Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6 - Edward Gibbon

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e le sottoposte nazioni tuttavia rispettavano il nome del Popolo e la maestà del Senato. Ma questo nativo splendore (prosegue Ammiano) viene oscurato e macchiato dalla condotta di alcuni nobili, che dimenticatisi della lor dignità e di quella del loro paese, s'attribuiscono un'illimitata licenza di follìa e di vizi. Contendono fra loro intorno all'inutile vanità de' titoli e de' cognomi; e curiosamente scelgono o inventano i più alti e sonori nomi di Reburro o Fabunio, di Pagonio o Tarrasio218, che possono imprimere negli orecchi del volgo maraviglia e rispetto. Per una vana ambizione di perpetuare la loro memoria, affettano di moltiplicare le proprie immagini in statue di bronzo e di marmo; nè son contenti, se quelle statue non son coperte di foglie d'oro; onorevole distinzione, concessa per la prima volta al Console Acilio dopo che ebbe soggiogato colle sue armi e co' suoi consigli la potenza del Re Antioco. L'ostentazione di mostrare e forse di magnificare la lista delle rendite de' fondi, che posseggono in tutte le Province, dall'Oriente all'Occidente, provoca a giusto sdegno chiunque riflette, che gl'invincibili e poveri lor antenati non si distinguevano dagl'infimi soldati per la dilicatezza del cibo, nè per lo splendore degli abiti. Ma i Nobili moderni misurano il grado e l'importanza loro dalla maestà de' lor cocchi219, e dalla pesante magnificenza del loro abbigliamento. Le lunghe lor vesti di seta o di porpora ondeggiano al vento; ed a misura che per arte o per caso vengono agitate, scuoprono le ricche toniche di sotto, ricamate con figure di varj animali220. Accompagnati da un seguito di cinquanta servi, e guastando i pavimenti delle strade, si muovono per le medesime con tanta impetuosa fretta, come se corresser la posta; e l'esempio de' Senatori viene arditamente imitato dalle matrone e dalle dame, i carri coperti delle quali vanno continuamente girando gl'immensi spazi della città e de' sobborghi. Dovunque tali persone di gran qualità si compiacciono di visitare i pubblici bagni, all'entrar che vi fanno, prendono un tuono d'alto ed insolente comando, ed appropriano al privato lor uso que' comodi, ch'erano destinati pel Popolo Romano. Se in questi luoghi di comune e generale concorso incontrano qualche infame ministro de' lor piaceri, esprimono la loro affezione con un tenero abbraccio, nel tempo che superbamente scansano i saluti de' loro concittadini, a' quali non si permette d'aspirare all'onore di baciar loro le mani o i ginocchi. Tosto che si son soddisfatti dell'uso del bagno, riprendono i loro anelli e le altre insegne della lor dignità: scelgono dalla privata lor guardaroba composta di finissima biancheria, che potrebbe servire per una dozzina di persone, quella che più s'adatta alla lor fantasia, e mantengono fino alla lor partenza l'istesso altiero portamento, che potrebbe appena essere scusabile nel gran Marcello dopo la conquista di Siracusa. Alle volte in vero questi Eroi si accingono ad imprese più ardue; visitano i loro beni d'Italia, e si procurano per mezzo di mani servili i divertimenti della caccia221. Se qualche volta, specialmente nella state, hanno il coraggio di navigare nelle dipinte lor barche dal lago Lucrino222 all'eleganti lor ville sulle coste marittime di Pozzuolo e di Gaeta223, paragonano le loro spedizioni alle marce di Cesare e d'Alessandro. Se però ardisse una mosca di posarsi su' loro dorati ombrelli di seta, se un raggio di sole penetrasse per qualche non osservato impercettibile spiraglio, deplorano gl'intollerabili loro travagli, e si dolgono con affettate espressioni di non esser nati nelle terre de' Cimmerj224, regioni di eterne tenebre. In questi viaggi, che si fanno nelle proprie terre225, tutto il corpo della famiglia marcia insieme col padrone. In quella guisa che dalla perizia dei capitani militari si dispongono la cavalleria e l'infanteria, le truppe di grave e di leggiera armatura, la vanguardia e la retroguardia; così gli uffiziali domestici, che portano in mano una verga in segno d'autorità, distribuiscono e mettono in ordine il numeroso seguito di schiavi e di famigliari. Il bagaglio e la guardaroba sono alla fronte, e dopo segue immediatamente una moltitudine di cuochi e di ministri inferiori, impiegati nel servizio della cucina e della tavola. Il corpo di mezzo è composto d'una promiscua folla di schiavi accresciuta dall'accidental concorso di oziosi o dipendenti plebei. Si chiude la marcia dalla truppa favorita di eunuchi, distribuiti