accostandosi a Yanez.
– Taci! – gli rispose questi seccamente.
– Che cosa volete fare di me?
– Lo saprai presto. A te, Sambigliong.
Il mastro annodò attorno ai fianchi del disgraziato malese una solida corda, poi alzandolo bruscamente