Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 3. Giovanni Boccaccio

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 3 - Giovanni Boccaccio страница 9

Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 3 - Giovanni Boccaccio

Скачать книгу

pareva il suo tempio venuto per questo adulterio, accioché non rimanesse impunita, dicono che i capelli d’oro di Medusa trasformò in serpenti; per la qual cosa Medusa, di bellissima femmina, divenne una cosa mostruosa. La qual cosa essendo per fama divulgata per tutto, pervenne in Grecia agli orecchi di Perseo, in quei tempi valoroso e potente giovane; laonde egli, a dover questa cosa mostruosa tôr via, venne di Grecia lá dove Medusa dimorava, e quivi, armato con lo scudo di Pallade, la vinse e tagliolle la testa, e con essa se ne ritornò in Grecia. E questo quanto alle fizioni basti. E veggiamo quello che sotto questo voglian sentire coloro che finsono, e poi al nostro proposito il recheremo.]

      [Puossi adunque leggiermente concedere queste sorelle essere state figliuole di Forco; ma perché dette sieno figliuole d’un mostro marino, credo preso fosse dalla loro singular bellezza, l’ammirazion della quale non lasciava credere al vulgo ignorante lor potere esser nate di femmina, come l’altre nascono: ma di questo sia la quistione terminata. Che esse avessero tra tutte e tre solamente un occhio, par che credano Sereno e Teognide, antichissimi istoriografi, per ciò esser detto, perché esse tutte e tre fossero d’una medesima e igual bellezza, e per questo fosse un medesimo il giudicio di tutti coloro li quali le riguardavano. Altri voglion dire che esse tra tutte e tre avessero un solo regno, e quello vicendevolmente reggessero, e per quello vedessero, cioè valessono. L’esser giaciuta con Nettuno, niuna altra cosa dimostra se non essersi dilettata dell’abbondanza delle cose, e però nel tempio di Minerva, perché ella mostrò molte lucrative arti, per le quali l’abbondanza diventa maggiore. I crini esser convertiti in serpenti, niuna altra cosa vuole se non mostrare le sustanze temporali, le quali per li capelli si dimostrano, convertirsi in amare e mordaci sollicitudini di coloro che l’hanno, percioché temono or di questa e or di quella cosa, ecc. Che esse convertissono in sassi coloro li quali le riguardavano, credo essere stato detto per ciò, che tanta e sí grande era la lor bellezza, che, come da alcuno veduta era, cosí diventava stupido e attonito, e quasi mutolo e immobile per maraviglia, non altrimenti che se sasseo divenuto fosse.]

      [Gorgone furon chiamate, percioché, secondo che Teodonzio dice, essendo dopo la morte del padre loro rimase ricchissime, con tanta sollecitudine e avvedimento curarono le cose, nelle quali consistevano le loro ricchezze, le quali il piú erano in terre, che dalli loro uomini furon chiamate Gorgoni, il qual nome suona «cultrici di terra». Ma Fulgenzio, il quale intorno alle fizioni poetiche ebbe mirabile e profondo sentimento, par che senta tutto altrimenti; percioché egli scrive essere tre generazioni di paura, le quali per li nomi di queste tre sorelle si dimostrano: e primieramente dice che Steno è interpetrata «debilitá», cioè principio di paura, il qual solamente debilita l’animo di colui in cui cade; appresso dice che Euriale è interpetrata «lata profonditá», cioè stupore o amenzia, la quale con un profondo timore sparge o disgrega l’animo debilitato; ultimamente dice che Medusa significa «oblivione», la qual non solamente turba l’avvedimento dell’animo, ma ancora mescola in esso caligine e oscuritá.] Delle quali cose possiamo al nostro proposito raccogliere sotto il nome di questa Medusa essere, come di sopra è stato detto, chiamata la ostinazione, in quanto essa faceva chi la riguardava divenir sasso, cioè gelido e inflessibile. Ma son molti, i quali per avventura non s’accorgono quando questo Gorgon riguardano; e però è da sapere che sono alcuni li quali sempre tengon gli occhi della mente fissi nella loro bella moglie, ne’ lor figliuoli, ne’ lor be’ palagi, ne’ lor be’ giardini, e questi paion loro da dover preporre ad ogni letizia di paradiso; altri tengono l’animo fisso a’ lor cavalli, a’ lor fondachi, alle loro botteghe, a’ lor tesori; altri agli stati e agli onori publichi e a simili cose. E non s’accorgono che questo cotal riguardare è riguardare il Gorgone, cioè gli ornamenti terreni: da’ quali e’ traggono quella durezza che gli convertisce in pietra, la quale è di complession fredda e secca: per la qual possiamo intendere questi cotali esser freddi del divino amore e della caritá del prossimo, e in tanto secchi, in quanto i terreni secchi né ricevono alcun seme, né fanno alcun frutto.

