Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon
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A. 408
Nelle arti della negoziazione ugualmente che in quello della guerra il Re Goto godeva un superiore ascendente sopra un nemico, le apparenti variazioni del quale nascevano dalla total mancanza di consiglio e di mire. Alarico, dal suo campo ne' confini dell'Italia, attentamente osservava le rivoluzioni del Palazzo, spiava il progresso della fazione e della malcontentezza, mascherava l'ostile aspetto d'un Barbaro invasore, e prendeva la più popolare apparenza d'un amico ed alleato del grande Stilicone, alle virtù del quale, quando non erano più per lui formidabili, poteva dare un giusto tributo di sincera lode e rammarico. Il pressante invito de' malcontenti, che sollecitavano il Re de' Goti ad invader l'Italia, acquistò maggior forza da un vivo sentimento delle personali sue ingiurie; ed aveva la speciosa occasion di dolersi, che i Ministri Imperiali sempre differivano ed eludevano il pagamento delle quattromila libbre d'oro, che dal Senato Romano gli erano state accordate o in premio de' suoi servigi, o per acquietarne il furore. La sua decente fermezza era sostenuta da un'artificiosa moderazione, che contribuì al buon successo dei suoi disegni. Ei richiedeva una giusta e ragionevol soddisfazione; ma dava le più forti sicurezze, che appena l'avesse ottenuta, si sarebbe subito ritirato. Ricusò di prestar fede a' Romani, se non gli si mandavano per ostaggi al campo Ezio e Giasone, figli di due grandi Ufiziali dello Stato; ma offrì di dare in cambio di essi molti de' più nobili giovani della nazione Gotica. I Ministri di Ravenna risguardarono la modestia d'Alarico come una sicura prova di debolezza e di timore. Sdegnarono d'entrare in trattato, non meno che d'adunare un esercito; e con una temeraria fiducia, che procedeva solo dall'ignoranza, in cui erano dell'estremo pericolo, irreparabilmente perderono i decisivi momenti sì della pace che della guerra. Mentre aspettavano con caparbio silenzio, che i Barbari lasciassero i confini dell'Italia, Alarico passò con ardita e rapida marcia le Alpi ed il Po; precipitosamente saccheggiò le città d'Aquileia, d'Altino, di Concordia e di Cremona, che cederono alle sue armi; accrebbe le proprie forze coll'aumento di trentamila ausiliari; e senza incontrare in campo un solo nemico, s'avanzò fino all'orlo della palude, che difendeva l'inaccessibile residenza dell'Imperatore Occidentale. Invece di tentare senza speranza l'assedio di Ravenna, il prudente Capitano de' Goti passò a Rimini, estese le sue devastazioni lungo le coste marittime dell'Adriatico, e disegnò la conquista dell'antica padrona del Mondo. Un eremita Italiano, di cui gli stessi Barbari veneravan la santità e lo zelo, si fece incontro al vittorioso Monarca, ed arditamente annunziò lo sdegno del Cielo contro gli oppressori della terra; ma il Santo medesimo restò confuso dalla solenne asserzione d'Alarico, ch'ei sentiva un segreto e soprannaturale impulso, che lo dirigeva, anzi lo costringeva a marciare verso le porte di Roma. Egli sentiva che il proprio genio o la sua fortuna lo rendevano atto alle imprese più ardue; e l'entusiasmo, che comunicò a' Goti appoco appoco fece svanire la popolare e quasi superstiziosa reverenza delle nazioni per la maestà del nome Romano. Le sue truppe, animate dalla speranza della preda, seguirono il corso della via Flaminia, occuparono i passi non guardati dell'Appennino186, discesero nelle ricche pianure dell'Umbria; e mentre stavano accampati sulle rive del Clitunno, potevano a capriccio scannare e divorare i bianchissimi tori, che per tanto tempo s'erano riserbati pei trionfi di Roma187. Una difficile situazione ed un'opportuna tempesta di lampi e tuoni preservò la piccola città di Narni; ma il Re de' Goti, non curando le ignobili prede, sempre più avanzavasi con indomito vigore; e dopo esser passato pei superbi archi, adornati con le spoglie delle vittorie contro i Barbari, piantò il suo campo sotto le mura di Roma188.
