Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5 - Edward Gibbon

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che egli sempre mantenne in un tempo di religiose contese. Il suo buon senso, non illuminato in vero, ma neppure corrotto dallo studio, evitava con rispettosa indifferenza le sottili questioni Teologiche. Il governo della Terra esigeva la sua vigilanza, e soddisfaceane l'ambizione; e nel tempo che si rammentava d'esser discepolo della Chiesa, non si dimenticò mai che era Sovrano del Clero. Nel regno d'un Apostata, egli avea segnalato il suo zelo per l'onore del Cristianesimo; concesse dunque ai suoi sudditi il privilegio che aveva assunto per se medesimo; ed essi accettar potevano con gratitudine e con fiducia la general tolleranza, permessa da un Principe dominato dalle passioni, ma incapace di timore o di simulazione65. I Pagani, gli Ebrei e tutte le varie Sette, che ammettevano l'autorità divina di Cristo, eran protetti, dalle leggi contro il potere arbitrario o il popolare insulto; nè ci aveva specie alcuna di culto che fosse proibita da Valentiniano, eccettuate quelle segrete e ree pratiche, le quali abusavano del nome di religione per cuoprir gli oscuri disegni del vizio e del disordine. L'arte magica, siccome si puniva più crudelmente, così veniva proscritta con più rigore; ma l'Imperatore adottò una formal distinzione per protegger gli antichi metodi di divinazione approvati dal Senato, ed esercitati dagli Aruspici Toscani. Col consenso dei Pagani più ragionevoli avea condannato la licenza dei sacrifizi notturni; ma immediatamente ammesso l'istanza di Pretestato Proconsole dell'Acaia, il quale rappresentò che la vita dei Greci sarebbe divenuta misera e disgustosa, qualora fossero essi restati privi dell'inestimabil vantaggio dei misteri Eleusini. La sola filosofia può vantarsi (e forse non è più che un semplice vanto della filosofia) che la gentile sua mano è capace di sradicare dalla mente umana i segreti e fatali principj del fanatismo. Ma questa tregua di dodici anni, che acquistò maggior forza dal saggio e vigoroso governo di Valentiniano, sospendendo la ripetizione delle vicendevoli ingiurie, contribuì ad addolcire i costumi, e ad abbattere i pregiudizi delle religiose fazioni.