      Così adunque divenuti e caduti nella perseveranza del peccare, quasi della divina misericordia disperandosi, strabocchevolmente si lasciano andare in qualunque colpa, dicendo sé sapere quel c’hanno, e non sapere quel che avranno, e che se pure avviene che perdano i beni dell’altra vita, non voler perdere quegli di questa. E puossi dire che a coloro avviene li quali nel furore iracundo trascorrono, in quanto niun altro giudicio che il loro seguir vogliono; o a coloro li quali oltre ad ogni debito gli animi pongono a’ piaceri, li quali smisuratamente procuran d’avere, delle cose terrene, e tanto in esse s’invescano, che cosa, che contro a questo piacer faccia, udir non possono. E, quantunque questo atto furioso non paia, egli è; percioché la perturbazione si prende nell’animo dalla nostra insaziabilitá; e però, non avendo né quello né tanto quanto vorremmo, ci turbiamo in noi medesimi contro alla fortuna, e spesse volte contro a Dio, che quello non ne concedono, di che a noi pare esser degni. E da questa perturbazione nascono gli stimoli, li quali il dí e la notte ne infestano a dover trovar modo come pervenir possiamo a quello che noi disideriamo; e da questi stimoli nascon le disposizioni, le quali sempre dannose sono; e appresso a questo seguono gli atti e l’operazioni, le quali pognamo ad avere quello che bisogno non era. E questi, nel giudicio de’ savi uomini, piú tosto da furioso animo che da composta mente procedono: e in questi intanto ci abituiamo, che né salutevol consiglio, né altro ce ne può rivocare; e cosí come se veduto avessimo il Gorgone, sassei diventiamo, cioè ostinati cultivatori delle terrene cose.

      Era adunque a questo provocata Medusa, accioché veduta, cioè ricevuta nella mente dall’autore, lui avesse fatto sasseo divenire, e per conseguente ritenuto in inferno, cioè intorno agli esercizi terreni, e avesse lasciata stare la buona disposizione nella quale era entrato dietro alla ragione per acquistare i frutti celestiali. Ma ciò non poté avvenire, percioché la ragione il fece volgere in altra parte che in quella donde dovea mostrarsi il Gorgone, cioè il fece volgere ad altro studio che a riguardare le vanitá temporali e a porvi l’animo. Il che pregava il salmista quando diceva: «Averte oculos meos, ne videant vanitatem», cioè con affetto riguardino le cose temporali; le quali son tutte vane, come dice l’Ecclesiastes: «Vanitas vanitatum et omnia vanitas». E non solamente fu la ragion contenta d’avergli imposto che con le mani gli occhi chiudesse, ma essa ancora con le sue proprie gliele chiuse. E non dobbiamo qui intendere degli occhi corporali, ma delle nostre affezioni mosse e sospinte da due potenze dell’anima, cioè dall’appetito irascibile e dal concupiscibile. Questi son da chiuder con le mani, cioè con l’operazioni della ragione, le quali quante volte questi appetiti raffreneranno e adopereranno che l’uomo piú che il dovere non s’adiri o concupisca, tante cesserá che il Gorgone veder non si possa, cioè non si caggia nella ostinazione.

      E séguita, di questo, che a coloro, li quali con fermo animo seguitano la ragione, Iddio, dovunque lor bisogna, manda il suo sussidio: il quale in questo luogo l’autore figura per l’angelo, il quale aperse la porta. Ed è questo divino aiuto di tanta virtú e di tanta potenzia, che ogni infernale arroganza, i demòni, le Furie, il Gorgone e l’anime de’ dannati, pieni di paura e di sbigottimento, impetuosamente gli fuggon davante, lasciando aperta e spedita la via a dover poter vedere e conoscere ciò che per la lor salute bisogna a coloro li quali sperano in lui. E questo credo che sia quello, al quale vedere l’autore sollecita gl’intelletti sani, entrando poi dietro alla ragione a discernere distintamente le colpe de’ caduti nella ostinazione, e i tormenti dati a quelle, accioché da esse, cauto divenutone, si sappia guardare, [e dalla paura del divino giudicio compunto, proceda al sacramento della penitenza, mediante il quale possa alla gloria pervenire.]

      Ma da vedere ne resta quello che esso intenda per lo supplicio dato agli eresiarci. Sono gli eresiarci, sí come assai chiaro si legge nel testo, in sepolture, da eterno e cocentissimo fuoco tormentati; nel qual supplicio io intendo disegnarsi l’apparenza degli eretici in questa vita, e la pena loro attribuita nell’altra. Dico adunque che, per le sepolture, l’autore vuol dimostrare di questi peccatori l’apparenza in questa vita, accioché noi non siam troppo correnti a credere al giudicio degli occhi nostri, il quale, essendo spesse volte falso, ne ’nduce o può inducere in parte, della quale o non possiamo uscire, o con difficultá n’usciamo. Possonsi adunque gli eretici simigliare alle sepolture, le quali spessamente sono ornatissime di marmi, d’intagli, d’oro, di dipinture

Скачать книгу