Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Jolanda, la figlia del Corsaro Nero - Emilio Salgari

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«Sarà una buona presa».

      Wan Stiller fece col capo un cenno di assentimento.

      Carmaux passò familiarmente un braccio sotto quello del grasso piantatore, per impedirgli di camminare a sghimbescio, e tutti e tre si diressero verso la spiaggia, attraversando viuzze strette e oscurissime, non sentendosi in quei tempi il bisogno dell’illuminazione delle strade.

      Quando sboccarono sul largo viale di palme, che conduceva al porto, Carmaux che fino allora era rimasto silenzioso, scosse il piantatore che pareva fosse lì lì per addormentarsi, dicendogli:

      «Possiamo parlare; non v’è nessuno qui».

      «Ah! Già… il presidente… il segreto…» borbottò don Raffaele aprendo gli occhi. «Eccellente quell’Alicante… un altro bicchiere, señor Manco».

      «Non siamo più nella taverna, mio caro signore» disse Carmaux. «Se vorrete vi torneremo e vuoteremo altre due o tre bottiglie».

      «Eccellente… squisito…»

      «Basta, lo sappiamo, veniamo al fatto. Voi mi avete promesso di darmi le informazioni che desideravo e badate che vi è di mezzo l’illustrissimo signor presidente dell’Udienza reale di Panama e vi avverto che quell’uomo non ischerza».

      «Sono un suddito fedele».

      «Bene, bene, señor».

      «Parlate, che cosa desiderate? Io sono amico del governatore… molto amico…»

      «Un amicone, lo sappiamo. Ditemi, e aprite bene gli orecchi, e pensate bene quello che dite. È vera la voce corsa che qui si trovi la figlia del cavaliere di Ventimiglia, il famoso Corsaro Nero? È vera? Il signor presidente dell’Udienza vorrebbe saperlo».

      «Che cosa può importargliene?» chiese don Raffaele, con stupore.

      «Né io né voi dobbiamo saperlo. È vero o no?»

      «È vero».

      «Quando è giunta?»

      «Saranno quindici giorni. L’hanno catturata su una nave olandese, caduta in potere d’una nostra fregata, dopo un sanguinoso combattimento».

      «Che cosa veniva a fare qui, in America?»

      «Si dice che venisse a raccogliere l’eredità di suo nonno, Wan Guld. Il duca possedeva vaste tenute qui e anche a Costarica, che non sono mai state vendute».

      «È vero che è prigioniera?»

      «Sì».

      «Perché?» «Voi vi scordate, sembra, quanto male abbia fatto a Maracaybo ed a Gibraltar suo padre, il Corsaro Nero».

      «Per vendicarsi, dunque».

      «E per impedirle di entrare in possesso dei beni del duca. Rappresentano dei bei milioni, che il governatore conta di far passare nelle casse proprie ed in quelle del governo».

      «E se il Piemonte o l’Olanda reclamassero la sua libertà? Voi sapete che non è suddita spagnola».

      «Vengano a prenderla, se l’osano».

      «Dove si trova ora?»

      «Questo lo ignoro» disse don Raffaele dopo un po’ di esitazione.

      «Voi non lo volete dire».

      «Non voglio compromettermi col governatore, señor Manco».

      «Diffidereste di noi?»

      Don Raffaele si era fermato, poi aveva fatto un passo indietro, guardando con spavento quei due avventurieri e maledicendo in cuor suo i galli, le bottiglie e la sua imprudenza.

      «Voi non mi avete ancora data alcuna prova di essere veramente quelli che mi avete detto».

      «Ve le daremo le prove quanto prima, quando sarete a bordo del nostro legno. Venite con noi, non abbiate timore».

      «Sia, purché passiamo sull’altro viale».

      «Vi sono i doganieri colà e non desideriamo di essere veduti da nessuno. Venite o…» disse Carmaux con accento minaccioso, mettendo la destra sull’impugnatura dello spadone.

      Il povero piantatore impallidì orribilmente, poi, tutto d’un tratto si slanciò, con un’agilità che non si sarebbe mai supposta in quel corpo così grosso e rotondo, fra le aiuole che dividevano i due viali, gridando con quanta voce aveva in gola:

      «Aiuto doganieri! M’assassinano!»

      «Carmaux aveva mandato una rauca imprecazione.

      «Birbante! Ci fa prendere! Addosso amburghese!»

      In due salti furono alle spalle del fuggiasco. Bastò un pugno di Wan Stiller per farlo cadere mezzo intontito.

      «Presto il bavaglio!»

      Carmaux si slacciò d’un colpo la fascia di lana rossa che gli stringeva i fianchi, e ravvolse intorno al viso del piantatore, non lasciandogli scoperto che il naso onde non morisse asfissiato.

      «Prendilo per le braccia, amburghese, e lesti alla scialuppa. Per satanasso! I doganieri!»

      «Buttiamolo in mezzo alle aiuole, Carmaux» disse l’amburghese.

      Afferrarono il disgraziato piantatore e lo lasciarono cadere in mezzo ad un cespuglio di macupi le cui larghe foglie erano più che sufficienti per nasconderlo.

      Si erano appena allontanati di pochi passi, quando una voce imperiosa gridò:

      «Alt o facciamo fuoco».

      Due uomini, due doganieri, erano balzati sul viale, dirigendosi velocemente verso i due avventurieri..

      Uno era armato d’un archibugio, l’altro invece teneva in pugno un’alabarda.

      «Siamo persone oneste» rispose Carmaux. «Dove andiamo? A prendere una boccata d’aria. Questo maledetto lago è così pieno di zanzare che non si può dormire».

      «Chi ha gridato: Aiuto doganieri?»

      «Un uomo che fuggiva, inseguito da un altro».

      «Da quale parte?»

      «Da quella».

      «Voi mentite; veniamo appunto di là e non abbiamo veduto nessuno a fuggire».

      «Mi sarò ingannato» rispose Carmaux, placidamente.

      «M’avete un’aria sospetta, miei signori. Seguiteci al posto e consegnate, innanzi tutto, le vostre spade».

      «Signor doganiere» disse Carmaux, con accento d’uomo offeso. «Non si arrestano due tranquilli cittadini che possono essere dei gentiluomini. Noi contrabbandieri! Per la morte di Belzebù volete scherzare?»

      «Al posto di dogana e fuori le spade» ripeté il doganiere, alzando l’archibugio. «Si vedrà poi chi siete. Presto o faccio fuoco: è l’ordine».

      «Folgore» disse Carmaux volgendosi verso

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