Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Emilio Salgari
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«Maledette guerre!» esclamò Carmaux «Se invece di tornare nel suo Piemonte, fosse rimasto qui, forse sarebbe ancora vivo».
«Taci, Carmaux» disse l’amburghese. «Tu mi rattristi troppo. Mi sembra impossibile che sia morto. E se il capitano Morgan fosse stato male informato?»
«Egli lo ha saputo da un compatriota del Corsaro Nero, che ha assistito alla sua fine».
«Dove l’hanno ucciso?»
«Sulle Alpi, mentre combatteva valorosamente contro i francesi che minacciavano d’invadere il Piemonte. Si dice però che quel prode la cercasse la morte».
«Perché, Carmaux? Tu non me lo hai mai detto prima d’ora».
«Non lo seppi che ieri dal signor Morgan».
«Quale motivo lo spingeva a giuocare pazzamente la vita?» chiese l’amburghese.
«Il dolore d’aver perduta la moglie, la duchessa di Wan Guld, morta nel dare alla luce la bambina».
«Povero signor di Ventimiglia! Così valoroso, così leale, così generoso… Verranno altri filibustieri, ma come lui no, mai».
Uno scoppio fragoroso di grida li fece alzare entrambi. Gli spettatori che circondavano il tavolo parevano in preda ad una vera frenesia. Alcuni acclamavano, altri imprecavano, tutti si agitavano, sbracciandosi e pestando i piedi.
Carmaux e l’amburghese, vuotate d’un fiato le tazze, si erano accostati agli spettatori, mettendosi specialmente dietro al grasso piantatore o raffinatore di zucchero, che era quel señor Raffaele che voleva riservare le sue scommesse per il Plata.
I due galli, dopo una serie di finte e di salti, si erano attaccati con furore e Zambo aveva ricevuto un colpo di sperone sulla testa perdendo parte della sua bella cresta e anche un occhio.
«Bel colpo!» mormorò Carmaux, che pareva se n’intendesse.
Il careador si era subito impadronito del vinto, bagnandogli le ferite coll’acquavite, onde arrestarne almeno per qualche istante il sangue.
El Valiente, tronfio della vittoria riportata, cantava a piena gola, pavoneggiandosi e starnazzando le sue belle ali.
La lotta non era però che cominciata, perché Zambo non si poteva ancora considerare fuori combattimento. Anzi, malgrado fosse cieco di un occhio, poteva disputare a lungo la vittoria ed anche riuscire a strapparla all’avversario.
Si capisce che ormai il favorito era El Valiente che aveva dato un così bel saggio della sua bravura.
Perfino don Raffaele si era sentito tentare. Dopo un po’ di esitazione aveva gridato:
«Cinquanta piastre sul Valiente. Chi tiene? chi…»
Un colpetto sulla spalla destra gl’interruppe la frase e lo fece voltare indietro.
Carmaux non aveva ancora alzata la mano.
«Che cosa volete, señor?» chiese il raffinatore o piantatore che fosse, aggrottando la fronte e mostrandosi un po’ offeso per quella familiarità.
«Volete un consiglio?» disse Carmaux. «Puntate sul gallo ferito».
«Siete forse un careador?»
«A voi poco deve importare se lo sia o no. Se volete, punto duecento piastre su quello…»
«Su Zambo?» chiese il piantatore, facendo un gesto di sorpresa. «Avete del denaro che vi pesa troppo nelle tasche?»
«Niente affatto, anzi sono venuto qui per guadagnarne».
«E puntate su Zambo?»
«Sì, e vedrete come, fra poco, concerà l’altro. Scommettete con me, señor».
«Sia» disse il grasso piantatore, dopo qualche esitazione «Se perdo mi rifarò con Plata».
«Scommettiamo insieme?»
«Accetto».
«Trecento piastre per Zambo!» gridò Carmaux.
Tutti gli sguardi si erano fissati su quell’avventuriero, che scommetteva una somma relativamente grossa su un gallo ormai semi-sconfitto.
«Tengo io!» gridò il giudice di campo. «Avanti i combattenti».
Un momento dopo i due campioni si ritrovavano l’uno di fronte all’altro.
Zambo, quantunque così mal conciato e sanguinante, assalì per primo, saltando molto in alto, ma anche questa volta sbagliò il colpo e fu respinto.
El valiente che si teneva pronto, s’alzò in tutta la sua altezza, poi con uno slancio improvviso si precipitò sull’avversario tentando di cadergli sul cranio per spaccarglielo con un buon colpo d’artiglio.
Zambo però, si era prontamente rimesso, si teneva in guardia colle ali pronte alla parata e la testa ritirata, e gli rispose con un colpo di becco così bene assestato, da strappargli di colpo uno dei due barbigli della gola.
«Bravo gallo! Gallo fino!» gridò il piantatore.
Aveva appena pronunciate queste parole, quando El Valiente che perdeva sangue in abbondanza, si precipitò sul rivale colla velocità e l’impeto del falcone.
I due volatili si videro per alcuni istanti dibattersi, uniti strettamente, poi rotolarsi sulla tavola, poi diventare immobili come se si fossero uccisi reciprocamente. Zambo era rimasto sotto l’avversario e non si scorgeva quasi più.
Don Raffaele si era voltato verso Carmaux, dicendogli con accento secco:
«Abbiamo perduto».
«Chi ve lo dice?» chiese l’avventuriero. «Ah! Guardate! Trecento piastre sono già nelle nostre tasche, señor».
Zambo non era affatto morto, anzi tutt’altro. Quando gli spettatori cominciavano a disperarsi, con una mossa improvvisa era sfuggito di sotto all’avversario e si era alzato, cantando a piena gola e piantando gli speroni nel corpo del vinto.
El Valiente era morto e giaceva inerte col cranio spaccato.
«Ebbene señor, che cosa ne dite?» chiese Carmaux, mentre attorno alla tavola scoppiava una salva d’imprecazioni all’indirizzo del vinto.
«Dico che voi avete avuto un colpo d’occhio ammirabile» rispose il piantatore, con accento lieto.
Carmaux ritirò le trecento piastre e ne fece due mucchi eguali, dicendo:
«Centocinquanta per ciascuno, señor. La partita non è stata cattiva».
«No, v’ingannate» disse don Raffaele.
«E perché?»
«Non ho scommesso che cinquanta piastre».
«Perdonate, ma noi abbiamo giuocato in società. Raccogliete le vostre piastre che sono state guadagnate lealmente contro il giudice di campo che ha puntato sul morto».
«Siete