Resa a discrezione. Giacosa Giuseppe
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È segno che c'è una specie di pigrizia universale, che fa senza esame accettare per buono il giudizio corrente.
Ammetterà che pochi tenterebbero l'impresa che lei sta per tentare.
Le assicuro che non faccio sfoggio di modestia, ma questa larva di celebrità improvvisata e ad ogni modo anticipata mi può dare delle gran noie. Ieri sera un amico mi portò all'ufficio di un giornale dove andai volentieri per vedere un po' di gente prima di lasciare il mio paese: ma invece di trovarmici spettatore, mi accorsi di esserci come una specie di bestia rara che molte persone convenute apposta volevano veder da vicino. Quei signori possono credere che io ci fossi andato per darmi in spettacolo, e se la spedizione fallirà o se non riescirò a trarne quel profitto che mi propongo, eccomi fatto ridicolo o almeno convinto di molta presunzione.
Il solo fatto di affrontare i rischi di un viaggio…
Non esageriamo. Ne sono già tornati dai mari polari.
Finirò per aver più merito io, che me ne sto qui a far la corte a queste signore.
Dicono infatti che sia una navigazione assai più difficile.
È pericolosa?
Sono tentato di crederlo, Marchesa.
Per esperienza?
Un'esperienza di cinque minuti.
Oh! Come farà a smaltire di simili galanterie laggiù nella solitudine?
Farò economia.
È già tanto ricco!
L'avevo detto? A sentir discorrere di un uomo che va ai mari polari, lo si immagina selvatico come un orso bianco.
Al contrario, adoro la società!
E perchè l'abbandona?
Oh, Gemma! Non indaghiamo i segreti d'un uomo di quell'età.
No, no, non ho segreti da nascondere e non sono più romantico che selvatico. Non ho nè dolori da vincere, nè disinganni da consolare. Faccio la mia strada e cerco che non sia la strada maestra dove passano tutti. Come vede, mi confesso ambizioso; ma per emergere dalla folla bisogna essere più alto degli altri, mentre anche un uomo di media statura, se cammina solo, lo si vede da lontano.
Filippo, passatemi quello sgabello.
Subito. (le porta lo sgabello e glielo mette sotto i piedi).
E abbassate un po' il paralume, la lampada mi fa male agli occhi.
Ecco. (eseguisce).
Grazie, mio buon amico.
Oh! (bacia la mano).
Voi, poveretto, solo non ci andreste, eh?
È così bene accompagnato!
Fa una grande ostentazione di semplicità.
Vi dispiace?
Siete meglio voi, cento mila volte.
Oh!
Quasi quasi gli do la sua lettera. Eccola.
Che viltà!
Mi è antipatico. Basta, vedremo. Andate di là.
Sissignora, ci sono andato un'altra volta; ma dopo di essere stati sei giorni bloccati dai ghiacci dovemmo riparare in Norvegia.
Chi sa quei sei giorni che apprensione!
Passarono in un attimo, nei preparativi dell'invernata e fummo liberi prima d'avvertire che… (a Filippo che fa cenni ad Elena) Dica.
Io?
Scusi un po', sig. Sarni, la colpa è mia. Interrogava a cenni il mio amico Filippo, per sapere se devo mandare al suo recapito una certa lettera ch'egli conosce. Giusto, lei farà l'oracolo.
Io?
Sì. Lei ignora di che si tratta, quindi il suo verdetto avrà tutta la cecità che si richiede ad un verdetto della sorte. Vuole rispondere?
Ma si può conoscere almeno a chi è diretta la lettera?
Ah no! (guarda Filippo ridendo) Il nome del destinatario le direbbe ogni cosa.
È lui! Che parte mi fa fare? (forte) È una lettera importante?
Se andasse al suo recapito, sarebbe tenuta per tale.
Ebbene. (fra sè) Vediamo. (forte) Io non la manderei.
Davvero?
L'oracolo ha parlato.
E sia. (mette la lettera nel cassetto del tavolino).
Però trovo strana questa irresolutezza in una Signora. Le donne pel solito deliberano prontamente.
Ha in così buon concetto le donne?
Buono, non saprei. Gli uomini sono più irresoluti prima di deliberare, ma più fermi e perseveranti dopo.
Sicchè lei quando ha deciso di fare una cosa…
La faccio.
Per esempio, il suo viaggio non c'è nulla che potrebbe smoverla