per ordine di anzianità. Il numero e la deformità loro eccitano l'orrore e lo sdegno degli spettatori, che son mossi ad esecrar la memoria di Semiramide per l'arte crudele da essa inventata di eludere i disegni della natura, e di soffocar nella stessa loro sorgente le speranze delle future generazioni. Nell'esercizio della domestica giurisdizione i nobili di Roma esprimono una squisita sensibilità per qualunque personale ingiuria, ed una disprezzante indifferenza pel resto della specie umana. Se quando chiedono dell'acqua calda, uno schiavo sia lento ad ubbidire, egli viene immediatamente gastigato con trecento colpi di verghe: se però il medesimo schiavo commetterà un omicidio volontario, il padrone osserverà dolcemente ch'esso è un indegno; ma che se un'altra volta commette il delitto, non eviterà la pena. Anticamente l'ospitalità era la virtù de' Romani; ed ogni straniero, che potesse allegare in suo favore il merito o la disgrazia, veniva sollevato o premiato dalla lor generosità. Presentemente, se un forestiero, anche di grado non dispregevole, viene introdotto avanti ad uno di que' ricchi ed altieri Senatori, esso è accolto in vero alla prima udienza con sì forti proteste e ricerche sì premurose, che si ritira incantato dall'affabilità dell'illustre suo amico, e pieno di dispiacere di aver tanto tempo differito il suo viaggio a Roma, nativa sede della civiltà non meno che dell'Impero. Sicuro d'un favorevole ricevimento ripete la sua visita il giorno seguente, e resta mortificato dal vedere, che si è già dimenticata la persona, il nome e la patria di esso. Se ha il coraggio di perseverare, viene appoco appoco ammesso nel numero de' dipendenti, ed ottiene la permissione di fare l'assidua ed infruttuosa sua corte ad un superbo Patrono, incapace di gratitudine o d'amicizia, che appena si degna d'osservare, quando è presente, quando parte, o quando torna. Ogni volta che un ricco prepara un solenne e popolare trattenimento226, ogni volta che celebrano con prodigo e pernicioso lusso i privati loro banchetti, la scelta de' commensali forma il soggetto d'una seria deliberazione. Di rado son preferiti i moderati, i sobrj, e i dotti; ed i nomenclatori, che comunemente son mossi da motivi d'interesse, hanno l'accortezza d'inserir nella lista degl'inviti gli oscuri nomi delle più indegne persone del Mondo. Ma i frequenti e famigliari compagni de' Grandi sono que' parassiti, che praticano la più utile di tutte le arti, cioè quella dell'adulazione; che altamente applaudiscono ad ogni parola e ad ogni azione dell'immortal lor Patrono; che ammirano con trasporto le colonne di marmo ed i pavimenti di vari colori; e che eccedentemente lodano la pompa e l'eleganza, ch'egli si è assuefatto a risguardare come una parte del personale suo merito. Alle mense Romane gli uccelli, i ghiri227, o i pesci, che sembrano d'una straordinaria grossezza, si osservano con una curiosa attenzione: v'è sempre un par di bilance per determinarne il peso reale; e mentre i più ragionevoli commensali son disgustati da una vana e tediosa ripetizione, si chiamano i notari per far fede con autentico atto della verità di tal maraviglioso successo. Un altro metodo d'introdursi nelle case e nelle conversazioni de' Grandi proviene dalla professione di giocare, o come si dice più pulitamente, di divertirsi. I socj sono uniti fra loro con uno stretto e indissolubil legame d'amicizia o piuttosto di cospirazione; una gran perizia nell'arte Tesseraria (che può risguardarsi come una specie di tavola reale228) è una strada sicura per giungere alla ricchezza ed alla riputazione. Un maestro di quella sublime scienza, che in una cena o assemblea sia posto al di sotto d'un Magistrato, dimostra nel portamento la maraviglia e lo sdegno, che si potrebbe supporre aver sentito Catone, allorchè gli fu negata la Pretura da' voti d'un capriccioso Popolo. L'acquisto delle cognizioni, rare volte, muove la curiosità de' nobili, che abborriscono la fatica, e sdegnano i vantaggi dello studio; ed i soli libri che leggono, sono le satire di Giovenale, e le verbose e favolose storie di Mario Massimo229. Le librerie, che hanno ereditato dai loro padri, sono rimosse, come orridi sepolcri, dalla luce del giorno230. Ma si costruiscono per loro uso dispendiosi strumenti da teatro, flauti, enormi Lire, ed organi idraulici; e l'armonia della musica, sì vocale che istrumentale, continuamente si sente ripetere nei palazzi di Roma. In questi al senso si antepone il suono, e la cura del corpo a quella dell'animo. Si accorda come una massima salutare, che il barlume ed un frivolo sospetto

