Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5 - Edward Gibbon

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sotto pretesto di religione, ai Monaci dell'Egitto; e diede ordine al Conte dell'Oriente di trarli fuori della lor solitudine, e costringere quei disertori della società ad accettare la giusta alternativa, o di rinunziare ai temporali lor beni, o di adempire i pubblici doveri degli uomini e dei cittadini74. Sembra che i Ministri di Valente estendessero il senso di questo penale statuto, giacchè si arrogarono il diritto di arrolare nelle armate Imperiali i Monaci giovani e di forte corporatura. Fu spedito da Alessandria nel vicino deserto di Nitria75, popolato da cinquemila Monaci, un distaccamento di cavalleria e d'infanteria consistente in tremila soldati. Erano essi guidati da Preti Arriani, e si racconta, che fu fatta una considerabile strage nei Monasteri, nei quali non si ubbidiva ai comandi del Principe76.

      Gli stretti regolamenti, che la saviezza dei moderni Legislatori ha fatti per frenare la ricchezza e l'avarizia del Clero, in origine si posson dedurre dall'esempio dell'Imperatore Valentiniano. Il suo editto77, indirizzato a Damaso Vescovo di Roma, fu pubblicamente letto nelle Chiese della città. Egli ammoniva gli Ecclesiastici ed i Monaci a non frequentare le case delle vedove e delle vergini, e ne minacciava la disubbidienza con pene civili. Al Direttore non fu più permesso di ricevere alcun donativo, legato, o eredità dalle figlie spirituali; ogni testamento contrario a quest'editto fu dichiarato nullo, e ciò che si fosse illegittimamente donato, dovea confiscarsi in benefizio del tesoro pubblico. Sembra che con una successiva costituzione fossero estesi gli stessi provvedimenti alle Monache e ai Vescovi, e che tutte le persone dell'ordine Ecclesiastico si rendessero incapaci di ricevere alcuna donazione testamentaria, e rigorosamente fossero limitate ai naturali e legittimi diritti della successione. Valentiniano, come custode della domestica felicità e virtù, applicò al male nascente questo rigoroso rimedio. Nella Capitale dell'Impero le donne di case nobili e ricche possedevano vastissimi e indipendenti patrimonj: e molte di quelle devote femmine avevano abbracciato le dottrine del Cristianesimo, non solamente col freddo assenso dell'intelletto, ma eziandio col calore dell'affezione, e forse coll'ardor della moda. Sacrificavano esse i piaceri della pompa e del lusso; e rinunziavano per amor della castità alle dolci lusinghe della società conjugale. Si deputava qualche Ecclesiastico, di reale o di apparente santità, per diriger la timorosa loro coscienza, e per occupare la tenerezza vacante del loro cuore; e spesso qualche furbo o entusiasta, che dall'estremità dell'Oriente correva a godere in uno splendido teatro i privilegj della professione Monastica, si abusava dell'illimitata confidenza che esse precipitosamente accordavangli. Mediante il disprezzo, che questi avevan del Mondo, insensibilmente acquistavano i più desiderabili vantaggi di esso, come il vivo attaccamento di una forse giovane e bella donna, la delicata abbondanza d'una casa opulenta, ed il rispettoso omaggio degli schiavi, dei liberti e dei clienti d'una Senatoria famiglia. Le immense ricchezze delle Dame Romane appoco appoco si consumavano in prodighe elemosine e in dispendiosi pellegrinaggi; e l'artificioso Monaco, che aveva assegnato a se stesso il primo e, se era possibile, il solo posto nel testamento della spirituale sua figlia, pretendeva sempre di dichiarare, con la dolce apparenza dell'ipocrisia, che egli era il solo strumento della carità, e l'amministratore dei beni dei poveri. Quel lucroso ma disonorevol commercio78, che si esercitava dal Clero per defraudare l'espettazione degli eredi naturali, avea provocato fino lo sdegno d'un secolo superstizioso; e due dei più rispettabili Padri Latini molto ingenuamente confessano, che l'ignominioso editto di Valentiniano fu giusto e necessario; e che i Sacerdoti Cristiani avean meritato di perdere un privilegio, che tuttavia si godeva dai commedianti, dai cocchieri e dai ministri degli idoli. Ma la saviezza e l'autorità del legislatore di rado son vittoriose, quando combattono la vigilante destrezza dell'interesse privato; e Girolamo o Ambrogio potevano con pazienza acquietarsi nella giustizia di una legge salutare, ma inefficace. Se raffrenavansi gli Ecclesiastici negli acquisti di personali emolumenti, essi non lasciavano d'esercitare una più lodevole industria in accrescere la ricchezza comune della Chiesa, ed in decorare la loro avidità coi nomi speciosi di pietà e di patriottismo79.

