Il Libro Nero. Barrili Anton Giulio
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Lo strozziere, toccato nel suo debole, chinò gli occhi modestamente sul tagliere. La diffidenza, che gli era nata in petto contro il forastiero, incominciava ad andarsene in fumo.
– Voi dicevate, messer pellegrino, della basilica di San Pietro.
– Affè, sarà quella un'opera stupenda. Figlio di Lorenzo il Magnifico, Leone X non farà che cose magnifiche. Ma ci bisognan danari.
– Nulla res sine pecunia! – sentenziò Benedicite.
– Sì, veramente, e a cotesto si pensa per l'appunto ora, e chiunque aiuterà alla grand'opera avrà indulgenze a macca.
– E voi, messer pellegrino, – entrò a dire il Conte, – se ben m'appongo, ne avete in buon dato.
– Sì, messer lo Conte, ne porto attorno per cui piacciono. Vo in Monferrato; di là passerò in Lamagna, dove spero il negozio abbia a prosperare più assai che in ogni altra parte d'Europa. Ahimè, sono stato un grande scioperato fino ad ora, e mi bisogna racquistare il tempo sprecato, con qualche opera buona. Ma già questi non sono discorsi da farsi a mensa, e in compagnia di tanti orrevoli cavalieri. Proseguite, di grazia, i vostri interrotti ragionari, se pure ad un forastiero è permesso di udirli.
– Che diamine! Noi stavamo appunto per chiedere una ballata a Fiordaliso, il nostro bel paggio, che la pretende a poeta, e, in fede mia, non senza ragione.
– Mi sarà grato udire ciò che bisbigliano le Muse nell'orecchio di un sì leggiadro garzone.
– Oh, non vi aspettate grandi cose, messer pellegrino! – rispose Fiordaliso, che si era fatto rosso come una brace. – Io non ho studiato d'arte poetica, e vo strimpellando il liuto come un menestrello villereccio.
– Suvvia, Fiordaliso, non ci buttiamo giù di questa guisa! Il nostro ospite avrà forse udito più valorosi trovatori che tu non sia; ma io metto pegno che egli non rimarrà al tutto scontento dei fatti tuoi. Sentiamo dunque la tua ballata! —
Il paggio non si fece pregare più oltre, e andato a pigliare in un cantuccio il liuto, incominciò a trarne parecchi accordi, i quali volevano proprio dimostrare come il suonatore fosse stato troppo modesto, paragonandosi ad un menestrello giramondo. Quindi, giusta il costume degli antichi trovatori, non ancora perduto in que' paesi feudali, si fece a cantare in questa maniera:
– Conte Folco è prode e bello,
Esemplar de' cavalieri.
Fido albergo è il suo castello
Di dugento balestrieri.
Cento lance ei mette in guerra.
È possente e paventato;
Ma più ancora avventurato
Dell'affetto d'ogni cor.
S'è felici in sulla terra
Fin che regni in terra amor. —
– Bene, Fiordaliso, bene! – gridò Ansaldo di Leuca.
E tutti in coro ripeterono il ritornello:
S'è felici in sulla terra
Fin che regni in terra amor.
Il giovinetto proseguì, accompagnandosi cogli accordi del suo liuto:
– Sulla preda all'aure scaglia
I falcon più peregrini;
Pronti in giostra ed in battaglia
Ha cavalli saracini.
Lieto il fan di censo opimo
Le vitifere pendici;
Ma più lieto i fidi amici
Che gli fan corona ognor.
L'uom felice in terra estimo
Fin che regni in terra amor. —
– Gli amici, Ugo, tu l'hai udito, gli amici! – disse Enrico Corradengo, dopo che ebbero ripetuto il ritornello.
– Sì! – rispose Ugo. – L'amicizia è la più bella cosa e la più cara che al mondo sia.
– Adagio, messere! – gridò Fiordaliso. – Io non ho anche finito.
– Tira innanzi, dunque, da bravo!
Incuorato dal plauso della brigata il paggio intuonò la terza strofa:
– Carlomagno invidia a lui
Così dolce e lieto stato;
Ch'ei non è tra' prodi sui
Più securo e più beato.
Conte Folco a regio impero
Ben potria levar le brame;
Ma più grato a lui reame
Parve ognora un fido cor.
Più felice è l'uomo invero
Se gli arrida in terra amor. —
– Hai ragione, Fiordaliso! – esclamò conte Ugo. – L'amore accanto all'amicizia, ma un grado più in su. Questo è nella natura delle cose, e voi non ve ne dorrete, amici miei, non è egli vero?
– No, per mia fè! – rispose Ansaldo di Leuca. – E' bisognerebbe essere egoisti di tre cotte, per dolersene. Le dame anzitutto! Ma ci ha da essere ancora una strofa…
– Sì, messere; – soggiunse il paggio, – ed eccola appunto:
– Per lui sol non disumana,
Disdegnò d'un re l'omaggio
Valorosa castellana
Di gran cor, d'alto legnaggio.
È regina e imperatrice,
Se tien Folco in suo governo,
Se per lei d'affetto eterno
Per lei palpita il suo cor.
Sulla terra è l'uom felice
Fin che regni in terra amor.
– Bene! benissimo! – gridarono tutti, e ripeterono in coro, siccome avevano fatto per l'altre strofe:
Sulla terra è l'uom felice
Fin che regni in terra amor.
– Questo conte Folco era un uomo felice davvero – disse Ugo, in quella che si toglieva dal collo la sua collana d'oro, per cingerne il suo paggio prediletto. – Felice davvero! e a tutte le sue venture s'aggiunge questa, di essere cantato