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<p>218</p>

La minuta diligenza degli Antiquari non è stata capace di verificar questi nomi straordinari. Io son d'opinione, che siano stati inventati dall'Istorico stesso, per evitare qualunque satira o applicazione personale. Egli è certo però, che le semplici denominazioni de' Romani furono appoco appoco prolungate sino al numero di quattro, cinque o anche sette pomposi cognomi, per esempio Marcus Maecius Memmius Furius Balburius Caecilianus Placidus. (Vedi Noris, Cenotaph. Pis. diss. IV. p. 438).

<p>219</p>

I cocchi o Carrucae de' Romani spesso eran d'argento sodo, superbamente intagliati e figurati, e gli arnesi delle mule o de' cavalli erano intarsiati d'oro. Tal magnificenza durò dal regno di Nerone fino a quello d'Onorio; e la via Appia era coperta di splendidi equipaggi di nobili, che venivano ad incontrar S. Melania, quando ritornò a Roma, sei anni prima dell'assedio Gotico (Senec., epist. 87. Plin., Hist. Nat. XXXIII. 49. Paulin. Nolan., ap. Baron. Ann. Eccl. an. 397. n. 5). La pompa però si è rettamente mutata nel comodo; ed una semplice carrozza moderna sulle molle è molto preferibile ai carri d'argento o d'oro dell'antichità, che posavano sugli assi delle rote, ed erano per lo più esposti all'inclemenza dell'aria.

<p>220</p>

In un'omelia d'Asterio, Vescovo di Amasia, il Valois ha scoperto (ad Ammian. XIV. 6.) che questa era una nuova moda; che si rappresentavano in ricamo orsi, lupi, leoni e tigri, boschi, caccie ec., e che i più devoti vi sostituivano la figura, o la leggenda di qualche Santo lor favorito.

<p>221</p>

Vedi Plin., Hist. t. 6. Tre grossi cignali furono tirati e presi ne' lacci senza interromper gli studi del filosofico cacciatore.

<p>222</p>

Il cangiamento dell'infausta voce Averno, ch'è nel testo, non è d'alcuna importanza. I due laghi Averno e Lucrino comunicavano insieme, e formavano per mezzo delle stupende moli d'Agrippa il porto Giuliano, che si apriva per uno stretto ingresso nel Golfo di Pozzuolo. Virgilio, che abitava in quel luogo, ha descritto (Georg. II. 161) quest'opera nel tempo della sua esecuzione, ed i comentatori di esso, particolarmente Catrou, hanno preso gran lume da Strabone, da Svetonio e da Dione. I terremoti, ed i Vulcani hanno mutata la faccia del luogo, e convertito il Lago Lucrino dopo l'anno 1538, nel monte nuovo. Vedi Camillo Pellegrino, discorsi della Campan. Felice p. 239, 244. Anton Sanfelici, Campania p. 13, 88.

<p>223</p>

Regna Cumana et Puteolana; loca, ceteroqui valde expetenda, interpellantium autem multitudine pene fugienda. Cicer., ad Attic. XVI. 17.

<p>224</p>

L'espressione di tenebre Cimmerie fu presa in origine dalla descrizione d'Omero (nel lib. XI. dell'Odissea), applicandola esso ad un remoto e favoloso paese sui lidi dell'Oceano. (Vedi Erasmi Adag. nelle sue opere Tom. 2. p. 593. ediz. di Leida).