      Damaso, Vescovo di Roma, che dovè svergognare l'avarizia del suo Clero pubblicando la legge di Valentiniano, ebbe il buon senso o la buona fortuna di impegnare in suo servizio lo zelo e l'abilità del dotto Girolamo; e questo grato Santo ha celebrato il merito e la purità d'un carattere molto ambiguo80. Ma curiosamente ha osservato gli splendidi vizj della Chiesa Romana sotto il regno di Valentiniano e di Damaso l'istorico Ammiano, che indica l'imparziale suo sentimento in queste espressive parole. «La Prefettura di Juvenzio godeva il vantaggio della pace e dell'abbondanza; ma presto fu disturbata la tranquillità del suo governo da una sanguinosa sedizione del diviso popolo. L'ardore di Damaso e di Orsino, per occupare la sede Episcopale, sorpassò l'ordinaria misura dell'ambizione umana. Essi contendevano col furor di parte; era sostenuta la disputa con le ferite o con la morte dei loro seguaci; ed il Prefetto, incapace d'impedire o d'acquietare il tumulto, fu costretto dalla forza maggiore a ritirarsi nei sobborghi. Damaso prevalse: la vittoria, molto contrastata, finalmente rimase dalla parte della fazione di lui; furon trovati nella Basilica di Sicinino81, dove i Cristiani tenevano le religiose loro adunanze, centotrentasette corpi morti82; e passò molto tempo avanti che gli animi riscaldati del popolo riprendessero la solita loro tranquillità. Considerando lo splendore della Capitale, non mi fa maraviglia, che un premio sì valutabile accendesse le brame di uomini ambiziosi, e producesse le più fiere ed ostinate contese. Il candidato, che ottiene l'intento, è sicuro d'esser arricchito dalle offerte delle matrone83; e vestito con decente cura ed eleganza può passeggiar nel suo cocchio per le strade di Roma84; e la sontuosità della mensa Imperiale non uguaglierà i copiosi e delicati conviti apparecchiati dal gusto ed a spese dei Romani Pontefici. Con quanto più di ragione (continua il buon Pagano) provvederebbero questi Pontefici alla vera loro felicità, se invece d'allegare la grandezza della città come una scusa dei loro costumi, imitasser la vita esemplare di alcuni Vescovi delle province, nei quali la sobrietà e temperanza, il moderato equipaggio, e gli umili sguardi rendono la modesta e pura loro virtù commendabile alla Divinità ed ai veri adoratori di essa85». Fu estinto lo scisma di Damaso e di Orsino mediante l'esilio di questo ultimo; e la saviezza del Prefetto Pretestato86 restituì la calma alla città. Pretestato era un Pagano filosofo, un uomo erudito, di buon gusto e culto, che cuoprì sotto l'aria di scherzo un rimprovero, allorchè assicurò Damaso, che avrebbe subito abbracciato egli stesso la religione Cristiana, se avesse ottenuto il Vescovato di Roma87. Questa viva pittura della ricchezza e del lusso dei Papi nel quarto secolo, tanto più riesce curiosa, in quanto che ci rappresenta il grado medio fra l'umile povertà del pescatore Apostolico, e la regia condizione d'un Principe temporale, i dominj del quale s'estendono dai confini di Napoli fino alle rive del Po.

      Quando il voto dei Generali e dell'esercito pose nelle mani di Valentiniano lo scettro del Romano Impero, la sua riputazione nelle armi, la militar perizia ed esperienza che aveva, ed il rigido suo attaccamento ai costumi, ugualmente che allo spirito dell'antica disciplina, furono i principali motivi della giudiziosa loro elezione. L'ardor delle truppe, che lo costrinsero a nominare un collega, fu giustificato dalla pericolosa situazione dei pubblici affari; e Valentiniano medesimo sapeva, che le forze di uno spirito anche il più attivo non servivano per difendere le remote frontiere di una Monarchia sottoposta alle invasioni. Appena la morte di Giuliano ebbe liberato i Barbari dal terrore del suo nome, che le più vive speranze di rapine e di conquiste eccitarono le nazioni dell'Oriente, del Settentrione e del Mezzogiorno.

      Le loro scorrerie furono spesso moleste ed alle volte formidabili; ma nei dodici anni del regno di Valentiniano, la sua fermezza e vigilanza difese i proprj Stati, e parve che il vigoroso genio di lui inspirasse e dirigesse i deboli consigli del fratello. Il metodo in forma di annali esprimerebbe con più forza le urgenti e divise cure dei due Imperatori; ma l'attenzione del lettore

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<p>74</p>

Cod. Teodos. l. XII. Tit. I. leg. 63. Il Gotofredo (Tom. IV. p. 409-413) fa l'uffizio di Commentatore e d'Avvocato. Il Tillemont (Mem. Ecoles. Tom. VIII. p. 808.) suppone una seconda legge per iscusare gli Ortodossi suoi amici, che avevano male rappresentato l'editto di Valente e soppresso la libertà della scelta.

<p>75</p>

Vedi Danville Descript. de l'Egypt. p. 74. In seguito esamineremo gl'Instituti Monastici.