      L'amico della tolleranza trovavasi per disgrazia distante dal teatro delle più fiere controversie. Appena i Cristiani dell'Occidente si furon distrigati dai lacci della formola di Rimini, felicemente ricaddero nel letargo dell'ortodossia; ed i piccoli residui del partito Arriano, che tuttavia sussistevano in Milano e in Sirmio, potevano risguardarsi come oggetti piuttosto di disprezzo che di sdegno. Ma nelle province Orientali, dall'Eussino fino all'estremità della Tebaide, la forza ed il numero delle ostili fazioni si bilanciava con maggiore uguaglianza; e questa, invece di secondare i consigli di pace, non serviva che a perpetuar gli orrori della guerra di religione. I Monaci ed i Vescovi sostenevano i loro argomenti con invettive; e le loro invettive alle volte venivano accompagnate dalle percosse. Atanasio dominava sempre in Alessandria; le Sedi di Costantinopoli e d'Antiochia erano occupate dai Prelati Arriani, ed ogni vacanza di Vescovato era l'occasione di un tumulto popolare. Gli Homousiani furon fortificati dalla riconciliazione di cinquantanove Vescovi Macedoniani o Semiarriani; la segreta ripugnanza, che avevano d'abbracciare la divinità dello Spirito Santo, oscurava lo splendore di tal trionfo; e la dichiarazion di Valente, che nei primi anni del suo regno aveva imitato l'imparzial condotta del fratello, fu un importante vittoria dalla parte dell'Arrianismo. I due fratelli avean passata la privata lor vita nello stato di catecumeni; ma la pietà di Valente lo mosse a chiedere il Sacramento del Battesimo avanti d'esporsi ai pericoli della guerra Gotica. Egli si rivolse naturalmente ad Eudosso66 Vescovo della città Imperiale; e se l'ignorante Monarca fu istruito da quell'Arriano Pastore nei principj della Teologia eterodossa, l'inevitabile conseguenza dell'erronea sua scelta dee in lui risguardarsi piuttosto come una disgrazia che come un delitto. Qualunque fosse stata la determinazione dell'Imperatore, dovea sempre disgustare una gran parte dei Cristiani suoi sudditi; giacchè i Capi tanto degli Homousiani che degli Arriani credevano, che se non si lasciavano dominare, si facesse loro una crudele ingiuria ed oppressione. Dopo aver fatto questo decisivo passo, era molto difficile per esso il conservare la virtù o la riputazione d'imparziale. Veramente non aspirò mai, come Costanzo, alla fama di profondo Teologo; ma siccome avea ricevuto con semplicità e rispetto le opinioni di Eudosso, Valente rimise la sua coscienza alla direzione dell'Ecclesiastiche sue guide, e coll'influenza della propria autorità promosse la riunione degli eretici Atanasiani al corpo della Chiesa Cattolica. Da principio ebbe compassione di lor cecità; in seguito appoco appoco fu provocato dalla loro ostinazione; ed insensibilmente incominciò ad odiar quei Settari, pei quali era egli stesso un argomento di odio67. Era sempre dominato il debole spirito di Valente dalle persone, colle quali famigliarmente conversava; e l'esilio o la prigionia d'un privato son favori che facilissimamente si accordano in una Corte dispotica. Si davano tali pene frequentemente ai Capi del partito Homousiano; e la disgrazia di ottanta Ecclesiastici di Costantinopoli, che forse per accidente bruciarono sopra una nave, imputossi alla crudele e premeditata malizia dell'Imperatore e de' suoi Arriani ministri. In ogni contesa i Cattolici (se ci è permesso di anticipar questo nome) eran costretti a pagar la pena delle mancanze loro e di quelle degli avversari. In ogni elezione il Candidato Arriano aveva la preferenza; e se gli si opponeva il maggior partito del popolo, era comunemente sostenuto dall'autorità del Magistrato civile, o anche dai terrori di una forza militare. I nemici d'Atanasio tentarono di turbar gli ultimi anni della venerabil vecchiezza di lui; ed il suo breve ritirarsi al sepolcro del proprio padre si celebrò come un quinto esilio. Ma lo zelo di un gran popolo, che immediatamente corse alle armi, pose in timore il Prefetto, ed all'Arcivescovo si lasciò finir la vita in pace ed in gloria dopo quarantasette anni di Vescovato. La morte d'Atanasio fu il segnale della persecuzione dell'Egitto; ed il ministro Pagano di Valente, che a forza collocò l'indegno Lucio nella sede Archiepiscopale, si procacciò il favore del partito dominante per mezzo del sangue e dei patimenti dei Cristiani loro fratelli. Amaramente dolevansi questi della libera tolleranza in favore del Culto Pagano e Giudaico, come d'una circostanza aggravante la miseria dei Cattolici e la reità dell'empio Tiranno dell'Oriente68.

      Il trionfo del partito ortodosso ha lasciato sopra la memoria di Valente una profonda macchia di persecuzione; ed il carattere di un Principe, che traeva le sue virtù ed i suoi vizi da un debole intelletto e da un'indole pusillanime, appena merita che ci prendiamo la pena di farne l'apologia. Ciò nonostante, il candore può scoprire motivi di sospettare, che i Ministri Ecclesiastici di Valente spesso eccedessero gli ordini o anche le intenzioni del loro Signore; e che la verità dei fatti siasi molto magnificata dalla veemente declamazione e dalla facile credulità dei suoi antagonisti69. In primo luogo, il silenzio di Valentiniano può suggerire un probabile argomento, che i parziali rigori, esercitati nelle Province ed in nome del suo collega, soltanto si riducessero ad alcune oscure ed inconsiderabili deviazioni dallo stabilito sistema di tolleranza religiosa; e quel giudizioso Istorico, che ha lodato la temperata natura del fratello maggiore, non si è creduto in dovere di porre a contrasto la tranquillità dell'Occidente con la crudele persecuzione dell'Oriente70. Secondariamente, per quanto vogliam prestar fede alle incerte e lontane relazioni, si può distintamente conoscere il carattere o almeno la condotta di Valente negli affari che trattò personalmente coll'eloquente Basilio Arcivescovo di Cesarea, che era succeduto ad Atanasio nel maneggio della causa spettante alla Trinità71. Se ne fece la circostanziata narrazione dagli amici ed ammiratori di Basilio; e spogliata che sia da un grossolano abbigliamento di rettorica e di miracoli, resteremo sorpresi dall'inaspettata dolcezza del tiranno Arriano, che ammirò la fermezza del suo animo, o temè, facendogli violenza, una rivoluzione generale nella provincia della Cappadocia. L'Arcivescovo, che sosteneva con inflessibile alterigia72 la verità delle sue opinioni e la dignità del suo posto, fu lasciato nel libero possesso della sua coscienza e della sua sede. L'Imperatore devotamente assistè nella Cattedrale alla messa solenne: ed in luogo di una Sentenza di esilio, sottoscrisse la donazione di considerabili beni per uso di uno spedale, che Basilio aveva ultimamente fondato nelle vicinanze di Cesarea73. In terzo luogo, non ho potuto trovare, che da Valente fosse fatta contro gli Atanasiani alcuna legge, come quella che in seguito fece Teodosio contro gli Arriani; e l'editto, che suscitò i più violenti clamori, non sembra poi tanto degno di riprensione. L'Imperatore aveva osservato, che molti dei suoi sudditi,