<p>225</p>

Possiamo rilevare da Seneca (epist. 123) tre curiose circostanze relativamente ai viaggi de' Romani. 1. Essi eran preceduti da una truppa di Cavalleggieri di Numidia, che con un nuvolo di polvere annunziavano l'avvicinamento di un grand'uomo; 2. I loro muli da bagaglio non solamente trasportavano i vasi preziosi, ma anche i fragili vasellami di cristallo e di murra, sotto il qual nome è quasi provato dal dotto Francese Traduttore di Seneca (T. III. p. 403, 422) che intendevasi la porcellana della China e del Giappone; 3. i be' volti de' giovani schiavi eran coperti d'una crosta o unzione fatta ad arte per difenderli dagli effetti del sole e del gelo.

<p>226</p>

Distributio solemnium sportularum. Le sportulae e sportellae eran piccoli panieri, che si suppone che contenessero una quantità di cibi caldi del valore di 100 quadranti, o di dodici soldi e mezzo, ch'erano posti per ordine in una sala, e con ostentazione distribuiti alla famelica o servil turba, che stava aspettando alla porta. Si fa bene spesso menzione di tal grossolano costume negli epigrammi di Marziale e nelle satire di Giovenale. Vedasi anche Svetonio, in Claud. c. 21. in Neron. c. 16. in Domitian. c. 4, 7. Quanti panieri di cibi si convertirono in seguito in grosse monete, o in piatti d'oro e d'argento, che reciprocamente si davano e si ricevevano ancora dalle persona del più alto grado, nelle solenni occasioni de' Consolati, de' matrimonj ec. (Vedi Symmac., Epist. IV. 55., IX. 124, e Miscell. p. 256).

<p>227</p>

Il ghiro, detto da' Latini glis e da' Francesi loir, è un piccolo animale, che dimora ne' boschi, e rimane intorpidito nel grande inverno (Vedi Plin., Hist. nat. VIII. 82. Buffon, Hist. nat. Tom. VIII, pag. 158. Pennant, Sinopsi de' quadrupedi p. 289.). V'era l'arte di allevare e d'ingrassare un gran numero di ghiri nelle ville Romane, risguardandosi questo come un vantaggioso articolo di economia rurale (Varrone, de re rust. III. 15). L'eccessiva richiesta di essi per le tavole di lusso si accrebbe per le folli proibizioni de' Censori, e si racconta, che sono tuttavia in pregio nella moderna Roma, e si mandano frequentemente in regalo da' Principi Colonna. (Vedi Brotier ultimo editore di Plinio Tom. II. p. 458. ap. Barbou 1779).

<p>228</p>

Questo giuoco, che può tradursi co' nomi più a noi famigliari di Trictrac, o di Tavola Reale era il divertimento favorito de' più gravi Romani: ed il Giurisconsulto Muzio Scevola, il vecchio, aveva la fama di abilissimo giuocatore. Era chiamato ludus duodecim scriptorum da' dodici scritti o linee che dividevano in uguali parti l'alveolo, o la tavola. Sopra di esse venivan ordinate due armate, una bianca e l'altra nera, ciascheduna delle quali conteneva quindici uomini, o pezzi, e si muovevano alternativamente secondo le regole del giuoco e le indicazioni delle tessere, o de' dadi. Il Dottor Hide, che fa diligentemente l'istoria, e nota le varietà del Nerdiludium (nome di etimologia Persiana) dall'Irlanda al Giappone, versa su questo lieve soggetto un copioso torrente di erudizione classica ed orientale. Vedi Syntagm. dissertat. Tom. II. p. 217, 405.

<p>229</p>

Marius Maximus homo omnium verbosissimus, qui et mythistoricis se voluminibus implicavit. Vopisc. in Hist. August. p. 242. Egli scrisse le vite degli Imperatori da Traiano fino ad Alessandro Severo. Vedi Gerardo Vossio, de Hist. Latin. l. II. c. 3 nelle sue Opere volum. IV, pag. 57.

<p>230</p>

Questa satira probabilmente è esagerata. I Saturnali di Macrobio, e l'Epistole di Girolamo danno sufficienti prove, che molti Romani di ambi i sessi, e del più alto grado coltivavano studiosamente la teologia Cristiana e la classica letteratura.