<p>76</p>

Socrate l. IV. c. 24. 25., Orosio l. VII. c. 33. Girol. Cron. p. 189. e Tom. II. p. 212. I Monaci dell'Egitto facevano molti miracoli, che provan la verità della loro fede. Benissimo, (dice Jortin Osservaz. Vol. IV. p. 79.) ma chi prova la verità di questi miracoli?

<p>77</p>

Cod. Teodos. lib. XVI. Tit. II. leg. 20. Il Gotofredo (Tom. IV. pag. 49.), seguitando l'esempio del Baronio, raccoglie senza parzialità tutto quello che i Padri hanno detto relativamente a questa importante legge, lo spirito della quale molto tempo dopo fu fatto risorgere dall'Imperator Federigo II. da Eduardo I. Re d'Inghilterra, e da altri Principi Cristiani, che regnarono dopo il duodecimo secolo.

<p>78</p>

L'espressioni, che ho adoperate, son deboli e moderate, se si paragonino con le veementi invettive di Girolamo (Tom. I. p. 13. 45. 144). Fu anche ad esso rinfacciata la colpa, che egli imputava ai Monaci fratelli di lui; e lo scellerato, il versipelle fu pubblicamente accusato come amante della vedova Paola. (Tom. II. p. 363). Ei godeva senza dubbio l'affezione sì della madre che della figlia; ma dichiara che non abusò mai della sua autorità in favore di alcun sensuale o a sè vantaggioso disegno.

<p>79</p>

Pudet dicere Sacerdotes Idolorum, mimi, et aurigae, et scorta haereditates capiunt: solis Clericis ac Monacis hac lege prohibetur. Et non prohibetur a persecutoribus, sed a Principibus Christianis. Nec de lege quaeror, sed doleo, cur meruerimus hanc legem. Girolamo (Tom. I. p. 13) prudentemente indica la segreta politica di Damaso, suo protettore.

<p>80</p>

Tre parole di Girolamo, Sanctae memoriae Damasus (Tom. II. p. 109.), lavano tutte le sue macchie; ed abbagliano i devoti occhj del Tillemont: Mem. Eccles. T. VIII p. 386. 424.

<p>81</p>

La Basilica di Sicinino o di Liberio è probabilmente la Chiesa di S. Maria Maggiore sul colle Esquilino. Baronio an. 367. num. 3. e Donat. Rom. Antiq. et nov. lib. IV. c. 3. p. 462.

<p>82</p>

Girolamo stesso è costretto a confessare crudelissimae interfectiones diversi sexus perpatratae. Cron. p. 186. Ma per strana combinazione ci è restato un libello, o domanda originale di due Preti del partito contrario. Essi affermano, che furon bruciate le porte della Basilica, e scoperchiatone il tetto; che Damaso marciò alla testa del suo Clero, di scavatori di sepolcri, di cocchieri e di gladiatori stipendiati; che non fu ucciso veruno del suo partito, ma che vi furon trovati centosessanta corpi morti. Tal libello fu pubblicato dal P. Sirmondo nel primo Tomo delle sue opere.

<p>83</p>

I nemici di Damaso lo chiamavano Auriscalpius Matronarum, sollecitatore degli orecchj delle matrone.

<p>84</p>

Gregorio Nazianzeno (Orat. XXXII. p. 526.) descrive la vanità ed il lusso dei Prelati che presedevano alle città Imperiali; gli aurei loro cocchi, i focosi destrieri, ed il numeroso seguito ec. La turba dava luogo come ad una bestia selvaggia.

<p>85</p>

Ammiano XXVII. 3. Perpetuo Numini verisque ejus cultoribus. Che incomparabil condiscendenza d'un Politeista!

<p>86</p>

Ammiano, che fa una bella narrazione della sua Prefettura (XXVII. 9.), lo chiama praeclarae indolis gravitatisque Senator (XXII. 7. e Vales. ib.). Una curiosa Inscrizione (ap. Gruter. MCII, n. 2.) contiene in due colonne gli onori civili e religiosi di esso. In una vien dichiarato Pontefice del Sole e di Vesta, Augure, Quindecemviro, Jerofante ec. ec. Nell'altra 1. Questore candidato, più probabilmente titolare, 2. Pretore, 3. Correttore della Toscana e dell'Umbria, 4. Consolare della Lusitania, 5. Proconsole dell'Acaja, 6. Prefetto di Roma, 7. Prefetto del Pretorio d'Italia, 8. dell'Illirico, 9. Console eletto; ma egli morì prima che cominciasse l'anno 385. Vedi Tillemont Hist. des Emper. Tom. V. p. 241, 736.

<p>87</p>

Facite me Romanae urbis Episcopum, et ero protinus Christianus: Girolam. Tom. II. p. 165. Egli è più che probabile, che Damaso non avrebbe comprato a tal prezzo la conversione di esso.