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<p>65</p>

Testes sunt leges a me in exordio imperii mei datae: quibus unicuique quod animo imbibisset colendi libera facultas tributa est. Cod. Teodos. lib. IX. Tit. XVI. leg. 9. A questa dichiarazione di Valentiniano possiamo aggiungere le varie testimonianze di Ammiano (XXX. 9), di Zosimo (lib. IV. p. 204.) e de Sozomeno (l. VI. c. 7. 27). Il Baronio sarebbe naturalmente indotto a biasimare questa ragionevole tolleranza: Annal. Eccl. an. 370. num. 129. 132. an. 375. n. 3. 4.

<p>66</p>

Eudosso era d'un naturale timido e dolce. Quando battezzò Valente nell'anno 367. doveva essere molto vecchio, poichè aveva studiato la teologia cinquantacinque anni avanti sotto il dotto e pio martire Luciano. Filostorg. l. II c. 14-16, l. IV. c. 4. col Gotofred. p. 82-206. e Tillemont Mem. Eccles. Tom. V. p. 474. 480. ec.

<p>67</p>

Gregorio Nazianzeno (Orat. XXV. p. 432.) insulta lo spirito persecutore degli Arriani, come un infallibil sintomo d'errore e d'eresia.

<p>68</p>

Questo schizzo del governo Ecclesiastico di Valente è tratto da Socrate (l. IV.), da Sozomeno (l. VI.), da Teodoreto (l. IV.), e dalle immense compilazioni del Tillemont (specialmente dal Tom. VI. VIII. e IX.).

<p>69</p>

Il D. Jortin. (Osservaz. sull'Istor. Eccles. Vol. IV. p. 78.) ha già concepito ed insinuato l'istesso sospetto.

<p>70</p>

Questa riflessione è così ovvia e forte, che Orosio (l. VII. c. 32. 33.) differisce la persecuzione fino ad un tempo posteriore alla morte di Valentiniano. Socrate dall'altra parte, suppone (l. III. c. 21.) che fosse quietata da una filosofica orazione, che pronunziò Temistio l'anno 374. (Orat. XXII. p. 154. solamente in Latino). Tali contraddizioni diminuiscono l'evidenza ed abbreviano il termine della persecuzione di Valente.

<p>71</p>

Il Tillemont, da me seguitato e compendiato, ha tratto (Mem. Eccles. Tom. VIII. p. 153-167.) le più autentiche circostanze dai Panegirici dei due Gregori, l'uno fratello e l'altro amico di Basilio. Le lettere di Basilio medesimo (Dupin Bibl. Eccles. Tom. II. p. 155-180.) non presentano l'immagine d'una persecuzione molto viva.

<p>72</p>

Basilius Caesarensis Episcopus Cappadociae clarus habetur… qui multa continentiae et ingenii bona uno superbiae malo perdidit. Questo irriverente passo perfettamente combina con lo stile e col carattere di S. Girolamo. Non si trova nell'Edizione Scaligeriana della sua Cronica; ma Isacco Vossio l'ha trovato in alcuni antichi manoscritti, che non erano stati corretti dai Monaci.

<p>73</p>

Quella nobile e caritatevole fabbrica (quasi un'altra città) sorpassava in merito se non in grandezza, le piramidi o le mura di Babilonia. Essa era destinata principalmente a ricevere i lebbrosi: Gregor. Nazianzeno Orat. XX. pag. 439.