Pel corso di seicento diciannove anni la seda dell'Impero non era mai stata contaminata dalla presenza d'uno straniero nemico. L'infelice spedizione d'Annibale189 non servì che a spiegare il carattere del Senato e del Popolo; d'un Senato cioè piuttosto abbassato che nobilitato dalla comparazione di un'assemblea di Regi, e d'un Popolo, a cui l'ambasciator di Pirro attribuì le inesauste riproduzioni dell'Idra190. Ciascun Senatore, al tempo della guerra Punica, aveva occupato il suo posto nella milizia, o in grado di superiore o di subalterno; ed il decreto, che dava per un tempo il comando a tutti quelli, ch'erano stati Consoli, Censori, o Dittatori, procurava alla Repubblica l'immediata assistenza di molti prodi e sperimentati Generali. Al principio della guerra il Popolo Romano conteneva dugento cinquantamila cittadini atti a portare le armi191. Cinquantamila eran già morti in difesa della Patria, e le ventitre legioni, ch'erano impiegate ne' diversi campi dell'Italia, della Grecia, della Sardegna, della Sicilia e della Spagna, esigevano circa centomila uomini. Ma ne restava sempre un ugual numero in Roma e nel territorio addiacente, ch'erano animati dall'istesso intrepido coraggio; ed ogni Cittadino era tratto fin dalla più fresca sua gioventù alla disciplina, ed agli esercizi militari. Annibale restò sorpreso dalla costanza del Senato, che senza levar l'assedio di Capua, o richiamar le truppe disperse, aspettava la sua venuta. Ei s'accampò sulle rive dell'Anio alla distanza di tre miglia dalla città; e fu tosto informato, che il terreno, su cui aveva piantato la sua tenda, fu venduto per competente prezzo al pubblico incanto, e per Una strada opposta fu mandato un corpo di truppe a rinforzar le legioni della Spagna192. Condusse i suoi Affricani alle porte di Roma, dove trovo tre eserciti in ordine di battaglia preparati a riceverlo; ma Annibale temè l'evento d'una guerra, da cui non poteva sperare d'uscire, se non aveva prima distrutto fino all'ultimo de' suoi nemici; e la pronta sua ritirata dimostrò l'invincibil coraggio, de' Romani.
Una continua successione di Senatori fin dal tempo della guerra Punica avea conservato il nome e l'immagine della Repubblica; e i degenerati sudditi d'Onorio ambiziosamente vantavano l'origine dagli Eroi, che avevan rispinto le armi d'Annibale, e soggiogato le nazioni della terra. I temporali onori, creditati e sprezzati dalla devota Paola193, sono accuratamente enumerati da Girolamo, guida della coscienza, ed isterico della vita di essa. La genealogia di Rogato suo padre, che rimontava fino ad Agamennone, parrebbe che indicasse un'origine Greca; ma Blesilla sua madre numerava nella lista de' propri antenati gli Scipioni, Emilio Paolo, ed i Gracchi; e Tossozio marito di Paola traeva la reale sua stirpe da Enea, padre della famiglia Giulia. Con queste alte pretensioni soddisfacevasi la vanità del ricco, che bramava d'esser nobile. Incoraggiati dall'applauso de lor parassiti, facilmente imponevano alla credulità del volgo, ed erano in qualche modo sostenuti dall'uso di adottare il nome dei loro patroni, ch'era stato sempre in vigore fra i liberti, ed i clienti delle famiglie illustri. La maggior parte però di quelle famiglie, attaccate da tante cause d'esterna forza, o d'interna decadenza, restarono appoco appoco estinte; e sarebbe stato più ragionevole il cercare una successiva discendenza di venti generazioni fra le montagne delle Alpi o nella pacifica solitudine della Puglia, che nel teatro di Roma, sede della fortuna, del pericolo, e di perpetue rivoluzioni. In ogni regno particolare, e da ogni provincia dell'Imperio innalzandosi ad eminenti gradi una folla d'arditi avventurieri per mezzo de' talenti o de' vizi loro, usurpavano lo ricchezze, gli onori, ed i palazzi di Roma, ed opprimevano o proteggevano i poveri ed umili avanzi delle famiglie Consolari, che ignoravano forse la gloria de' loro maggiori194.
Al tempo di Girolamo e di Claudiano i Senatori concordemente cedevano la preeminenza alla famiglia Anicia; ed una breve occhiata all'istoria di questa servirà per valutare il lustro e l'antichità delle famiglie nobili, che si contentavano solo del secondo pasto
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Addisson (nelle sue opere
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Hinc albi Clitumni greges, et maxima taurus
Victima; saepe tuo perfusi flumine sdero
Romanos ad tempia Deum duxere triumphos.
Oltre Virgilio, molti altri Poeti Latini, Properzio, Lucano, Silio Italico, Claudiano ec., i passi de' quali posson trovarsi appresso Cluverio ed Addisson, hanno celebrato le trionfali vittime del Clitunno.
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Si è presa qualche idea della marcia d'Alarico dal viaggio d'Onorio fatto pei medesimi luoghi (Vedi Claudiano
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La marcia e la ritirata d'Annibale son descritte da Livio (
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Si usarono tali comparazioni da Cinea, consigliere di Pirro, dipoi che fu tornato dalla sua ambasceria, in occasione della quale aveva esso diligentemente studiato la disciplina ed i costumi di Roma (Vedi Plutarco
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Ne' tre
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Livio risguarda questi due accidenti come gli effetti solo del caso e del coraggio. Io sospetto che ambedue fossero prodotti dall'ammirabile politica del Senato.
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Vedi Girolamo
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Tacito (